sabato 14 dicembre 2013

Dietro la vittoria di Matteo Renzi

Matteo Renzi (PD)

L'ufficializzazione dei risultati delle primarie del Partito Democratico che hanno portato Renzi alla vittoria e al ruolo di segretario (il quinto in sei anni di vita del partito dopo Veltroni, Franceschini, Bersani ed Epifani), consentono di capire come è maturata la vittoria del sindaco di Firenze; tuttavia, prima di affrontare l'analisi dei dati e soprattutto dei raffronti con le consultazioni precedenti, è già possibile interrogarsi sul perché Matteo Renzi è riuscito a imporsi nella competizione, riuscendo per di più a prevalere con un risultato di una simile portata.

Sono molti i commentatori politici che hanno posto l'accento sul programma del sindaco di Firenze, sulla svolta blairiana, su una nuova idea di sinistra; eppure, più che cause, queste paiono essere conseguenze. Il cittadino medio che si è messo in fila alle primarie aveva in mente davvero la riforma dell'Art. 138 della Costituzione o il superamento del bicameralismo perfetto? Aveva in mente la flexsecurity o il ruolo dell'Italia nella crisi siriana?
È il modo in cui il PD e con lui la politica italiana si porranno su questi temi a dipendere dalla vittoria di Renzi, piuttosto che il contrario.

Molte opinioni raccolte ai seggi, pur se non classificabili in un vero e proprio sondaggio, lasciano indicare come le consultazioni della base PD si siano più che altro trasformate in un referendum sul suo candidato favorito più che su uno scontro politico in senso stretto, referendum che Renzi ha vinto principalmente per due motivi.

In primo luogo Renzi è visto generalmente come il solo leader spendibile nel campo di centrosinistra in una competizione elettorale, e questo fattore è stato spesso determinante nell'assegnazione del voto verso di lui.
Contrariamente a quanto avviene spesso nelle primarie americane, che tendono a premiare l'ala più radicale degli schieramenti, la logica che ha guidato molti votanti alle primarie PD è stata la semplice constatazione che la figura e la candidatura di Renzi non avrebbero retto una seconda sconfitta, e che quindi una vittoria di Cuperlo o Civati avrebbero definitivamente chiuso le porte della politica nazionale al sindaco di Firenze, facendo quindi venir meno la sola figura spendibile in termini elettorali sul fronte progressista.
Renzi si è costruito l'immagine di leader vincente e in grado di vincere a livello nazionale, immagine non offuscata ma in qualche modo anche rinvigorita - pur paradossalmente - dalla sconfitta alle primarie 2012, motivata dallo sbarramento da parte di una classe dirigente di sinistra che ne temeva l'avanzata. Il popolo di centrosinistra, proveniente da una storia politica costellata più di sconfitte che di vittorie, e reduce soprattutto da una cocente delusione elettorale nel mese di febbraio, ha fortemente e fermamente puntato sul candidato che offre le maggiori credenziali di vittoria elettorale.
Il fatto stesso che le primarie riguardassero l'elezione del segretario del PD piuttosto che del candidato alla Presidenza del Consiglio è passata in secondo piano rispetto alla necessità di non bruciare Matteo Renzi: sebbene fossero in molti a ritenere insoddisfacente o lacunosa la proposta del sindaco di Firenze sulla struttura, l'organizzazione ed il ruolo del partito sul territorio, questa considerazione non è stata determinante al momento dell'assegnazione del voto.

Il secondo tema rilevante è ovviamente quello della "rottamazione" per cui il sindaco di Firenze è negli anni diventato famoso, un tema più vivo che mai alla vista di una dirigenza politica ancora fermamente al potere malgrado le ultime, dolorose sconfitte, i patti di governo con Berlusconi, l'abbandono dei temi di sinistra su questioni focali come l'IMU, i rospi ingoiati per salvare Alfano e la Cancellieri, e questo solo per limitarsi alle esperienze più recenti.
Renzi incarna l'idea di un rinnovamento totale, un modo per spazzare via una classe dirigente considerata fallita, autoreferenziale, e per di ormai appannata da commistioni con i gangli del potere a volte sfociati in scandali o procedimenti giudiziari.
L'aperto sostegno di figure come Bersani e soprattutto D'Alema verso Gianni Cuperlo è stato in questo senso determinante nel traghettare molti voti verso Matteo Renzi e la sua battaglia.

Dal punto di vista prettamente politico gli slogan della sua campagna elettorale di maggior successo sono stati senza alcun dubbio la modifica della legge elettorale e l'abbattimento delle spese della politica, temi al tempo stesso molto semplici e la cui correlazione con la crisi economica e sociale è evidente e accertata per l'elettore medio.

Inoltre Renzi sembra in grado di imprimere al PD una svolta radicale nell'atteggiamento verso il Governo e le altre forze politiche, con un abbandono delle continue rinunce e sottomissioni, e provando veramente a dettare l'agenda politica del Paese, con uno slancio che il PD aveva smarrito dai tempi della campagna elettorale del 2007 - in cui però la preannunciata sconfitta rendeva indolore e poco oneroso usare certi toni.
Grazie a questa strategia Renzi sta coltivando quello che forse è il sentimento più prezioso: l'orgoglio del popolo di sinistra per un partito ancorato alle sue decisioni, in grado di incalzare alleati e avversari e di non arretrare rispetto ai propri pilastri ideologici.

La vittoria di Renzi si è basata sull'immagine, e pertanto l'immagine stessa del sindaco di Firenze è al momento l'elemento focale da coltivare per la sua leadership e per l'idea di partito che ha in mente; questo rende il PD un partito più personale di quanto lo sia mai stato, ma di un personalismo sancito dal suffragio popolare e da esso quindi adeguatamente controbilanciato.
Resta tuttavia la volubilità delle vittorie costruite solo sull'immagine: se alle parole non seguiranno i fatti la popolarità di Renzi si trasformerà ben presto in delusione. Questo Renzi lo sa, e sa che non può dormire sonni tranquilli. E questa è forse la migliore garanzia per il Paese.

domenica 8 dicembre 2013

Morire al tempo di Facebook

Meme sulla morte di Nelson Mandela

La morte di Nelson Mandela è uno di quegli eventi il cui indiscutibile significato simbolico è trasversale a culture e opinioni politiche per arrivare a valenze così universali e condivise da rendere pressoché obbligatorio un intervento di testimonianza.

Madiba, il padre del Sudafrica moderno, così come negli ultimi giorni i telegiornali lo hanno più volte acclamato, è una di quelle rare figure storiche che pur appartenendo ad un preciso popolo e ad un preciso momento storico diventano in qualche modo patrimonio collettivo dell'umanità. Nella storia recente dell'umanità, solo Gandhi, come valenza e somiglianza filosofica, può essere paragonato a lui.

La sua morte è peraltro il primo evento di una simile portata mediatico-simbolica ad avvenire nell'era dei social network, e a confrontarsi con le tecniche contemporanee di accettazione, elaborazione e perché no anche emulazione.
L'evento creato dalla scomparsa di Madiba, proprio per l'universalità del personaggio, obbliga tutti a riflettere su questa figura titanica della lotta contro le discriminazioni razziali, e da lì costringe giocoforza a pensare al perché nel mondo c'è stato bisogno di un personaggio come lui. Obbliga, in sostanza, a prendere posizione, ad esprimerla, come si diceva poco sopra, a testimoniare.

Si tratta di un'esigenza nota e comune nella storia dell'umanità, un'esigenza che le moderne tecnologie contribuiscono a rendere più universale e aiutano ad espletare, attraverso la pervasività che le contraddistingue.
Dal momento della morte di Mandela i social network letteralmente ribollono di commiati, addii, ricordi fatti da comuni cittadini che esprimono il proprio cordoglio per la scomparsa del leader sudafricano. Una - per l'appunto - testimonianza di portata planetaria che per una volta non è limitata ai potenti del mondo o a coloro che sono geograficamente e storicamente più vicini all'epicentro dell'evento, ma che grazie alle moderne tecnologie coinvolge in maniera globalizzata e altrettanto profonda il mondo intero.

Se tuttavia da un lato i social network costituiscono un formidabile amplificatore, grazie alla possibilità che offrono a chiunque di esprimere liberamente il proprio pensiero, dall'altro costituiscono una sorta di pericolosa valvola di scarico, in cui queste azioni di testimonianza si esauriscono in un modo tutto sommato sterile e poco produttivo.
Già da tempo Facebook, per fare un esempio, non costituisce più un social media paritario, in cui tutti gli utenti sono egualmente produttori di contenuti; per meglio dire, mantiene ancora formalmente questa struttura ma la divisione tra produttori e fruitori di contenuti è ormai piuttosto evidente, con una serie di hub qualificati che fungono da fonti e i cui contenuti vengono poi progressivamente ripresi e condivisi dal resto del web.
Spesso, quindi, la resa di testimonianza nei confronti di un evento non costituisce nemmeno più uno sforzo creativo, ma implica solo la ripresa e la condivisione di un meme prodotto da altri; l'omaggio si trasforma quindi in un mero "atto dovuto", un gesto obbligato perché sarebbe socialmente poco conveniente fare altrimenti e in cui, come sempre in questi casi, si sceglie tra una serie di prodotti preconfezionati da altri.

Al contempo, la semplice pubblicazione di una parola o di un'immagine ha una funzione in qualche modo catartica, assolve chi la esegue dalla necessità di trovare altre forme, probabilmente più impegnative e proficue, di rendere omaggio in caso di eventi come quello avvenuto pochi giorni fa, generando una sensazione di autocompiacimento a lungo andare negativa, in quanto in grado di fermare sul nascere sforzi intellettuali di approfondimento, presa ad esempio, riflessione originale.
Se portare dentro il peso di venire a patti con la dipartita di un personaggio di impatto planetario poteva in qualche modo servire a portare milioni di persone a farsi delle domande, e magari nel caso di qualche manciata ad un reale impegno civile, politico e sociale, la semplice pressione del tasto INVIO sulla tastiera di un computer o di uno smartphone consente di esternalizzare in maniera rapida e indolore qualsiasi tentativo di elaborazione interiore, stroncandola sul nascere e annegandola nella banalità di una frase preconfezionata.

Laddove i social media sono nati proprio per favorire il contatto e l'interazione, nella speranza che da queste sinapsi virtuali scaturissero connessioni e idee, la loro trasformazione in semplici mezzi di diffusione di contenuti anziché di creazioni li sta trasformando in un ennesimo - ma di una pervasività senza precedenti - strumento di controllo dell'opinione e mantenimento dello status quo.
Mandela non ne sarebbe contento.

martedì 3 dicembre 2013

Dati AGCom ottobre 2013

Logo dell'AGCom

Sull'onda lunga del tema della decadenza da senatore di Silvio Berlusconi, il mese di ottobre 2013 si pone in una sorta di naturale continuità mediatica con settembre, malgrado sulla scena politica abbiano avuto rilevanza crescente le primarie del PD pianificate per dicembre, la scissione di Scelta Civica e soprattutto la legge di stabilità, con il valzer delle imposte sulla casa e la riduzione del cuneo fiscale.

In base a quanto riportato dai dati AGCom, le ore totali di informazione politica nel mese di ottobre sono state circa 363, un valore in calo rispetto ai mesi di agosto e settembre e addirittura il più basso da gennaio: il dato si pone in evidente contraddizione con la quantità e lo spessore dei temi politici trattati, ma simili anomalie e storture nel sistema mediatico italiano, in cui il sensazionalismo la fa da padrone sacrificando i temi di approfondimento, ormai non stupiscono più.

Dati AGCom ottobre 2013

Dati AGCom 2013 aggregati per mese

Rispetto ai mesi precedenti le voci dominanti dello scenario politico (PD-PdL-Governo) appaiono in leggero calo, passando dall'81% di settembre al 74%, un valore ancora eccessivo rispetto al fisiologico 60% circa che sarebbe lecito attendersi ma in ogni caso un'inversione di tendenza rispetto all'accentramento bipolarista dei mesi precedenti.
A fare le spese maggiori di questo calo paiono essere soprattutto il Presidente del Consiglio, Enrico Letta, ed il PD: trascinando il dibattito sulla legge di stabilità principalmente sul tema IMU, il centrodestra ha avuto infatti buon gioco nel marginalizzare i propri scomodi alleati nei telegiornali, mentre naturalmente continuava a infuriare il dibattito sulla decadenza di Berlusconi e iniziavano ad emergere le prime crepe tra Berlusconi stesso ed Angelino Alfano.
Dal canto suo, il PD non è riuscito a imporsi nel dibattito politico sui temi economici a sé cari, e al tempo stesso non ha saputo dare all'appuntamento - pur cruciale - delle primarie la giusta rilevanza mediatica, ritrovandosi schiacciato sul suo secondo valore più basso da inizio anno.

Al contrario, a registrare i maggiori incrementi rispetto al mese precedente sono stati Scelta Civica, UdC e in generale l'area centrista - anche se solo in funzione dell'abbandono della formazione da parte del suo fondatore e regista Mario Monti - ed in misura minore il MoVimento 5 Stelle, che resta tuttavia relegato intorno al 5% del tempo politico complessivo.

Del tutto marginali invece le oscillazioni delle altre formazioni parlamentari, SEL e Lega Nord, ridotte comunque a ruoli di comparse mediatiche nei telegiornali con percentuali che si aggirano intorno all'1%.

Dati AGCom ottobre 2013 aggregati per
area politico-culturale

Dati AGCom 2013 aggregati per
area politico-culturale

Osservando i dati aggregati per coalizione elettorale si nota un riaprirsi della forbice tra centrodestra e centrosinistra, che torna ad 11 punti percentuale dopo essere scesa a 7 il mese precedente, pur in un'ottica di sostanziale calo di entrambe le coalizioni principali. Mentre tuttavia il centrodestra perde appena il 3%, il calo per il centrosinistra arriva al 7%, trainato dalla pessima performance mediatica del PD.

Al contrario, si nota come il centro montiano - o per meglio dire ex-montiano - ottenga la propria migliore prestazione del post-elezioni, a causa delle fibrillazioni interne che hanno portato all'allontanamento di Mario Monti, mentre anche il M5S appare in lieve recupero pur restando al di sotto della soglia psicologica del 10%.

A livello di testate, il centrodestra appare dominante su RNews e TGLa7, laddove il centrosinistra ottiene le proprie migliori prestazioni su MTVNews e TG4.
Lo spazio maggiore alle divisioni dell'area centrista viene offerto su TG5 e TG3 mentre il M5S, infine, ha i maggiori spazi su TG1 e TGLa7.

Dati AGCom ottobre 2013 aggregati per
Istituzioni - Maggioranza - Opposizione

Dati AGCom 2013 aggregati per
Istituzioni - Maggioranza - Opposizione

Passando invece all'analisi per maggioranza, opposizione e istituzioni appare una sostanziale stabilità rispetto al mese precedente, una sorta di equilibrio - estremamente sbilanciato - che ormai perdura da tre mesi e che vede l'esecutivo intorno a 40%, la maggioranza stabilmente sul 50% e l'opposizione sul 10%.

I movimenti evidenziati si confermano ancora una volta a compartimenti stagni secondo questo metro di analisi, con compensazioni che in ultima analisi lasciano inalterata la situazione complessiva in uno stato di profondo ed evidente squilibrio in cui alcuni partiti di maggioranza possono giocare il doppio ruolo di sostegno e opposizione al governo e godere i frutti mediatico-elettorali di questo atteggiamento.

Le istituzioni ottengono i dati più rilevanti su MTVNews e Rainews, la maggioranza su Studio Aperto e TG4 mentre l'opposizione su TGLa7 e TG5.

Osservando l'aderenza complessiva alla par condicio si osserva come questo mese siano stati TG5 e TG2 i telegiornali migliori in assoluto; la testata della seconda rete RAI appare in questo speciale conteggio per il secondo mese di fila, mentre per la prima volta da molti mesi non vi appare più il TGLa7, che fino a questo momento era stato un valido esempio di maggior aderenza - o per meglio dire minore distanza - ai dettami legislativi.

Ottobre, pur nell'ambito di una varietà di eventi politici non indifferente, si pone in ultima analisi come un mese decisamente cristallizzato dal punto di vista mediatico, con equilibri tra i poli sempre più simili a quelli del Governo Monti, dove però la maggioranza politica aveva un colore decisamente differente. Stupisce ancora una volta come persino in RAI il centrodestra riesca ad essere in posizioni dominanti pur in assenza di una maggioranza politica a supporto, segno di una penetrazione profonda di quest'area politica nel management aziendale, consumata nell'arco del ventennio precedente.
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