venerdì 30 novembre 2012

Primarie, l'infografica

Locandina delle primarie del centrosinistra

Domenica 25 novembre si è tenuto il primo turno delle elezioni primarie del centrosinistra, attraverso cui gli elettori della coalizione "Italia Bene Comune" si sono espressi per scegliere il proprio candidato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri nelle prossime elezioni politiche della primavera 2013.
I cinque candidati erano Pierluigi Bersani (PD), Bruno Tabacci (ApI), Laura Puppato (PD), Nicola Vendola (SEL) e Matteo Renzi (PD).

Malgrado alcuni episodi di confusione tra i comitati dei vari candidati sui numeri dell'affluenza e sul risultato degli spogli, la giornata ha visto un rimarchevole esempio di partecipazione democratica, fattora indubbiamente positivo in un momento di crescenti sentimenti antipolitici.

Sebbene siano già stati spesi fiumi di inchiostro per raccontare e analizzare l'evento, è indubbiamente opportuno, attraverso tabelle e mappe, ripercorrere i punti salienti della consultazione.

Risultati del primo turno delle primarie di Italia Bene Comune

Per la prima volta nella storia delle primarie nazionali italiane nessun candidato raggiunge il 50% delle preferenze; per vie delle regole fissate per questa specifica consultazione ciò rende necessario il secondo turno tra i primi due classificati al primo, ovvero Pierluigi Bersani e Matteo Renzi.
Il segretario del PD è risultato il più votato con il 44.86% dei voti, mentre il sindaco di Firenze si è piazzato secondo con il 35,52%.

La tabella evidenzia i risultati regione per regione: Bersani si è imposto in diciassette realtà più la circoscrizione estero mentre Renzi ha prevalso in Toscana, Umbria e Marche. Il dato politico di avere tre regioni storicamente di sinistra su quattro schierate per Renzi ha nettamente prevalso sul dato meramente numerico delle regioni vinte o perse. Vendola si piazza ovunque terzo classificato nettamente staccato dai primi due contendenti, ad eccezione della sua Puglia dove arriva secondo a poca distanza da Bersani.

La netta diseguaglianza nei risultati tra una regione e l'altra è pienamente evidenziata dalla tabella della deviazione standard.


Deviazione standard
su base regionale
dei risultati del primo turno

Considerata la naturale variabilità dei risultati tra una regione e l'altra, il risultato atteso in una distribuzione uniforme sarebbe una deviazione standard crescente al crescere della percentuale dei risultati.
Il fatto invece che Bersani presenti un valore più basso sia di Renzi sia di Vendola evidenzia in maniera definitiva la portata nazionale del segretario PD, in grado di raggiungere prestazioni competitive in tutto il territorio nazionale.
Vendola, anche a causa di una campagna elettorale iniziata in ritardo per via di alcuni problemi giudiziari, non è stato capace di imporsi come leader credibile al di fuori dei confini della Puglia.
Renzi, invece, oltre ad aver vinto nelle tre regioni sopra citate, ha ottenuto risultati dignitosi in Piemonte e Veneto, ma altrove - soprattutto al sud - è apparso piuttosto evanescente, mostrando così un andamento altalenante; in termini di ballottaggio, questo da un lato permette di individuare con semplicità le aree geografiche su cui insistere, ma denota al tempo stesso l'incapacità di penetrare realtà politiche e sociali comunque diverse da quella di riferimento.

Risultati delle primarie per provincia conquistata da
Bersani (verde), Renzi (blu) o Vendola (rosso)

Risultati delle primarie per provincia (Bersani)

Risultati delle primarie per provincia (Renzi)

Risultati delle primarie per provincia (Vendola)

Le mappe con il dettaglio dei risultati provinciali consentono di individuare agevolmente le zone di forza dei tre candidati maggiori: il verde ha i suoi picchi di intensità in Emilia Romagna, Liguria, sud Lombardia e poi nel meridione del Paese, Basilicata, Calabria e le isole.
Renzi domina nell'appennino centrale, la Toscana interna, l'Umbria e le Marche settentrionali; con un curioso salto si passa poi, a nord, alle zone ex-democristiane di Cuneo e Asti e al Veneto occidentale, Verona e Vicenza, oltre che alla friulana Pordenone.
Vendola, infine, ottiene risultati degni di nota solo in Puglia, ma è significativo osservare che, pur attestandosi comunque su percentuali modeste, il candidato di SEL ottiene spesso prestazioni migliori nelle aree metropolitane: esaminando i dati, Vendola va molto meglio in provincia di Torino, Milano, Roma e Napoli rispetto, rispettivamente, a resto di Piemonte, Lombardia, Lazio e Campania.

Malgrado fosse ampiamente attesa, la necessità di un secondo turno di votazione ha in qualche modo sminuito la prestazione di Bersani in favore di quella di Renzi, spesso ben oltre i punti percentuale che dividono i due candidati che si sfideranno domenica 2 dicembre al ballottaggio.
Per spiegare l'exploit del sindaco di Firenze i suoi sostenitori calcano l'accento sulla vittoria nelle regioni rosse ed evidenziano come sia il popolo stesso di centrosinistra a domandare un rinnovamento radicale, mentre i suoi detrattori motivano il risultato con le infiltrazioni provenienti dal centrodestra e come una certa insofferenza verso i sistemi di potere che in Toscana, Umbria e in parte nelle Marche hanno amministrato le realtà locale in maniera ininterrotta per decenni.
L'analisi dei dati e in particolare il raffronto con il 2009 consentono di smarcare almeno in parte questi dubbi.

Confronto elezioni primarie 2009 e 2012

Rispetto alle primarie 2009 l'affluenza è salita di alcune migliaia di unità; ciò rende i due eventi assolutamente paragonabili, sebbene rispetto al 2009 il panorama politico sia profondamente mutato e le consultazioni avessero di fatto significati differenti.
Nel 2009 un PD in crisi dopo le Europee affidava a Bersani le proprie speranze di rinascita, oggi un centrosinistra inserito in un contesto multipolare si consulta per scegliere un leader che, salvo stravolgimenti dell'ultima ora, sarà con ogni probabilità il prossimo Presidente del Consiglio.
Malgrado il differente perimetro dei votanti, le differenti regole di voto e il differente panorama politico, è interessante e assai indicativo osservare come un valore sostanzialmente invariato a livello nazionale nasconda profonde differenze a livello regionale.

Cartogramma dell'affluenza 2012 su base 2009

Considerando la normale mappa dell'Italia il voto del 2009, il cartogramma riportato mostra come i delta di affluenza tra il 2012 e il 2009 abbiano sgonfiato o gonfiato le varie regioni del Paese.

Le regioni del sud, in massima parte, disertano il voto: -75.000 votanti in Campania, -50.000 in Sicilia, -40.000 in Calabria, -30.000 in Sardegna. Un andamento estremamente netto che solo in Puglia trova un argine seppur parziale nella candidatura di Vendola, politico - come si è anche visto dai risultati - più locale che nazionale in grado di arginare la fuga dal voto ad un modesto ma comunque significativo -10.000. È particolarmente significativo che queste siano le regioni dove Bersani vince, sia pure perdendo in voti assoluti e percentuali rispetto al 2009. Al sud Bersani tiene, Vendola fuori dalla Puglia non sfonda e Renzi è evanescente. né il sindaco di Firenze né il presidente della Puglia, in sostanza, paiono essere in grado di farsi apprezzare dall'elettorato meridionale.

La situazione è completamente differente al nord. Qui solo il Veneto mostra un calo significativo dei votanti (-10.000), mentre le altre regioni appaiono stazionarie o in incremento (Piemonte +20.000, Lombardia (+80.000). Bersani vince in tutte le regioni del nord, seppure non con distacchi abissali. È importante osservare come non vi siano correlazioni definitive tra l'incremento dei votanti ed i risultati di Renzi: il sindaco di Firenze va bene tanto in Piemonte quanto in Veneto, mentre ha stentato di più in Lombardia. Non è quindi corretto limitare alle invasioni da destra gli ottimi risultati di Renzi, ma al tempo stesso è altrettanto sbagliato pensare che i nuovi votanti delle primarie siano tutti per lui. I flussi sono nettamente più complessi di quanto un'analisi superficiale possa permettere di comprendere, ma già da subito permettono di sfatare i luoghi comuni più abusati dai commentatori politici.

Anche le regioni rosse presentano un trend in ascesa come numero di votanti, ma se Umbria e Marche sono in pari e l'Emilia avanza di circa 50.000 elettori, è la Toscana la sorpresa di queste primarie: +150.000 elettori, circa il 50% in più del 2009. Una cifra spropositata, un'affluenza monstre che ha - questa sì - premiato in maniera eclatante Matteo Renzi.
Vincere in Toscana alle primarie 2012 ha un peso del tutto differente dal vincere in Toscana nel 2009. Allora la regione pesava un pur dignitoso 9% sul corpo votante, mentre oggi è arrivata a sfiorare il 14%. La regione ha premiato in maniera strepitosa il primo cittadino del suo capoluogo, e non sono pochi quelli che in questo risultato vedono un importante regolamento di conti tra lo stesso Renzi e Enrico Rossi, presidente della Regione e bersaniano di ferro.

Confronto tra i risultati di Bersani
alle primarie 2009 e 2012

La presenza di Pierluigi Bersani sia alle primarie 2009 che a quelle 2012 consente di effettuare un'analisi particolareggiata sul suo tasso di gradimento nelle due consultazioni.
Il segretario PD aumenta la propria percentuale di consensi solo in Lazio e Sicilia, in entrambi i casi a fronte di una contrazione dei votanti, a riprova della capacità di contenimento e mantenimento dell'elettorato sull'intero territorio nazionale già evidenziata dalle precedenti analisi.
In termini di voti assoluti Bersani avanza in Emilia, Lombardia, Toscana, Valle d'Aosta ed estero, lasciando però sul campo punti percentuale: in tutte queste regioni l'affluenza si è espansa dal 2009 al 2012, evidenziando come dei nuovi voti in ingresso Bersani sia riuscito a intercettarne solo una parte minoritaria; che fosse Renzi il vero motore propulsivo in grado di attirare gente nuova alle primarie era d'altra parte cosa nota.
I cali peggiori per Bersani, infine, si sono avuti non già nella Toscana del suo principale avversario, ma proprio nel sud dove si è riconfermato dominatore: la regione che punisce maggiormente il segretario PD è il Molise, dove però può aver pesato l'esclusione dell'IdV dalla compagine di centrosinistra; pessimi risultati anche in Calabria, dove si è fatta sentire la fine dell'era Loiero, e in Puglia, dove però la forte concorrenza di Vendola è un fattore che nel 2009 non si presentava.

Malgrado le primarie 2012 abbiano visto un tasso di incertezza molto più ampio rispetto a quelle del 2009, pare difficile che Renzi possa strappare la vittoria a Bersani al secondo turno, in special modo considerando che il regolamento delle votazioni rende piuttosto difficili gli ingressi di nuovi votanti tra il primo ed il secondo turno.
Renzi, malgrado sia stato in grado di portare molti volti nuovi alle primarie del centrosinistra e abbia trovato nella propria regione un formidabile sostegno in termini di voti e partecipazione, non è riuscito né a far sì che la maggiore partecipazione gli assicurasse un vantaggio sul concorrente nelle regioni del nord, né a portare gente alle urne nel sud del Paese.
Considerato l'endorsement di Vendola a Bersani per il secondo turno, quindi, il risultato del ballottaggio sembra essere già scritto. Ma in politica mai dire mai.

sabato 24 novembre 2012

L'incandidabile

Giorgio Napolitano e Mario Monti

È bastata una semplice frase al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per conquistare, il 23 novembre, le prime pagine di tutti i quotidiani e allontanare, sia pure per poco, l'attenzione generale dalle imminenti primarie del centrosinistra che si terranno domenica 25 novembre.

Come riportato infatti diffusamente anche da un comunicato AGI, il Presidente ha affermato:

... [Monti] come si sa, non si può candidare al Parlamento perché è già parlamentare: questo non è un particolare da poco, qualche volta lo si dimentica. Quindi, non può essere candidato di nessun partito, e non può essere comunque, in quanto persona, candidato al Parlamento.

Napolitano, come è noto, è un fine politico, ma raramente una sua affermazione ha avuto altrettanti risvolti politici, palesi e reconditi, ed è pertanto opportuno analizzarne attentamente le implicazioni al fine di comprendere al meglio lo scenario politico presente e futuro.

Il Governo Monti, come è noto, è nato dopo la rovinosa caduta di Berlusconi nel mese di novembre 2011 in un momento di emergenza estrema per il Paese, squassato da uno spread molto alto, una credibilità internazionale minata da anni di inconsistenza politica e un rischio default piuttosto concreto.
La debolezza dell'Italia è stata, in ultima analisi, la forza di Monti, che sfruttando il proprio ruolo di "salvatore della Patria" ha potuto legare a sé le principali forze politiche nella costruzione di una maggioranza molto ampia e al tempo stesso instaurare un rapporto di sudditanza de facto del Parlamento nei confronti del Governo riuscendo a far approvare leggi particolarmente indigeste a questa o quella parte politica, ma che hanno avuto il merito, se non altro, di allentare la morsa della speculazione finanziaria sul nostro Paese.
Diversi politici e politoligi hanno osservato con apprensione l'evoluzione di questo meccanismo di progressivo annullamento del ruolo del Parlamento, giustamente paventando il deterioramento delle istituzioni democratiche ma talvolta dimenticando le responsabilità dell'insorgere di una simile situazione.

È però in ogni caso chiaro che la situazione, inevitabilmente, sarà profondamente differente dopo le elezioni politiche di aprile 2013.
L'inedita alleanza PdL-PD-Terzo Polo che sta sostenendo il Governo, infatti, non si ripresenterà alle elezioni di aprile; per di più, solo il Terzo Polo, almeno a parole, ha mostrato un'adesione reale e convinta alla linea Monti e si propone di perseguirne la politica, mentre PdL e PD hanno più volte ribadito di aver offerto sostegno al Professore solo per senso di responsabilità nazionale.
In realtà sarebbe stato arduo impostare linee politiche differenti da quella di Monti, considerata la situazione in cui versava e versa ancora il Paese, ma in un gioco politico in cui l'apparenza prevale sulla sostanza, la semplice manifestazione della volontà di dissociarsi dalla politica lacrime e sangue dell'ultimo anno impone a centrodestra e centrosinistra di correre separati.

Via via che le voci sulla possibile prosecuzione dell'esperienza di governo da parte di Mario Monti divenivano più insistenti, Alfano e Bersani da fronti opposti hanno iniziato a lanciare messaggi via via più espliciti contro tale eventualità, dal leader democratico che pur di sbarazzarsi di un pericoloso rivale nella strada per Palazzo Chigi gli spalanca la strada al Quirinale al segretario del PdL e alla sua dichiarazione del 18 novembre al TG2 in seguito alla domanda su un possibile Monti-bis:

Allora il premier annunci la sua candidatura. [cut] Per noi non è possibile un Monti bis perché non è possibile la collaborazione con Bersani. Abbiamo dubbi sulle scelte del governo tecnico, ma abbiamo stima per Monti.

Le parole di Alfano costituivano un tentativo neppure troppo velato di far rompere gli indugi al premier, farne annunciare la candidatura e con ogni probabilità offrirgli sostegno, in modo da assicurarsi l'alleanza con Casini, l'esclusione dalla coalizione montiana del PD e la conquista di un candidato credibile e vincente da spendere alle elezioni politiche per un PdL in evidente crisi di leadership.

Le parole di Napolitano, come forma e contenuti, sono in prima battuta proprio una risposta alla dichiarazione del segretario PdL, a cui rivolgono una vera e propria lezione di istituzioni: da un lato rimarcano lo status di Monti, incandidabile in quanto già senatore a vita, dall'altro, naturalmente, evidenziano come nel nostro Paese non vi sia l'elezione diretta del Presidente del Consiglio, e che quindi Monti non abbia alcun bisogno di candidarsi per poter ricoprire ancora una volta il ruolo di premier.

Proprio questa interpretazione è stata fatta propria dal Terzo Polo, che, tramite Fini, ha già dichiarato apertamente che pur non potendo candidare direttamente Monti nelle proprie liste parlamentari farà proprio il nome del Professore al momento delle consultazioni per la formazione del nuovo Governo.

Ma le parole di Napolitano sono da interpretarsi in una chiave di lettura più generale della bacchettata ad Alfano, e paiono proprio mettere un limite alle ambizioni centriste di accaparrarsi il nome e la figura di Monti in chiave elettorale.
Ciò che infatti il Presidente della Repubblica è riuscito a comprendere, e che invece alcuni leader politici ignorano - o scelgono di ignorare - è che l'oggettivo successo del Governo Monti tanto in termini di ampiezza di operato quanto di consenso popolare (che seppur in ribasso resta straordinariamente ampio se si conta il genere di leggi approvate) deriva proprio dalla terzietà dei Monti rispetto alla politica dei partiti, dalla sua estraneità rispetto alle lotte elettorali e ai sistemi di potere che contraddistingono il mondo politico.
Ascrivere Monti ad un partito o ad una coalizione ne farebbe perdere tutte le peculiarità che gli hanno concesso fino ad ora di operare con la massima libertà ed efficacia, in qualche modo "bruciandolo", come si usa dire in gergo.

Non sono stati pochi i giornalisti e i commentatori che hanno visto nelle parole di Napolitano un'incrinatura nell'asse fino ad oggi ferreo tra Palazzo Chigi e Quirinale, ma bisogna tenere conto, in un simile frangente, dell'inevitabile divergenza di vedute che possono intercorrere tra il Presidente della Repubblica e il Presidente del Consiglio: quest'ultimo può infatti avere maturato delle legittime ambizioni politiche, ma il Presidente della Repubblica ha il dovere di agire nell'interesse dello Stato, in questo caso per preservare una risorsa politica del Paese come Monti dalle grinfie dei partiti: solo se il Professore resterà lontano dalle campagne elettoralie dalle logiche di coalizioni il suo nome resterà sinonimo di unità nazionale e potrà essere spendibile per le emergenze future; altrimenti Monti diventerà solo un politico come tanti.

E questo, secondo Napolitano, è un prezzo che il Paese non si può permettere.

mercoledì 21 novembre 2012

Arrivano Redditometro e Redditest

Attilio Befera

Dopo Serpico, si evolve ancora la lotta all'evasione fiscale con la presentazione, da parte del Direttore dell'Agenzia delle Entrate Befera, del nuovo Redditometro 2012, uno strumento in grado, valutando le spese effettuate dagli Italiani, di individuare eventuali situazioni anomale tra quanto dichiarato a livello di reddito o patrimonio e quanto speso.

Il nuovo redditometro, atteso fin dal lontano 2009, si aggiorna comprendendo oltre un centinaio di voci di spesa, che spaziano dai beni di lusso ai mutui, dal turismo ai movimenti bancari, cercando di mantenere una fotografia aggiornata sulla società. Vengono inoltre introdotti elementi di peso delle singole voci sulla base di parametri certi e verificabili, come la potenza delle auto acquistate o la composizione del nucleo familiare.
Il redditometro si integra quindi con Serpico e ne guida in qualche modo le operazioni: se il sistema presentato lo scorso anno è un raffinatissimo strumento di calcolo e di incrocio dei dati, il redditometro ne costituisce in qualche modo lo strumento di guida e indirizzo, l'identificatore di quali parametri dovranno essere considerati rilevanti al fine di individuare i potenziali evasori e in quale misura.

Il Governo prosegue quindi con determinazione nella lotta all'economia sommersa, ad oggi uno dei maggiori fattori di iniquità sociale e di acutizzazione della crisi economica per molte persone e famiglie oneste.

I primi risultati del redditometro appaiono eclatanti: circa il 20% delle famiglie italiane, oltre quattro milioni, non avrebbe le carte in regola in quanto spende molto di più di quanto sembra potersi permettere, e all'interno di questo insieme colpisce circa un milione di famiglie che dichiara un reddito nullo o in ogni caso vicino allo zero.
Se Befera getta acqua sul fuoco e invita alla prudenza ricordando che il redditometro misura la spesa e non il flusso di cassa - in quanto entrate di capitale non soggette a tassazione o tassate alla fonte o ancora donazioni ed eredità non vengono prese in esame dal sistema - i dati appaiono talmente importanti da lasciar sperare che finalmente la lotta all'evasione fiscale possa essere condotta in maniera sistemica e non sporadica come troppo spesso si ha l'impressione.

Appaiono piuttosto rilevanti anche le novità sull'approccio tra la pubblica amministrazione ed il cittadino presunto evasore, incentrate sul tema del doppio contradditorio: se i sistemi informatici rilevano presunte irregolarità, infatti, l'Agenzia delle Entrate considererà il cittadino come un "osservato speciale", invitandolo a fornire motivazioni per le proprie spese. I dati forniti dal cittadino verranno quindi integrati nel calcolo dei sistemi dell'Agenzia, e solo in caso di permanenza delle irregolarità scatteranno le indagini vere e proprie, di cui il cittadino dovrà poi rendere conto.
Questo sistema, nelle intenzioni di Befera e dell'Agenzia delle Entrate, dovrebbe costituire una sorta di filtro a favore del cittadino per proteggerlo dalle soglie di tolleranza dei sistemi informativi deputati all'individuazione dei casi di evasione, una sorta di limbo in cui il cittadino ha la possibilità di chiarire la propria posizione senza divenire necessariamente un indagato.

Non ultima tra le novità del rapporto tra cittadini e fisco presentate da Befera si posiziona il ReddiTest. Questo strumento software, attraverso una versione ridotta e qualitativa degli algoritmi utilizzati dall'Agenzia delle Entrate per scovare i casi di presunte irregolarità fiscali, consente a tutti i cittadini di valutare in maniera piuttosto semplice la propria esposizione ai controlli fiscali.
Inserendo i propri dati anagrafici ed il dettaglio delle spese effettuate durante l'anno, il programma restituirà un semplice indicatore qualitativo: una luce verde se viene riscontrata coerenza tra entrate e uscite, una luce rossa in caso contrario.
Lo scopo dichiarato dell'applicazione è fornire ai cittadini uno strumento utile per monitorare la propria gestione finanziaria con l'occhio del fisco, e capire se il proprio comportamento sta attirando o meno l'attenzione dell'Agenzia delle Entrate: la speranza è che la semplice minaccia di un intervento del fisco possa ricondurre a comportamenti più corretti gli evasori fiscali, secondo la consueta logica del "prevenire è meglio che curare".

Proprio il ReddiTest, tuttavia, ha concentrato su di sé le osservazioni e le polemiche che inevitabilmente accompagnano questo tipo di annunci, fino ad oscurare tutte le altre - spesso ben più importanti - notizie in merito.
Sono in particolare due gli ordini di critiche mossi verso questo strumento.
Il primo tema è naturalmente costituito dalla privacy: le informazioni volontariamente fornite dai cittadini verranno salvate e utilizzate dall'Agenzia delle Entrate? Il ReddiTest costituisce uno strumento di schedatura delle abitudini delle persone? Al di là del mero significato fiscale, è chiaro che un compendio del genere sarebbe preziosissimo anche per scopi completamente differenti come indagini di mercato e pubblicità mirata. La stessa presenza di simili dati su un database ministeriale sarebbe un fattore critico, in quanto esposti all'attacco dei pirati informatici. A questo tipo di osservazioni ha risposto lo stesso Befera, assicurando che gli utilizzi del ReddiTest sono assolutamente anonimi e che le comunicazioni con l'agenzia delle entrate riguardano solo l'aggiornamento delle versioni del programma e i dati dell'algoritmo di calcolo, che per ovvie ragioni risiedono sul server dell'Agenzia. Non vi sarebbe dunque un invio di dati sensibili dal computer del cittadino ai server dell'Agenzia delle Entrate. L'affermazione è stata parzialmente confermata anche da uno studio condotto da Il Sole 24 Ore, che ha potuto stabilire come il programma, lato client, non è predisposto per l'invio di dati sensibili; ciò che non è stato possibile verificare, e per i quale occorre fidarsi delle parole di Befera, è il comportamento lato server, ovvero che i file presenti sulle macchine dell'Agenzia delle Entrate non impongano un invio dei dati da parte del client.
Il secondo tema è invece più filosofico e denso di significato. Un cittadino onesto non ha nulla da temere dal ReddiTest, e potenzialmente dovrebbe essere interessato a usarlo soltanto per capire se la propria posizione ricade in uno dei casi di comportamento onesto che tuttavia i sistemi informativi del fisco tracciano come anomalia. Al contrario, lo strumento sembra fatto apposta per misurare l'abilità di un evasore, e fornire a questi ultimi uno software in grado di evidenziare quando le loro attività superano la soglia oltre la quale o Stato prende atto di un comportamento anomalo e potenzialmente illegale. Una persona, quindi, potrebbe costantemente verificare il successo dei propri tentativi di evasione, trovando nello strumento, anziché un deterrente, un incoraggiamento nella propria attività illecita. In questo caso le rassicurazioni dell'Agenzia delle Entrate riguardano la taratura degli strumenti, che dovrebbe essere nettamente sbilanciata verso l'eccessiva rigidità più che verso l'eccessivo lassismo. La speranza dello Stato, sostanzialmente, è che non esistano comportamenti illeciti che il sistema non riconosce come tali; saranno i fatti, naturalmente, a confermare o smentire tale ipotesi.

Ciò che al momento è certo è che la guerra contro l'evasione continua.

sabato 17 novembre 2012

Dati AGCom ottobre 2012

Logo dell'AGCom

Le dimissioni di Formigoni in Lombardia, le elezioni siciliane, le primarie del centrosinistra e l'avvicinamento alle elezioni politiche 2013: relegata in sordina la crisi economica, sono i temi prettamente elettorali a tenere banco nell'informazione politica del mese di ottobre 2012, proseguendo ed estremizzando un trend iniziato nel mese precedente.
Persino la controversa legge di stabilità viene affrontata più come oggetto di mercanteggiamento e propaganda elettorale che per i suoi reali impatti sulla malmessa economia italiana.

I dati pubblicati dall'AGCom, infatti, evidenziano un consolidamento dei principali partiti nei telegiornali italiani, tutto a discapito della compagine di Governo, che si vede quasi dimenticata dopo mesi di protagonismo assoluto.

Dati AGCom ottobre 2012

Già la tabella dei dati grezzi consente infatti di individuare quali sono i temi salienti dell'informazione politica del mese: PdL e PD toccano valori altissimi, polverizzando i record annuali di presenza televisiva, proprio mentre Presidente del Consiglio e Governo sprofondano ai loro minimi. Per i telegiornali italiani la campagna elettorale è nel suo pieno svolgimento, complice anche il dibattito sulla legge elettorale e la sua travagliata gestazione.

In particolare il PdL sfonda la soglia psicologica del 30% del tempo totale complessivo, mentre il PD si attesta poco sotto al 20%. Se per i democratici tuttavia la spinta propulsiva di questo picco è dettata dalle primarie e dall'elezione di Crocetta in Sicilia, per il partito di Alfano si tratta invece di un tempo televisivo molto meno gradito, legato alle dimissioni di Formigoni dal vertice della regione Lombardia, dalla sonora sconfitta elettorale siciliana e dalle continue giravolte sulla ricandidatura di Berlusconi come leader del centrodestra.

Tra le formazioni minori si nota l'avanzamento della Lega Nord - spinta con ogni probabilità dalla candidatura di Maroni alla regione Lombardia - e di SEL, che come il PD si avvantaggia delle primarie di centrosinistra.
Curiosamente in calo invece il MoVimento 5 Stelle, malgrado l'esito storico delle consultazioni siciliane: evidentemente i diktat di Grillo contro la partecipazione degli esponenti del movimento ai talk show hanno ripercussioni anche all'interno dei telegiornali.

Dati AGCom ottobre 2012 aggregati per
Istituzioni - Maggioranza - Opposizione

Dati AGCom 2012 aggregati per
Istituzioni - Maggioranza - Opposizione

La presenza di PD e PdL nella maggioranza che sostiene il Governo Monti determina ovviamente un'esplosione della voce "Maggioranza" nei grafici dei dati aggregati: dopo aver superato le istituzioni e aver raggiunto la maggioranza assoluta del tempo politico dei TG nel corso del mese di settembre, ottobre non fa che accentuare l'andamento già rilevato, avvicinando la quota di tempo televisivo dei partiti di maggioranza ad un eccezionale 60%. Il lieve incremento del tempo dedicato alle opposizioni, con M5S e IdV in calo, è dovuto unicamente al ritrovato protagonismo della Lega in chiave elezioni regionali lombarde.

I telegiornali che si sono mostrati più fedeli alle istituzioni sono stati TG1 e TG2, mentre coloro che hanno dato maggiore spazio alle forze di maggioranza si sono rivelati TG4 e Studio Aperto; infine, le testate che hanno offerto più rilevanza alle forze di opposizione sono stati questo mese TGCOM24 e TG3.

Dati AGCom ottobre 2012 aggregati per
area politico-culturale

Dati AGCom 2012 aggregati per
area politico-culturale

L'aggregazione per area politico-culturale, che vede PD e PdL in campi avversi, appare sicuramente più interessante dell'analisi precedente.
Lo squilibrio tra centrodestra e centrosinistra, pur evidente (10%), appare tuttavia in calo rispetto al mese di settembre di sette punti percentuale, complice la maggior crescita del PD rispetto al PdL.
Ciò che tuttavia è interessante è il letterale cannibalismo delle due aree principali rispetto al resto del panorama politico: se la destra infatti ha un segno positivo grazie alla Lega di Maroni, il centro moderato e la sinistra radicale stanno letteralmente scivolando verso l'irrilevanza politica, mentre persino l'alternativa fuori dagli schemi di Grillo vede il segno meno dopo alcuni mesi di crescita continua.

Il dato tra questi più interessante è indubbiamente quello del centro: se infatti da un lato era già noto e certificato il fallimento di Casini di costruire un centro autonomo e determinante nel sancire i risultati elettorali, colpisce come nemmeno le insistenti voci di un Monti-bis (di cui il centro dovrebbe essere principale sotenitore) riescano a catturare in maniera rilevante l'attenzione delle testate televisive.

Esaminando lo spaccato per testata, emerge come la destra leghista abbia avuto la sua cassa di risonanza din TGCOM e TG1, il centrodestra in TG4 e Studio Aperto, il centro moderato abbia avuto maggior risalto su TG1 e TG2 mentre infine il centrosinistra sia stato maggiormente rappresentato su RepTV30 e Rainews.

Dati AGCom 2012 aggregati per mese

Quella che nel mese di settembre poteva essere considerata un'anomalia si rivela invece un trend ben definito di avvicinamento alle elezioni politiche; contrariamente ai sondaggi elettorali, il centrodestra è tuttavia ancora dominante nella televisione italiana, non solo sui canali Mediaset ma in maniera pervasiva in tutto il sistema telegiornalistico.
Si tratta probabilmente dell'ultimo lascito dell'era berlusconiana, un'eredità ancora però pesantemente in grado di influenza l'umore, l'opinione e in ultima analisi la direzione di voto della gente.

mercoledì 14 novembre 2012

Obama, il discorso della vittoria

Barack Obama (DP) con la moglie Michelle
e le figlie Sasha e Maila

Malgrado i sondaggi della vigilia indicassero come probabile la rielezione di Barack Obama, le elezioni presidenziali americane 2012 hanno tenuto il mondo intero con il fiato sospeso per una notte intera prima che si delineasse con chiarezza la nuova vittoria del candidato democratico, che gli spalanca per la seconda volta le porte della Casa Bianca e gli consegna l'onore e l'impegno di guidare gli Stati Uniti fino al 2016.

Nei suoi discorsi Obama non ha mai avuto remore ad affrontare - con la consueta abilità mediatica - anche temi spinosi e controversi, pertanto l'analisi delle sue parole è spesso stata utile per comprendere e talvolta anticipare l'indirizzo politico della sua azione di governo.
Particolarmente importante a questo proposito diventa inevitabilmente il discorso della vittoria, il discorso pronunciato il giorno successivo alle elezioni una volta chiara e ufficializzata la rielezione alla massima carica degli USA e del mondo intero.

La trascrizione del discorso in forma integrale è disponibile a questo link.

Come spesso accade, il flusso delle parole di Obama è molto fluido e ben costruito, ed i differenti argomenti si succedono in maniera naturale, in una catena di premesse e conseguenze che non fa che rimarcare la profonda attenzione all'aspetto comunicativo del Presidente degli Stati Uniti; è tuttavia possibile suddividere il discorso in macrosegmenti logici, legati rispettivamente ai temi dei ringraziamenti, degli ideali e delle politiche.

La prima parte del discorso (quasi il 50% del totale), come d'obbligo in un testo dal sapore così celebrativo, è interamente dedicata ai ringraziamenti. Come da consueta retorica statunitense la famiglia gioca un ruolo importante in questo ambito, e così non stupiscono i riferimenti alla moglie Michelle e alle figlie Sasha e Maila.
Una parte molto rilevante di questa sezione del discorso, come già accaduto nel 2008, è però legata al ringraziamento agli elettori, e in generale alla celebrazione della democrazia elettiva come strumento di "speranza" e "progresso"; all'interno di questo ambito, in cui il confronto tra democratici e repubblicani viene - giustamente - ridotto alla sua reale dimensione di dialettica tra persone che hanno idee differenti sul raggiungimento di un obiettivo comune, si pone l'onore delle armi al candidato sconfitto il repubblicano Mitt Romney.
È significativo - e costituisce ulteriore merito per l'abilità oratoria di Obama - notare come l'apertura di Obama alla collaborazione con il GOP, perfettamente inserita e motivata nella catena di ragionamenti del discorso, non sia in realtà altro che la presa di coscienza di essere un lame duck president, in quanto un ramo del Parlamento è a maggioranza repubblicana e questo costringerà Obama a lunghi ed estenuanti compromessi sul suo programma politico.
La parte conclusiva e forse più interessante della sezione dei ringraziamenti riguarda tuttavia tutti i collaboratori di Obama nella campagna elettorale, partendo dallo staff fino alla miriade di volontari che, porta a porta o telefonicamente, hanno pazientemente contattato i cittadini americani facendo propaganda per il Presidente ed il Partito Democratico. Oltre ad essere un omaggio estremamente toccante ed efficace nel far sentire ancora più unito il popolo liberal statunitense, costituisce una valida base di appoggio per introdurre i temi prettamente politici del discorso, sia celebrando quanto già ottenuto andando a descrivere le motivazioni dei volontari, sia individuando le tematiche dominanti del secondo mandato.

La seconda parte del discorso (poco più del 10% del totale) elenca con decisione quali sono gli ideali che muovono la politica di Obama, gli obiettivi ultimi del suo mandato come presidente e della sua personale visione della politica progressista d'America: deve colpire il fatto che Obama metta al primo posto istruzione e leadership tecnologica e scientifica, e ne parli addirittura prima dell'economia e di quel grande pilastro della giustizia sociale che è l'eguaglianza.
In questo Obama si mostra altamente realista persino quando si tratta di proporre sogni: ha individuato nella supremazia tecnica e scientifica degli USA tanto le cause prime della leadership mondiale del colosso nordamericano quanto il volano della ripresa economica dopo anni di crisi e stagnazione.
Questi punti diventano così la premessa fondamentale per il libro dei sogni vero e proprio, fatto di tolleranza, eguaglianza, mobilità sociale e libertà.

Proprio l'accenno all'economia costituisce il trigger che consente al Presidente Obama di volare verso la terza ed ultima parte del discorso, quella incentrata sulle azioni politiche.
Dopo una doverosa premessa sui miglioramenti economici degli ultimi mesi e sulla necessità - ancora una volta mascherata da patriottismo - di compromessi con i repubblicani, Obama elenca in maniera diretta i principali punti di azione della propria politica economica nel corso di questo secondo mandato: Reducing our deficit. Reforming our tax code. Fixing our immigration system. Freeing ourselves from foreign oil.
Obama non si addentra, né era da aspettarselo, nei dettagli delle sue proposte, ma è chiaro che l'economia sarà il motore del suo secondo mandato; al tempo stesso il Presidente evidenzia, sfumando verso la chiosa finale, le difficoltà che attanagliano e ancora attanaglieranno il Paese, suggerendo solo come attraverso i valori precedentemente elencati - di cui offre esempi a tratti anche lirici - gli USA potranno continuare a giocare il loro attuale ruolo nella politica mondiale.

Tag cloud del discorso di Barack Obama

Di particolare interesse, naturalmente, è il tag cloud del discorso di Obama.
Come si vede, è la parola "America" a dominare il discorso, vuoi per il consueto patriottismo che anima i discorsi dei politici d'oltreoceano vuoi per un ecumenico desiderio di Obama di ricalcare la propria posizione di presidente dell'intero Paese dopo le lacerazioni politiche e sociali di una campagna elettorale particolarmente intensa. Nella stessa accezione si possono considerare i riferimenti a "country" e "nation".
Non deve poi stupire l'importanza nelle parole del Presidente delle parole "work" e, anche se in misura minore, "job": è infatti proprio nella ripresa occupazionale la chiave della vittoria di Obama, che ha fatto del lavoro la propria bandiera anche in termini di contrapposizione ad un Partito Repubblicano spesso troppo legato al mondo della finanza.
A queste parole fanno da contorno altri lemmi che aiutano a caratterizzare non tanto l'azione politica di Obama, quanto piuttosto il suo background ed il suo modo di fare e interpretare la politica: i verbi "make", "want" e "fight", attraverso cui il Presidente intende rimarcare il modello del sogno americano e ricondurre risoluzione della crisi economica alla volontà e alla capacità degli Americani, le parole "hope" e "future", termine altamente evocativi nella mobilitazione dell'elettorato e indubbiamente decisivi nel determinare le sorti dell'elezione; a questi fanno da corollario altre parole forse più ai margini ma che consentono di dettagliare meglio il senso ultimo del messaggio di Obama: "love", "family", "thank", "know", "new".

Il discorso di Obama si contraddistingue dunque per eleganza e raffinatezza, ma al contrario di come si poteva supporre risulta anche intenso in termini di contenuti e anche piuttosto preciso per quanto riguarda quelli che saranno i temi caratterizzanti del mandato.
Ci si trova di fronte ad un Obama più maturo, forse lontano dalle vette liriche del 2008 quando era il "Presidente del miracolo" ma forse ancora più efficace, avendo trovato il giusto connubio tra la capacità di far sognare e quel cerebralismo così necessario nell'affrontare il vivere quotidiano della politica.

venerdì 9 novembre 2012

Il declino dei partiti deduttivi

Le penseur di Auguste Rodin

Le recenti affermazioni del MoVimento 5 Stelle alle ultime consultazioni elettorali, di cui il prodigioso risultato alle elezioni regionali in Sicilia non è che l'ultimo tassello, hanno portato alla ribalta nelle discussioni politiche il tema della forma-partito.
Indubbiamente, anche a causa degli innumerevoli scandali che stanno affondando alcune tra le principali formazioni della Seconda Repubblica, oggi l'immagine dei partiti è fortemente appannata, e questo, unito all'affermazione politica di chi propugna la sostituzione del sistema dei partiti con forme del tutto differenti di organizzazioni politiche o addirittura con la democrazia diretta, non può che far riflettere su quali debbano essere le cause di questo declino tutto italiano di questa tipologia di organizzazione politica.

Come spesso è meglio in questi casi, è opportuno partire dalla definizione. Consultando il dizionario on-line www.dizionario-italiano.it, si trova:
partìto [par'tito]
1 s.m. - associazione di cittadini per lo svolgimento di una comune attività politica
2 s.m. - decisione, alternativa
3 s.m. - occasione di matrimonio
4 s.m. - {araldica} scudo diviso in due parti uguali da una linea verticale passante per il centro

La definizione di partito, quindi, è sicuramente molto generale, e di per sé non ha connotazione né positiva né negativa.
Affermare che una struttura politica basata sull'associazionismo dei cittadini sia di per sé negativa o dannosa è quindi una frase priva di senso, e spinge ad indagare ulteriormente sul perché il senso comune e l'esperienza quotidiana associno al termine "partito" (peggio ancora se associato all'aggettivo "tradizionale") un significato ormai deteriore.

Sicuramente vi è un primo livello di indignazione e sdegno legato a tutti quegli episodi di autoconservazione quando non addirittura di malaffare che hanno coinvolto in Italia diverse formazioni politiche.
Si va da fenomeni di collusione della malavita organizzata con la politica - quando non addirittura di una vera e propria penetrazione della prima nella seconda - ad atti di autoprotezione che, seppure non illegali, risultano particolarmente odiosi in momenti di grave crisi economica.
Non stupisce che formazioni politiche più interessate all'autoconservazione attraverso la perpetuazione dei loro costosissimi privilegi oggi incappino nella disapprovazione e nel disgusto della popolazione.

Vi è tuttavia un fenomeno di sfiducia più sottile ma non per questo meno importante.
I fenomeni sopra descritti, infatti, di per sé non sono sufficienti a screditare i partiti in quanto tali, se non nelle parole di qualche demagogo: mostrano invece la degenerazione di un sistema di per sé sano e funzionante, come dimostrano i numerosi esempi degli altri Stati democratici.
Ciò che al contrario potrebbe essere in grado di logorare in maniera forse definitiva il rapporto tra cittadinanza e la forma-partito di associazionismo politico è la progressiva perdita di capacità dei partiti di definire e - tentare di - costruire dei modelli sociali il più possibile completi e coerenti, modelli in cui il cittadino potesse identificarsi e provare senso di appartenenza nella vita quotidiana e non solo nella vita politica.

Come spesso accade, anche se è solo con il senno di poi che l'analisi riesce a ricostruire legami altrimenti forse troppo labili, la politica si è dimostrata figlia della filosofia, e così come i grandi modelli omnicomprensivi di Hegel hanno via via lasciato spazio a formulazioni dell'esistenza più destrutturate, le ideologie politiche novecentesche si sono dissolte creando un vuoto di potere tuttora incolmato, costringendo i partiti ad una vera e propria traversata del deserto, alla ricerca di un'identità a cui aggrapparsi che procede quasi alla cieca.
Si è passati dal partito deduttivo al partito induttivo.

Come è noto, la deducione è quel processo del ragionamento umano che parte da postulati e principi primi e, attraverso una serie di rigorose concatenazioni logiche, procede verso determinazioni più particolari attinenti alla realtà tangibile. L'induzione, al contrario, è un procedimento che partendo da singoli casi particolari cerca di stabilire una legge universale.
La contrapposizione piuttosto che la sinergia tra questi due metododologie di pensiero ha segnato la storia della filosofia, e indubbiamente anche nella politica, o meglio nel rapporto tra politica e cittadinanza, le differenze tra questi due processi hanno pesanti conseguenze.

Un partito deduttivo possiede una propria visione - il più possibile omnicomprensiva - del mondo, ha consci i propri obiettivi a lungo termine ed ha chiaro il ruolo di ciascun elemento della vita quotidiana nella realizzazione del modello di cui si fa portavoce. La linea politica di un partito deduttivo è basata sul raffronto tra le scelte da intraprendere su un tema specifico in rapporto all'obiettivo generale che si propone di realizzare; la scelta del momento potrà quindi essere sub-ottima, ma la migliore nel contesto del quadro complessivo.

Un partito induttivo, al contrario, procede dal particolare al generale offrendo un approccio il più possibile concreto alle decisioni immediate lasciando che siano queste a determinare l'indirizzo a lungo termine. L'assunto su cui si basa l'azione di un partito induttivo è proprio che decisioni ottime localmente determinino il miglior percorso politico possibile a livello globale.
Inoltre, anche dal punto di vista del consenso e del supporto, si presuppone che la sequenza di decisioni ottimali sopra descritta riesca a massimizzare l'appoggio della cittadinanza verso il partito.

La realtà, tuttavia, è ben diversa.
Da un punto di vista prettamente politico, perseguire obiettivi ottimali localmente non garantisce l'ottimalità sull'obiettivo generale. Lo studio dei sistemi complessi e la ricerca delle loro configurazioni ottimali è una branca che ha ormai abbandonato la matematica pura per tuffarsi nella biologia e nell'economia: la politica è colpevolmente in ritardo nell'utilizzo di strumenti adeguati per l'approccio ai problemi complessi, ma il modello generale è indubbiamente lo stesso.
Perdere di vista, quindi, il quadro d'insieme per perseguire una serie di risultati locali significa rinunciare alla ricerca della migliore strada politica.

Oltre che dal punto di vista politico, il partito induttivo risulta perdente - e questa a prima vista potrebbe essere una sorpresa - anche da quello del consenso. Se infatti è vero che sui problemi specifici i partiti induttivi possono ottenere maggiori risultati e contestualmente un maggior apprezzamento, non è da sottovalutare la possibilità, limitata ai partiti deduttivi, di riuscire a vendere un brand globale e omnicomprensivo alla popolazione, un brand ad alto tasso di fidelizzazione in grado di trasformare il partito in "comunità".
Allo stesso tempo, la capacità di ricondurre ogni propria scelta politica ad un obiettivo di più alta portata è in grado di proteggere l'azione politica del partito deduttivo da casi di - presunta o reale - incoerenza, laddove un partito induttivo non può godere di una simile protezione.

Se i vantaggi sono tutti così a favore dei partiti deduttivi, perché esistono partiti induttivi? Perché i partiti politici italiani si sono evoluti - o per meglio dire involuti - dalla deduzione all'induzione?
In realtà è difficile che si tratti di una scelta volontaria. La scomparsa delle ideologie sociali che hanno caratterizzato il XX secolo, senza che vi fossero nuovi grandi movimenti da abbracciare, ha costretto i partiti a navigare a vista, a procedere a tentoni alla ricerca di una propria vocazione senza alcun appoggio ideologico.
L'incapacità quindi di potersi ricondurre ad un impianto sociale di ampia portata e di offrire ai propri simpatizzanti un modello politico "di vita" sta lentamente uccidendo la credibilità dei partiti ancora di più degli scandali e del malaffare, perché consiste nell'effettiva perdita di significato della forma-partito in tutte le sue declinazioni. La crisi dei partiti è legata a doppio filo al declino dei modelli sociofilofofici del passato e all'incapacità non solo politica ma in ultima analisi intellettuale di individuare nuovi stimoli in tale campo. Né i processi induttivi paiono riuscire in sé stessi a condurre a quelle necessarie generalizzazioni in grado di generare nuove correnti di pensiero di ampio spettro.
Sotto la spinta di un crescente populismo, è quindi necessario capire che la crisi dei partiti nasce da un inaridimento intellettuale prima ancora che politico, e che solo attraverso formulazioni - anche ardite, anche sbagliate - di pensiero sociale innovative e inclusive sarà possibile arginare tale deriva.

lunedì 5 novembre 2012

Primarie, un passo falso?

Logo delle primarie del centrosinistra 2012

Da domenica 4 novembre si è aperta ufficialmente la corsa alle primarie del centrosinistra, da cui dovrebbe scaturire il candidato alla Presidenza del Consiglio di una coalizione progressista che ad oggi comprende PD, SEL e PSI.

Sono cinque i candidati che si confronteranno in questa tornata elettorale: Pierluigi Bersani, segretario del Partito Democratico, Bruno Tabacci, assessore al bilancio del Comune di Milano, Laura Puppato, consigliere della Regione Veneto, Nicola Vendola, Presidente della Regione Puglia e Presidente di Sinistra Ecologia Libertà, e infine Matteo Renzi, sindaco del Comune di Firenze.

Le primarie non sono certamente una novità nel centrosinistra italiano, e dal 2005 ad oggi sono stati numerosissimi gli appuntamenti, a livello locale e nazionale, in cui sono state utilizzate come strumento per l'individuazione di un candidato o direttamente per l'elezione a cariche di partito.
Queste particolari primarie, tuttavia, si differenziano da tutte le precedenti per le numerose novità apportate alle modalità di espressione del voto, che così tante polemiche hanno suscitato nelle ultime settimane.

Come riportato nel sito ufficiale delle primarie 2012, ed in particolare nelle sezioni "come si vota" e "regolamento", questa volta non sarà sufficiente recarsi alle urne il giorno stabilito e apporre la propria preferenza, ma sarà necessaria una fase precedente di iscrizione ad una sorta di albo elettorale, una pre-registrazione solo attraverso la quale si potrà poi votare realmente.
Come descritto nel portale, la registrazione potrà avvenire negli uffici elettorali preposti oppure direttamente on-line nella sezione dedicata del sito dal 4 al 25 novembre, giorno stesso delle elezioni.

Agli interessati viene richiesto nome, cognome, data di nascita e i dati di residenza dalla regione fino alla sezione elettorale di appartenenza, oltre - ma è facoltativo - all'indirizzo mail e al numero di telefono. Verrà rilsciato quindi un foglio da portare poi al seggio al momento del voto; in caso di registrazione on-line lo stesso foglio verrà fornito in formato pdf.
In realtà, grazie alla possibilità di registrarsi on-line, questa fase supplementare non porta via più di un paio di minuti, ma costituisce un impegno anche gravoso per chi non è a conoscenza o comunque non è in grado di sfruttare una simile possibilità.
Di certo avrà impatti negativi anche rilevanti sull'affluenza, che per le elezioni primarie è un parametro forse altrettanto importante del nome del vincitore.

La seconda novità è il doppio turno: nel caso in cui nessun candidato riesca a raggiungere il 50% dei voti validi si terrà un ballottaggio ad una settimana di distanza dal primo turno, che coinvolgerà i due candidati più votati al primo turno. Anche in questo caso si tratta di un appesantimento delle operazioni, che rischia di creare una stanchezza verso l'impianto in sé e causare un allontanamento dalle urne tra il primo ed il secondo turno.

Entrambe le novità apportate alle primarie del centrosinistra, dunque, paiono essere di ostacolo alla partecipazione, e quindi un atto di sostanziale autolesionismo, così simile ai tanti che i progressisti italiani hanno commesso nel corso degli anni. Eppure l'evidenza del danno, in questo caso, è talmente palese da escludere un peccato di ingenuità o scarsa valutazione delle conseguenze, e richiede un'analisi più approfondita sulle motivazioni che hanno condotto a simili scelte.

Come evidenziano i principali sondaggi, malgrado i candidati siano cinque la corsa per la vittoria pare ad oggi essere appannaggio di due soli concorrenti, Bersani e Renzi, con il primo in vantaggio sul secondo ma con un margine che a seconda della rilevazione sondaggistica appare piuttosto variabile e sicuramente al di sotto dei margini di tranquillità.
Matteo Renzi, con le proprie istanze di rinnovamento - anzi, di rottamazione - e con un programma border-line sul lato destro della coalizione si è ritagliato uno spazio consistente tanto nelle simpatie del popolo di centrosinistra quanto soprattutto nei media, ed è oggi indubbio che una sua vittoria sposterebbe nettamente verso destra l'intero profilo della coalizione progressista.
Le primarie del centrosinistra, come è noto, sono aperte a tutti, e questo include naturalmente anche eventuali elettori di centrodestra delusi dalla propria coalizione che vedono in Renzi un nuovo appiglio per le proprie istanze e le proprie idee. Vi è tuttavia un'implicazione sottesa in questo ragionamento, ovvero che coloro che votano alle primarie votino poi realmente il centrosinistra alle elezioni. Proprio perché questa implicazione si basa sulla buona fede e sull'onestà dei partecipanti, le primarie sono uno strumento di partecipazione democratica estremamente fragile, in quanto non vi è nulla che ne impedisca il boicottaggio, ovvero la partecipazione di persone o movimenti che desiderano lanciare una propria OPA sul centrosinistra, oppure desiderano votare per il canditato che avrebbe meno probabilità di imporsi alle elezioni, oppure, essendo di un'altra parte politica, desiderano semplicemente scegliere il candidato che riterrebbero essere il meno peggio qualora vincesse e approdasse al Governo.
In tutti questi casi è evidente che il candidato che emerge dalle primarie non sarebbe più il preferito degli elettori di centrosinistra, ma una persona scelta da una platea più ampia sulla base di caratteristiche che non sempre risultano essere positive ai fini della vittoria elettorale.
È opportuno precisare che nei precedenti appuntamenti elettorali non sono mai state prese contromisure per questo tipo di boicottaggi, né sono mai emerse notizie di un condizionamento pesante dell'esito delle primarie da parte di formazioni avverse: perché dunque oggi questo timore viene preso tanto sul serio? E le strategie individuate servono davvero a evitare la contaminazione delle consultazioni?

In tutte le primarie del passato sicuramente vi erano candidati più moderati e candidati più estremisti, ma è anche vero che - per ragioni storiche e personali - nessun candidato ha mai avuto un contatto diretto con l'elettorato del PdL come Matteo Renzi. Al di là dell'endorsement nientemeno che di Silvio Berlusconi, che può facilmente essere visto come un gioco politico di destabilizzazione delle consultazioni, è vero che Renzi riesce a fare facilmente breccia nell'elettorato di centrodestra e a conquistarne le simpatie.
A rigore, questo non dovrebbe essere motivo di chiusura: i delusi del centrodestra che vogliono partecipare alle primarie sono e devono essere più che benvenuti e incoraggiati alla partecipazione; il problema, o meglio i problemi, si pongono proprio nelle modalità di questa partecipazione, una sorta di cultura delle primarie forse per la prima volta messa a dura prova.
Per persone che si avvicinano per la prima volta al centrosinistra, magari proprio grazie a Renzi, varrà il vincolo di votare centrosinistra indipendentemente da chi vincerà le primarie? In che modo distinguere coloro che votano Renzi perché vorrebbero un centrosinistra disegnato sulle sue idee da coloro che intendono utilizzare Renzi piuttosto come un grimaldello con il solo scopo di destabilizzare o distruggere l'intera coalizione?
Il problema si complica se si tiene conto che agendo come il PD ha scelto di agire si danneggia in maniera preponderante uno dei contendenti, appunto Renzi, al punto far nascere e dar credito alle voci di una vera e propria persecuzione contro il sindaco di Firenze. Da un punto di vista più generale la scelta del PD pare volta a definire in anticipo quella che sarà l'impronta della coalizione, senza lasciare che siano gli elettori a stabilirlo. Viene prima la coalizione o il centrosinistra? Proprio nell'impossibilità di identificare gli elettori di centrosinistra, il PD ha scelto per la prima e non per il secondo.

La formula individuata è efficace? Con ogni probabilità, no. Non lo è perché i reali tentativi di infiltrazione appaiono ad oggi un'eventualità improbabile, ma soprattutto perché regole più complesse e farraginose rischiano di allontanare più il simpatizzante tiepido che il boicottatore convinto. Il registro degli elettori è indubbiamente una proposta sensata, e può realmente costituire quell'anello di persone tra i tesserati e i simpatizzanti a cui ci si riferisce comunemente come popolo delle primarie, ma legare la registrazione alla consultazione è un'idea errata, che porterà la partecipazione a diminuire senza alcuna garanzia di reale controllo dei votanti.

Anche il doppio turno rischia di gettare più ombre che luci su queste primarie: nato dall'esigenza di legittimare maggiormente il leader non consentendo ad un candidato di vincere con meno voti della maggioranza assoluta, pare oggi una regola ritagliata apposta per Bersani, quello più in grado di recuperare dalle terze forze indipendentemente da chi arriverà al ballottaggio con lui. Al di là di questa pur legittima ombra di sospetto resta comunque il fatto che la necessità di una legittimazione a maggioranza assoluta dei voti appare oggi piuttosto labile, mentre la difficoltà di portare alle urne il popolo del centrosinistra per due fine settimana di fila è sicuramente molto più concreta.

Le scelte prese dal centrosinistra lasciano quindi perplessi, almeno ad oggi, e danno adito a dubbi e mormorii sulla reale apertura offerta dalle primarie quando fino ad oggi questo tipo di consultazioni era il fiore all'occhiello dei progressisti. Di per sé si tratta di azioni legittime e persino motivate, ma la loro applicazione è talmente legata ad uno specifico evento da rendere inevitabili le letture più smaliziatamente politiche volte al danneggiamento di alcuni candidati. In realtà, se ad oggi si dovessero tirare le somme, le nuove regole parrebbero avere un'unico scopo: offrire una giustificazione al previsto e inevitabile calo dell'affluenza. Troppo, troppo poco.
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