sabato 14 dicembre 2013

Dietro la vittoria di Matteo Renzi

Matteo Renzi (PD)

L'ufficializzazione dei risultati delle primarie del Partito Democratico che hanno portato Renzi alla vittoria e al ruolo di segretario (il quinto in sei anni di vita del partito dopo Veltroni, Franceschini, Bersani ed Epifani), consentono di capire come è maturata la vittoria del sindaco di Firenze; tuttavia, prima di affrontare l'analisi dei dati e soprattutto dei raffronti con le consultazioni precedenti, è già possibile interrogarsi sul perché Matteo Renzi è riuscito a imporsi nella competizione, riuscendo per di più a prevalere con un risultato di una simile portata.

Sono molti i commentatori politici che hanno posto l'accento sul programma del sindaco di Firenze, sulla svolta blairiana, su una nuova idea di sinistra; eppure, più che cause, queste paiono essere conseguenze. Il cittadino medio che si è messo in fila alle primarie aveva in mente davvero la riforma dell'Art. 138 della Costituzione o il superamento del bicameralismo perfetto? Aveva in mente la flexsecurity o il ruolo dell'Italia nella crisi siriana?
È il modo in cui il PD e con lui la politica italiana si porranno su questi temi a dipendere dalla vittoria di Renzi, piuttosto che il contrario.

Molte opinioni raccolte ai seggi, pur se non classificabili in un vero e proprio sondaggio, lasciano indicare come le consultazioni della base PD si siano più che altro trasformate in un referendum sul suo candidato favorito più che su uno scontro politico in senso stretto, referendum che Renzi ha vinto principalmente per due motivi.

In primo luogo Renzi è visto generalmente come il solo leader spendibile nel campo di centrosinistra in una competizione elettorale, e questo fattore è stato spesso determinante nell'assegnazione del voto verso di lui.
Contrariamente a quanto avviene spesso nelle primarie americane, che tendono a premiare l'ala più radicale degli schieramenti, la logica che ha guidato molti votanti alle primarie PD è stata la semplice constatazione che la figura e la candidatura di Renzi non avrebbero retto una seconda sconfitta, e che quindi una vittoria di Cuperlo o Civati avrebbero definitivamente chiuso le porte della politica nazionale al sindaco di Firenze, facendo quindi venir meno la sola figura spendibile in termini elettorali sul fronte progressista.
Renzi si è costruito l'immagine di leader vincente e in grado di vincere a livello nazionale, immagine non offuscata ma in qualche modo anche rinvigorita - pur paradossalmente - dalla sconfitta alle primarie 2012, motivata dallo sbarramento da parte di una classe dirigente di sinistra che ne temeva l'avanzata. Il popolo di centrosinistra, proveniente da una storia politica costellata più di sconfitte che di vittorie, e reduce soprattutto da una cocente delusione elettorale nel mese di febbraio, ha fortemente e fermamente puntato sul candidato che offre le maggiori credenziali di vittoria elettorale.
Il fatto stesso che le primarie riguardassero l'elezione del segretario del PD piuttosto che del candidato alla Presidenza del Consiglio è passata in secondo piano rispetto alla necessità di non bruciare Matteo Renzi: sebbene fossero in molti a ritenere insoddisfacente o lacunosa la proposta del sindaco di Firenze sulla struttura, l'organizzazione ed il ruolo del partito sul territorio, questa considerazione non è stata determinante al momento dell'assegnazione del voto.

Il secondo tema rilevante è ovviamente quello della "rottamazione" per cui il sindaco di Firenze è negli anni diventato famoso, un tema più vivo che mai alla vista di una dirigenza politica ancora fermamente al potere malgrado le ultime, dolorose sconfitte, i patti di governo con Berlusconi, l'abbandono dei temi di sinistra su questioni focali come l'IMU, i rospi ingoiati per salvare Alfano e la Cancellieri, e questo solo per limitarsi alle esperienze più recenti.
Renzi incarna l'idea di un rinnovamento totale, un modo per spazzare via una classe dirigente considerata fallita, autoreferenziale, e per di ormai appannata da commistioni con i gangli del potere a volte sfociati in scandali o procedimenti giudiziari.
L'aperto sostegno di figure come Bersani e soprattutto D'Alema verso Gianni Cuperlo è stato in questo senso determinante nel traghettare molti voti verso Matteo Renzi e la sua battaglia.

Dal punto di vista prettamente politico gli slogan della sua campagna elettorale di maggior successo sono stati senza alcun dubbio la modifica della legge elettorale e l'abbattimento delle spese della politica, temi al tempo stesso molto semplici e la cui correlazione con la crisi economica e sociale è evidente e accertata per l'elettore medio.

Inoltre Renzi sembra in grado di imprimere al PD una svolta radicale nell'atteggiamento verso il Governo e le altre forze politiche, con un abbandono delle continue rinunce e sottomissioni, e provando veramente a dettare l'agenda politica del Paese, con uno slancio che il PD aveva smarrito dai tempi della campagna elettorale del 2007 - in cui però la preannunciata sconfitta rendeva indolore e poco oneroso usare certi toni.
Grazie a questa strategia Renzi sta coltivando quello che forse è il sentimento più prezioso: l'orgoglio del popolo di sinistra per un partito ancorato alle sue decisioni, in grado di incalzare alleati e avversari e di non arretrare rispetto ai propri pilastri ideologici.

La vittoria di Renzi si è basata sull'immagine, e pertanto l'immagine stessa del sindaco di Firenze è al momento l'elemento focale da coltivare per la sua leadership e per l'idea di partito che ha in mente; questo rende il PD un partito più personale di quanto lo sia mai stato, ma di un personalismo sancito dal suffragio popolare e da esso quindi adeguatamente controbilanciato.
Resta tuttavia la volubilità delle vittorie costruite solo sull'immagine: se alle parole non seguiranno i fatti la popolarità di Renzi si trasformerà ben presto in delusione. Questo Renzi lo sa, e sa che non può dormire sonni tranquilli. E questa è forse la migliore garanzia per il Paese.

domenica 8 dicembre 2013

Morire al tempo di Facebook

Meme sulla morte di Nelson Mandela

La morte di Nelson Mandela è uno di quegli eventi il cui indiscutibile significato simbolico è trasversale a culture e opinioni politiche per arrivare a valenze così universali e condivise da rendere pressoché obbligatorio un intervento di testimonianza.

Madiba, il padre del Sudafrica moderno, così come negli ultimi giorni i telegiornali lo hanno più volte acclamato, è una di quelle rare figure storiche che pur appartenendo ad un preciso popolo e ad un preciso momento storico diventano in qualche modo patrimonio collettivo dell'umanità. Nella storia recente dell'umanità, solo Gandhi, come valenza e somiglianza filosofica, può essere paragonato a lui.

La sua morte è peraltro il primo evento di una simile portata mediatico-simbolica ad avvenire nell'era dei social network, e a confrontarsi con le tecniche contemporanee di accettazione, elaborazione e perché no anche emulazione.
L'evento creato dalla scomparsa di Madiba, proprio per l'universalità del personaggio, obbliga tutti a riflettere su questa figura titanica della lotta contro le discriminazioni razziali, e da lì costringe giocoforza a pensare al perché nel mondo c'è stato bisogno di un personaggio come lui. Obbliga, in sostanza, a prendere posizione, ad esprimerla, come si diceva poco sopra, a testimoniare.

Si tratta di un'esigenza nota e comune nella storia dell'umanità, un'esigenza che le moderne tecnologie contribuiscono a rendere più universale e aiutano ad espletare, attraverso la pervasività che le contraddistingue.
Dal momento della morte di Mandela i social network letteralmente ribollono di commiati, addii, ricordi fatti da comuni cittadini che esprimono il proprio cordoglio per la scomparsa del leader sudafricano. Una - per l'appunto - testimonianza di portata planetaria che per una volta non è limitata ai potenti del mondo o a coloro che sono geograficamente e storicamente più vicini all'epicentro dell'evento, ma che grazie alle moderne tecnologie coinvolge in maniera globalizzata e altrettanto profonda il mondo intero.

Se tuttavia da un lato i social network costituiscono un formidabile amplificatore, grazie alla possibilità che offrono a chiunque di esprimere liberamente il proprio pensiero, dall'altro costituiscono una sorta di pericolosa valvola di scarico, in cui queste azioni di testimonianza si esauriscono in un modo tutto sommato sterile e poco produttivo.
Già da tempo Facebook, per fare un esempio, non costituisce più un social media paritario, in cui tutti gli utenti sono egualmente produttori di contenuti; per meglio dire, mantiene ancora formalmente questa struttura ma la divisione tra produttori e fruitori di contenuti è ormai piuttosto evidente, con una serie di hub qualificati che fungono da fonti e i cui contenuti vengono poi progressivamente ripresi e condivisi dal resto del web.
Spesso, quindi, la resa di testimonianza nei confronti di un evento non costituisce nemmeno più uno sforzo creativo, ma implica solo la ripresa e la condivisione di un meme prodotto da altri; l'omaggio si trasforma quindi in un mero "atto dovuto", un gesto obbligato perché sarebbe socialmente poco conveniente fare altrimenti e in cui, come sempre in questi casi, si sceglie tra una serie di prodotti preconfezionati da altri.

Al contempo, la semplice pubblicazione di una parola o di un'immagine ha una funzione in qualche modo catartica, assolve chi la esegue dalla necessità di trovare altre forme, probabilmente più impegnative e proficue, di rendere omaggio in caso di eventi come quello avvenuto pochi giorni fa, generando una sensazione di autocompiacimento a lungo andare negativa, in quanto in grado di fermare sul nascere sforzi intellettuali di approfondimento, presa ad esempio, riflessione originale.
Se portare dentro il peso di venire a patti con la dipartita di un personaggio di impatto planetario poteva in qualche modo servire a portare milioni di persone a farsi delle domande, e magari nel caso di qualche manciata ad un reale impegno civile, politico e sociale, la semplice pressione del tasto INVIO sulla tastiera di un computer o di uno smartphone consente di esternalizzare in maniera rapida e indolore qualsiasi tentativo di elaborazione interiore, stroncandola sul nascere e annegandola nella banalità di una frase preconfezionata.

Laddove i social media sono nati proprio per favorire il contatto e l'interazione, nella speranza che da queste sinapsi virtuali scaturissero connessioni e idee, la loro trasformazione in semplici mezzi di diffusione di contenuti anziché di creazioni li sta trasformando in un ennesimo - ma di una pervasività senza precedenti - strumento di controllo dell'opinione e mantenimento dello status quo.
Mandela non ne sarebbe contento.

martedì 3 dicembre 2013

Dati AGCom ottobre 2013

Logo dell'AGCom

Sull'onda lunga del tema della decadenza da senatore di Silvio Berlusconi, il mese di ottobre 2013 si pone in una sorta di naturale continuità mediatica con settembre, malgrado sulla scena politica abbiano avuto rilevanza crescente le primarie del PD pianificate per dicembre, la scissione di Scelta Civica e soprattutto la legge di stabilità, con il valzer delle imposte sulla casa e la riduzione del cuneo fiscale.

In base a quanto riportato dai dati AGCom, le ore totali di informazione politica nel mese di ottobre sono state circa 363, un valore in calo rispetto ai mesi di agosto e settembre e addirittura il più basso da gennaio: il dato si pone in evidente contraddizione con la quantità e lo spessore dei temi politici trattati, ma simili anomalie e storture nel sistema mediatico italiano, in cui il sensazionalismo la fa da padrone sacrificando i temi di approfondimento, ormai non stupiscono più.

Dati AGCom ottobre 2013

Dati AGCom 2013 aggregati per mese

Rispetto ai mesi precedenti le voci dominanti dello scenario politico (PD-PdL-Governo) appaiono in leggero calo, passando dall'81% di settembre al 74%, un valore ancora eccessivo rispetto al fisiologico 60% circa che sarebbe lecito attendersi ma in ogni caso un'inversione di tendenza rispetto all'accentramento bipolarista dei mesi precedenti.
A fare le spese maggiori di questo calo paiono essere soprattutto il Presidente del Consiglio, Enrico Letta, ed il PD: trascinando il dibattito sulla legge di stabilità principalmente sul tema IMU, il centrodestra ha avuto infatti buon gioco nel marginalizzare i propri scomodi alleati nei telegiornali, mentre naturalmente continuava a infuriare il dibattito sulla decadenza di Berlusconi e iniziavano ad emergere le prime crepe tra Berlusconi stesso ed Angelino Alfano.
Dal canto suo, il PD non è riuscito a imporsi nel dibattito politico sui temi economici a sé cari, e al tempo stesso non ha saputo dare all'appuntamento - pur cruciale - delle primarie la giusta rilevanza mediatica, ritrovandosi schiacciato sul suo secondo valore più basso da inizio anno.

Al contrario, a registrare i maggiori incrementi rispetto al mese precedente sono stati Scelta Civica, UdC e in generale l'area centrista - anche se solo in funzione dell'abbandono della formazione da parte del suo fondatore e regista Mario Monti - ed in misura minore il MoVimento 5 Stelle, che resta tuttavia relegato intorno al 5% del tempo politico complessivo.

Del tutto marginali invece le oscillazioni delle altre formazioni parlamentari, SEL e Lega Nord, ridotte comunque a ruoli di comparse mediatiche nei telegiornali con percentuali che si aggirano intorno all'1%.

Dati AGCom ottobre 2013 aggregati per
area politico-culturale

Dati AGCom 2013 aggregati per
area politico-culturale

Osservando i dati aggregati per coalizione elettorale si nota un riaprirsi della forbice tra centrodestra e centrosinistra, che torna ad 11 punti percentuale dopo essere scesa a 7 il mese precedente, pur in un'ottica di sostanziale calo di entrambe le coalizioni principali. Mentre tuttavia il centrodestra perde appena il 3%, il calo per il centrosinistra arriva al 7%, trainato dalla pessima performance mediatica del PD.

Al contrario, si nota come il centro montiano - o per meglio dire ex-montiano - ottenga la propria migliore prestazione del post-elezioni, a causa delle fibrillazioni interne che hanno portato all'allontanamento di Mario Monti, mentre anche il M5S appare in lieve recupero pur restando al di sotto della soglia psicologica del 10%.

A livello di testate, il centrodestra appare dominante su RNews e TGLa7, laddove il centrosinistra ottiene le proprie migliori prestazioni su MTVNews e TG4.
Lo spazio maggiore alle divisioni dell'area centrista viene offerto su TG5 e TG3 mentre il M5S, infine, ha i maggiori spazi su TG1 e TGLa7.

Dati AGCom ottobre 2013 aggregati per
Istituzioni - Maggioranza - Opposizione

Dati AGCom 2013 aggregati per
Istituzioni - Maggioranza - Opposizione

Passando invece all'analisi per maggioranza, opposizione e istituzioni appare una sostanziale stabilità rispetto al mese precedente, una sorta di equilibrio - estremamente sbilanciato - che ormai perdura da tre mesi e che vede l'esecutivo intorno a 40%, la maggioranza stabilmente sul 50% e l'opposizione sul 10%.

I movimenti evidenziati si confermano ancora una volta a compartimenti stagni secondo questo metro di analisi, con compensazioni che in ultima analisi lasciano inalterata la situazione complessiva in uno stato di profondo ed evidente squilibrio in cui alcuni partiti di maggioranza possono giocare il doppio ruolo di sostegno e opposizione al governo e godere i frutti mediatico-elettorali di questo atteggiamento.

Le istituzioni ottengono i dati più rilevanti su MTVNews e Rainews, la maggioranza su Studio Aperto e TG4 mentre l'opposizione su TGLa7 e TG5.

Osservando l'aderenza complessiva alla par condicio si osserva come questo mese siano stati TG5 e TG2 i telegiornali migliori in assoluto; la testata della seconda rete RAI appare in questo speciale conteggio per il secondo mese di fila, mentre per la prima volta da molti mesi non vi appare più il TGLa7, che fino a questo momento era stato un valido esempio di maggior aderenza - o per meglio dire minore distanza - ai dettami legislativi.

Ottobre, pur nell'ambito di una varietà di eventi politici non indifferente, si pone in ultima analisi come un mese decisamente cristallizzato dal punto di vista mediatico, con equilibri tra i poli sempre più simili a quelli del Governo Monti, dove però la maggioranza politica aveva un colore decisamente differente. Stupisce ancora una volta come persino in RAI il centrodestra riesca ad essere in posizioni dominanti pur in assenza di una maggioranza politica a supporto, segno di una penetrazione profonda di quest'area politica nel management aziendale, consumata nell'arco del ventennio precedente.

lunedì 25 novembre 2013

Le origini della crisi

Rappresentazione della crisi italiana

Anche a causa del protrarsi della crisi economica che ormai da anni attanaglia l'Europa, e del fatto che proprio in Italia stentino a vedersi segnali significativi di ripresa, stanno lentamente riprendendo quota articoli di politica economica che prevedono - in tempi anche ragionevolmente prossimi, nell'ordine degli anni o al più dei decenni - una completa disgregazione del sistema-Paese italiano, caratterizzato, a seconda della gravità dello scenario ipotizzato, in un default dello Stato, di uno shopping selvaggio da parte di imprese straniere, della riduzione dell'Italia a colonia economica di potenze estere, di un Paese di emigranti in cui per emergere i giovani sono costretti a portare all'estero le proprie competenze, esperienze e conoscenze.

Uno dei tratti comuni di questi scenari è la costruzione di una più o meno mitica età dell'oro, collocabile indicativamente negli anni '70 e '80, in cui l'Italia era una potenza economica di rilievo mondiale, e da cui sarebbe successivamente decaduta nell'ultimo ventennio.
Si tratta tuttavia di una visione falsata e per certi versi pericolosa dell'economia italiana: da un lato, infatti, presta il fianco a sterili strumentalizzazioni del ceto politico che ha governato l'Italia negli ultimi venti anni assolvendo e in qualche modo mitizzando il periodo della Prima Repubblica; dall'altro invece lascia intendere come il sistema industriale italiano del periodo pre-berlusconiano fosse sano e competitivo, scaricando su una politica pur colpevole anche responsabilità che non le competono e togliendo invece dal focus di analisi comportamenti e pratiche imprenditoriali che sono invece concause non trascurabili dell'attuale situazione di declino.

Il primo e principale problema dell'Italia, è noto, è il mostruoso debito pubblico, ormai stabilmente oltre i 2.000 miliardi di euro. Una simile mole di debito, tuttavia, non si è creata dal nulla, ma si è sviluppata prevalentemente nel corso degli anni '80, quindi in un periodo precedente rispetto alla soglia oltre la quale molti commentatori politici fanno iniziare l'arco discendente della parabola italiana.
Eppure questa incredibile e deleteria risalita del rapporto debito/PIL altro non è stata che la prosecuzione - in altre forme - di scellerate pratiche di politica economica che hanno reso sin dalle sue origini il sistema economico dell'Italia postbellica un vero e proprio gigante dai piedi d'argilla.

In Italia si può dire che non sia mai stata attuata un'economia di libero mercato propriamente detta, indipendentemente dal livello di regolamentazione statale imposto, e in questo si avverte la marginalizzazione del nostro Paese nei fenomeni della Rivoluzione Liberale seicentesca nel mondo anglosassone: anziché avere aziende sane, autosufficienti e impegnate in uno scontro in un regime di libera concorrenza, in Italia si sono avute commistioni tra pubblico e privato che hanno visto massicci spostamenti di capitali dallo Stato ad aziende amiche sotto coperture più o meno legali, fenomeni che da un lato hanno indebolito la struttura economica dello Stato, e dall'altro hanno permesso la sopravvivenza di aziende senza solide basi economiche ed industriali, semplici ragioni sociali del tutto dipendenti dai trasferimenti di denaro pubblico e per questa ragione impreparate a competere sui ben più aspri mercati esteri.

La ricerca di un facile consenso elettorale ha portato i partiti politici a farsi i primi artefici di questo sistema economico malato e alla lunga insostenibile, con la consapevole complicità di impenditori incapaci alla ricerca solo di un facile guadagno, ben lontani da quello che è lo spirito di impresa descritto nella Carta Costituzionale.
Per pagare questi imponenti trasferimenti di denaro lo Stato ha in prima battuta ricercato la facile strada del battere moneta; poiché tuttavia il valore reale del sistema-Paese restava tutto sommato inalterato in quanto i soldi incassati dalle imprese non erano davvero reinvestiti in lavoro e sviluppo se non in minima parte, questo fenomeno ha portato a fenomeni inflazionistici a due cifre divenuti alla lunga insostenibili rendendo inevitabile un cambio di politica.
Anziché esigere dagli industriali precisi livelli di investimento produttivo, con un colpo di mano la politica italiana ha semplicemente scelto di procedere a pompare soldi pubblici verso le imprese modificando solo la fonte del denaro: anziché creare nuovo denaro nel tempo presente deprezzandolo, si è preso a prestito denaro futuro, ovvero si è iniziato a contrarre debiti, da cui l'esplosione del debito pubblico durante gli anni '80.

Il mondo, tuttavia, andava incontro alla globalizzazione, ed il perpetuarsi del sistema economico italiano stava nuovamente raggiungendo i limiti della sostenibilità, rendendo una priorità imprescindibile nascondere la debolezza di fondo delle nostre imprese dietro lo scudo dell'Unione Europea, protezione tuttavia a doppio taglio perché regolamentava a livello comunitario il concetto di intervento di Stato in materia economica e favoriva la libera circolazione di merci e denaro all'interno dei confini della UE, con effetti quindi sostanzialmente opposti a quelli desiderati dai politici nostrani.

L'Italia è entrata in Europa sostanzialmente priva di un sistema economico sano e competitivo, e la progressiva esposizione delle nostre aziende alla regolamentazione europea le ha lasciate prive delle facili e opache fonti di introito derivanti dalla longa manus del pubblico senza peraltro avere - salvo le debite eccezioni - le necessarie competenze, strutture e capacità di imporsi o per lo meno sopravvivere a livello continentale.
Quanto avviene oggi in Italia non è la distruzione di un sistema economico sano e vincente: è solo il lento disgregarsi di un sistema cresciuto e sviluppatosi in un ambiente indebitamente protetto, e ora incapace di reggersi sulle proprie gambe in una lotta ad armi pari con i nostri concorrenti internazionali.

martedì 19 novembre 2013

BCE, le implicazioni della supervisione bancaria

Mario Draghi

Se la politica italiana pare vivere guardando all'indietro, appesa alle vicende giudiziarie di Berlusconi, alle telefonate della Cancellieri, ai litigi e alle scissioni nei partiti e a misure economiche una volta di più ancorate al principio delle privatizzazioni selvagge delle - poche - aziende pubbliche sane rimaste nel Paese secondo la sciagurata logica del privatizzare i profitti e socializare le perdite, non può che spaventare l'assoluta evanescenza forzata in cui si trovano le istituzioni europee, imprigionate ormai da anni in un limbo che le rende qualcosa di più di un semplice consesso di rappresentanti di diverse nazioni ma qualcosa di meno di un insieme di organismi di governo a livello continentale.
Per Paesi come l'Italia questo doppio vuoto di potere costituisce uno stato di estremo pericolo, ma anche per Paesi caratterizzati da governi nazionali più forti e incisivi l'assenza di adeguate strutture politiche a livello continentale è foriera di cambiamenti in peggio nel prossimo futuro: la competizione economica mondiale si svolge ormai a livelli in cui gli Stati europei, presi singolarmente, non sono in grado di competere con successo, e questo vale persino per la Germania.

L'avere regolamentazioni, normative, incentivi, sanzioni, programmazioni o investimenti a livello europeo è quindi una semplice necessità storica ed economica, che si pone e deve essere affrontata a prescindere del livello di competenza e potere - o persino della stessa esistenza - delle istituzioni delegate a prendere tali provvedimenti.

Non bisogna quindi stupirsi se continuano ad aumentare le competenze dell'unico ente realmente attivo, operativo e strutturato a livello continentale, la Banca Centrale Europea. Questa progressiva concentrazione di poteri, tuttavia, sta portato l'istituzione di Francoforte a prendere in carico attività ben al di fuori del proprio mandato e della propria missione; e questo a sua volta genera da un lato problemi di efficacia di azione, e dall'altro situazioni di pericolosi conflitti di interesse.

Tra circa un anno la BCE assumerà, nell'ottica di una sua progressiva equiparazione ad una vera e propria banca centrale in stile FED, il controllo delle attività di supervisione delle banche, che eserciterà direttamente sugli istituti di credito più importanti (14 quelli italiani) e attraverso le banche nazionali per i restanti.
Grazie al "Meccanismo unico di risoluzione" la BCE avrà il potere di imporre stress test ben più duri di quelli esercitati dal'EBA nel 2010 e nel 2012 e imporre la liquidazione - ovvero la chiusura - delle banche che non dovessero superarli. La difesa della stabilità della moneta, la lotta all'inflazione e il rigore nei bilanci sono le armi che la BCE mette in campo per la salvaguardia dell'economia dell'Eurozona, di fatto le uniche armi possibili nella paradossale situazione di un'unione monetaria senza un budget significativo.

Tuttavia la BCE fa anche parte della Troika assieme alla Commissione Europea e al FMI, e si è dotata di armi di salvaguardia dell'economia tra cui spicca l'OMT introdotto da Draghi, ovvero l'acquisto illimitato di bond governativi sui mercati.
Questo significa che l'istituto guidato da Mario Draghi è entrato a piè pari, e non certo da ora, nella sfera della politica economica, in qualche modo sostituendosi a istituzioni politiche troppo evanescenti.

L'avvio delle attività di sorveglianza sugli istituti di credito rischia però di ingenerare conflitti di interesse tali da aprire crepe fatali nell'istituzione di Francoforte: da un lato l'immissione di liquidità è in questo periodo di crisi uno strumento necessario per la stabilizzazione dei mercati e aiutare gli Stati in difficoltà, ma dall'altro costituisce una droga in grado di tenere surrettiziamente in vita banche altrimenti insolventi, dei veri e propri zombie finanziari la cui dissoluzione avrebbe tuttavia effetti concreti e pesanti sulla vita di milioni di cittadini correntisti e migliaia di piccole aziende che dai finanziamenti di queste banche dipendono. E tuttavia la forza della BCE sta proprio nella sua autorevolezza: gli stress test che Draghi dovrà imporre agli istituti di credito dovranno essere necessariamente severi e le azioni intraprese dalla BCE come conseguenza di tali test inderogabili.
Eppure il fatto che a decidere saranno chiamate le stesse persone - i sei membri del direttivo più i governatori delle banche nazionali - che già si occupano di politica monetaria evidenzia un caso eclatante di conflitto di interessi, sebbene ad oggi Draghi minimizzi e parli di un chinese wall tra le attività di supervisione bancaria e politica monetaria.

La realtà dei fatti è tuttavia che con ogni probabilità si inizieranno a vedere persino nella Banca Centrale Europea le stesse crepe nazionalistiche che stanno affossando l'Unione politica, con conseguente perdita di prestigio, potere e autorevolezza dell'unico ente europeo che oggi costituisce un patrimonio spendibile a livello planetario.
L'eccesso di potere concentrato in una singola mano rischia in ultima analisi di snaturare il ruolo della BCE stessa, facendo regredire anziché progredire la costruzione dell'Unione Europea trasformandola in una tecnocrazia bancaria in cui la stabilità di bilancio diventa l'unico bene da preservare, incuranti dei costi economici e sociali che questo comporta.

L'assenza di organismi politici europei dotati di potere e statura tali da poter scavalcare i nazionalismi di ritorno rende l'Unione una nave senza timoniere e senza timone, in balia di correnti politiche, economiche e sociali che ne stanno piegando gli ideali delle origine e che rischiano di trasformaree il Vecchio Continente in una prigione finanziaria.
La miopia dei governi nazionali, ed il bieco sfruttamento delle paure della popolazione di perdere sovranità utilizzato dai populismi in ogni Stato, stanno lentamente paralizzando l'organismmo comunitario; in un circolo perverso meno potere viene dato all'Europa più gli organismi sovranazionali perdono di utilità e più diventa semplice togliere loro ulteriori poteri in futuro. Se questo gioco al massacro non avrà termine il sogno di Schuman e De Gasperi, di Monnet e Spinelli, non potrà che trasformarsi in un incubo.

mercoledì 13 novembre 2013

Dati AGCom settembre 2013

Logo dell'AGCom

Normalmente, il mese di settembre costituisce una sorta di rientro nella normalità dopo il periodo vacanziero di agosto; nel 2013, tuttavia, la notizia della condanna definitiva di Berlusconi a seguito della sentenza Mediaset ha in qualche modo tenuto viva e costante l'attenzione dei media verso gli avvenimenti politici, e proprio la tenuta del'esecutivo è stata il principale tema di discussione, surclassando le polemiche sul Congresso del PD e in generale quelle sulle tematiche economiche legate alle prime bozze della legge di stabilità.

I dati pubblicati dall'AGCom hanno mostrato un totale di 399 ore di informazione politica in TV, straordinariamente un valore identico (differenza di appena 12 minuti) a quello del mese di agosto. Questa coincidenza consente per questa coppia di mesi un raffronto estremamente preciso, che può indicare con maggiore certezza gli spostamenti dei flussi mediatici e conseguentemente di attenzione da parte delle principali testate telegiornalistiche.

Dati AGCom settembre 2013

Dati AGCom 2013 aggregati per mese

Rispetto al mese precedente si nota un centrodestra ancora dominante nella scena televisiva italiana ma in una misura decisamente inferiore rispetto al mese precedente: si nota infatti come il PdL si porti al 26%, che se è pur sempre il secondo valore da inizio anno è comunque di cinque punti inferiore rispetto a quanto registrato ad agosto.
Per contro l'attenzione dei media torna in parte verso il Partito Democratico, che con il 23% ottiene il valore più alto dal mese di aprile.

Del sostanziale calo delle due formazioni principali non paiono avvantaggiarsi le terze forze: il M5S resta sostanzialmente stabile sotto il 5% e SC resta fissa al di sotto del 2%, ma anche elementi organici delle coalizioni elettorali quali Lega o SEL non mostrano significativi segni di ripresa.

Anche l'esecutivo resta sostanzialmente stabile, pur mostrando un differente rapporto di forze interno legato al calo della compagine governativa a favore della figura del Presidente del Consiglio, mentre l'unico ulteriore incremento acclarato è quello del Presidente della Repubblica, vero garante della tenuta del Governo.

Il calo del PdL, quindi, non è stato raccolto da una forza in particolare, ma piuttosto è risultato spalmato su pressoché tutte le forze politiche, lasciando pressoché inalterati i rapporti di forza televisivi.

Dati AGCom settembre 2013 aggregati per
area politico-culturale

Dati AGCom 2013 aggregati per
area politico-culturale

Dal dato aggregato del tempo di coalizione si evidenzia un netto riavvicinamento tra le due coalizioni principali, con il divario tra centrodestra e centrosinistra sceso da 13 a 7 punti percentuale.
Si evidenzia anche un lieve recupero del M5S rispetto al mese precedente, pur restando però su valori estremamente bassi rispetto al risultato elettorale di febbraio ed in particolare sotto la soglia psicologica del 10%.
Il centro montiano appare anch'esso in lieve espansione, ma sempre su valori minimali e quasi ininfluenti a livello mediatico.

A livello di testate, trova come di consueto maggiori spazi su Studio Aperto e TG4, mentre il centrosinistra ha i suoi riscontri più significativi sui canali all-news come TGCOM e Rainews; il MoVimento 5 Stelle, infine, supera il 10% del tempo politico complessivo solo su RNews e TG1, mentre il centro montiano ha i suoi massimi su Rainews e TG2.

Dati AGCom settembre 2013 aggregati per
Istituzioni - Maggioranza - Opposizione

Dati AGCom 2013 aggregati per
Istituzioni - Maggioranza - Opposizione

Osservando invece i dati aggregati per maggioranza, opposizione e istituzioni mostrino un andamento tutto sommato analogo a quello del mese precedente. Questo implica una situazione a compartimenti stagni nel tempo politico, in cui i movimenti tra una formazione e l'altra si riconducono in ultima analisi a spostamenti all'interno dell'area di appartenenza. In tal senso il PD compensa il PdL, il calo dei ministri è bilanciato dall'incremento della Presidenza del Consiglio, la diminuzione della Lega ha come contrappeso il maggiore spazio dato al M5S.

La situazione rispetto al mese di agosto, in questo ambito di analisi, si conferma quindi tutto sommato stabile nella sua profonda anomalia, con le forze di opposizione relegate al di sotto del 10%, secondo una pericolosa tradizione inaugurata sotto il Governo Monti.

A livello di testate giornalistiche, si nota come la maggioranza sia stata privilegiata da Studio Aperto e TG4, l'opposizione da TGLa7 e RNews mentre le istituzioni da MTVNews e Rainews.

A livello complessivo, i TG più aderenti alle norme della par condicio si sono rivelati nel mese di settembre TG2 e ancora una volta TGLa7, che brilla per costanza in questa particolare tipologia di analisi.

Il mese di settembre si pone quindi in ideale prosecuzione rispetto al precedente, con il tema dominante della condanna di Berlusconi a dettare tempi e modi della politica italiana a qualsiasi livello, anche se effettivamente in forma meno accentuata rispetto ad agosto.
Prosegue la marginalizzazione delle terze forze, in uno scenario bipolare tra PD e PdL non rispondente al vero e che ignora l'esistenza di un buon terzo del Parlamento italiano.

venerdì 8 novembre 2013

De Blasio e la svolta di New York

Skyline di New York

New York svolta a sinistra. Bruscamente, dopo un ventennio di dominio incontrastato repubblicano, l'italo americano democratico Bill De Blasio (52 anni) conqusita la Grande Mela con un risultato a dir poco storico, imponendosi sul suo rivale Joe Lotha con poco meno del 75% dei voti.

In un contesto di affluenza relativamente stabile, si è quindi assistito ad un imponente passaggio di voti dal candidato repubblicano a quello democratico, segno evidente di come le appartenenze politiche a livello nazionale hanno poi rilevanza molto bassa al momento di scegliere le proprie preferenze per le elezioni locali.
In effetti negli Stati Uniti avere risultati di elezioni amministrative di segno differente rispetto a quelli delle elezioni politiche è una situazione relativamente comune, basti pensare a stati tradizionalmente liberal come la California o il New Jersey, che hanno visto lunghe parentesi di governatori repubblicani, o appunto alla stessa città di New York.

Risultati delle elezioni New York (2013)

Rispetto alle elezioni precedenti tenutesi nel 2009, si nota come De Blasio recupera nettamente in tutti e cinque i quartieri cittadini, vincendo con percentuali bulgare in quattro e risultanto indietro solo a Staten Island. Nel corso della precedente tornata elettorale il candidato democratico Thompson era riuscito a imporsi solo in due (Bronx e Brooklyn) e con un numero di voti assoluto e percentuale nettamente inferiore a quello di De Blasio.

Sicuramente a Lotha è mancato il carisma di cui godevano tanto Giuliani quanto successivamente Blooomberg, tuttavia è evidente come ad essere stata bocciata sia stata proprio la linea politica impostata dal ventennio di governo repubblicano, dal momento che Lotha, come vice di Bloombrg, si poneva in continuità con il progetto politico di quest'ultimo.

Michael Bloomberg ha reso New York, questo è innegabile, una delle città più sicure del mondo, dopo anni in cui il problema della criminalità e della sicurezza dei cittadini era forse tra le piaghe peggiori che affliggevano la grande mela.
Tuttavia è altrettanto vero che il risultato è stata una città più chiusa, incattivita per usare un termine forte, in cui le differenze sociali si sono ampliate, una città che, nell'opinione di molti tra i suoi stessi abitanti, ha perso lo status di simbolo delle opportunità e del sogno americano che aveva costituito sin dalla sua fondazione e che tanto bene è rappresentato dalla Statua della Libertà che ne rende unico lo skyline per chiunque giunga dal mare.

Bill De Blasio ha saputo intercettare questa forma di disagio in città, e con il suo motto "nessuno deve restare indietro" ha saputo cogliere il bisogno di rinnovamento, o per meglio dire di ritorno al passato, insito nello spirito di New York.
Le sue politiche, almeno stando alla campagna elettorale, saranno improntate sull'equità sociale, con un maggiore prelievo fiscale per i ricchi volto a finanziare una serie di sussidi per le classi più disagiate in particolare sul fronte dell'istruzione pubblica e della sanità.
Inoltre ha promesso lo stop alle agevolazioni fiscali per i grandi costruttori, che negli ultimi anni hanno provocato una cementificazione senza precedenti della Grande Mela, ed una revisione delle politiche di polizia, in particolare nel controverso metodo dello stop and frisk, spesso alla base di fenomeni di razzismo legalizzato.
In una città dove secondo alcune statistiche le persone che vivono al di sotto la soglia di povertà sono il 45% della popolazione, sicuramente un atteggiamento elettoralmente gradito e vincente, che ora il nuovo sindaco dovrà però saper mettere in pratica senza per questo distruggere del tutto il lavoro dei suoi predecessori, il cui successo è stato innegabile e confermato da un ventennio di predominio politico assoluto.

Giustizia sociale, giustizia economica, ma senza per questo rinunciare al vanto della sicurezza: riuscirà De Blasio a saper coniugare la propria vocazione politica con le necessità di quella che è nientemeno che la più famosa città del mondo?
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