La moneta unica mondiale secondo il progetto World Future Currency |
Gli scrittori di fantascienza ed in generale che provano a raccontare come sarà la vita dell'uomo in un futuro più o meno lontano mostrano sempre situazioni in cui un personaggio, anche all'altro capo della galassia, tira fuori dalla tasca i cosiddetti "crediti" e paga.
Così è nell'epopea di STAR WARS, così ha immaginato anche ad esempio Isaac Asimov nella sua costellazione di serie fantascientifiche.
Quella che può apparire - e che forse nelle intenzioni degli autori era tale - come una semplificazione letteraria per tagliare dai romanzi e dalle sceneggiature una dimensione considerata inutile ai fini della trama rischia invece di diventare una vera e propria profezia sul futuro dell'uomo.
Sono in molti ad aver già mostrato apprezzamento anche in passato per un'idea del genere, dall'ex Ministro dell'Economia Tommaso Padoa Schioppa al suo successore Giulio Tremonti all'ex Presidente del Consiglio Romano Prodi.
In effetti una sorta di moneta unica a livello mondiale esiste già, ed è il SDR, acronimo di Special Drawing Rights (DSP, Diritti Speciali di Prelievo, nella traduzione italiana), dotato anche di una propria sigla ISO 4217, XDR. Si tratta della valuta del Fondo Monetario Internazionale, il cui valore è calcolato come una media ponderata di dollaro (41,90%), euro (37,40%), sterlina (11,30%) e yen (9,40%). I tassi di cambio del 25 agosto sarebbero quindi di 8 SDR per un dollaro, 11,5 per un euro, 13 per una sterlina e 0,1 per uno yen.
Essendo calcolato sulla base di più monete, il SDR è in grado di mantenere maggiormente stabile il proprio valore in caso di eccessivo rafforzamento o indebolimento di una delle valute che lo compongono.
Tuttavia vi sono alcuni aspetti degli SDR che rendono almeno in parte improprio rifersi ad essi come una valuta. Essi infatti non sono disponibili per le transazioni finanziarie e commerciali, e per questa ragione costituiscono appena l'1% delle riserve monetarie degli stati membri del Fondo Internazionale. Questa scarsità a sua volta scoraggia l'utilizzo della valuta, in particolare tramite l'istituzione di asset finanziari denominati in SDR. Infine, naturalmente, l'attuale paniere delle valute utilizzate per la composizione dei SDR mal rispecchia l'attuale situazione economica mondiale, non vedendo rappresentato nessun paese del BRIC e la Cina in particolar modo.
Il tema della moneta unica mondiale è tornato recentemente in auge - e con una forza ben maggiore di quanto le parole di Padoa Schioppa, Tremonti o Prodi possano aver mai suscitato - in virtù delle dichiarazioni di Zhou Xiaochuan, il Governatore della Banca Centrale della Repubblica Popolare Cinese.
L'attuale situazione economica, al di là dell'elevata pressione attualmente in corso sul nostro Paese, è decisamente ingarbugliata a livello mondiale, a causa degli scricchiolii del debito statunitense - sanciti dal recente downgrading degli USA - e del fatto che la Cina è attualmente il maggior creditore dei titoli di stato emessi da Washington.
Così come nell'accordo di Bretton Woods le monete europee erano ancorate al dollaro da cambi generalmente sottovalutati in modo da favorire la ripresa economica del Vecchio Continente finanziandola con il deficit americano.
Se si mette la Cina - ed in generale il sud-est asiatico - al posto dell'Europa, si vede chiaramente che l'attuale situazione è del tutto analoga, al punto che c'è già chi ha coniato il termine Bretton Woods 2. In realtà la situazione attuale è molto diversa rispetto al passato: in primo luogo, l'accordo di Bretton Woods si reggeva sulla fiducia dei mercati mondiali della convertibilità in oro del debito statunitense, mentre dopo gli anni '70 il dollaro ha abbandonato la parità aurea; secondariamente, al contrario di una costellazione di economie nazionali come l'Europa post-bellica, gli USA si ritrovano oggi a fronteggiare una vera e propria superpotenza economica, con strumenti e potenzialità ben superiori a quelli degli Stati europei.
L'attuale situazione vede Cina e USA abbracciati in una stretta ferrea, con gli asiatici che si trovano a dipendere dalla domanda interna degli USA e a doverla sostenere acquistando il loro debito, e gli americani consapevoli del fatto che la loro economia può reggere solo in funzione di quanto la Cina acquisti i loro titoli di Stato. E chi è più in pericolo, in questo reciproco scambio di polpette avvelenate, è proprio la Cina.
Il dollaro è al momento insostituibile come moneta di riserva, dal momento che né lo yen né l'euro - per non parlare della sterlina - possono ambire a scalfire il dominio mondiale del biglietto verde. Sono troppe le transazioni oggi effettuate in dollari così come sono troppe le riserve di dollari nelle banche centrali di tutto il mondo.
Proprio per questa ragione i cinesi richiedono il potenziamento degli SDR, ed in particolare il loro utilizzo nelle transazioni, il raddoppio dell'attuale quantità in circolazione ed un incremento delle valute utilizzate come paniere. Questa riforma costituirebbe di fatto l'embrione di una moneta globale.
Che effetti avrebbe tuttavia un simile scenario sull'economia globale?
Per capirlo occorre tenere in debita considerazione il fatto che moneta globale non significa necessariamente moneta unica. Lo scenario in cui il mondo utilizza la stessa valuta da Tokyo a Cape Town è solo uno di quelli possibili, e forse nemmeno il più auspicabile. La coesistenza di una moneta unica globale per gli scambi internazionali e delle singole monete locali per gli scambi interni costituisce ad esempio un'alternativa piuttosto apprezzata da molti economisti.
A seconda dell'ipotesi implementata, infatti, si aprirebbero quadri estremamente differenti.
L'esistenza di una moneta unica, e conseguentemente di un ente centrale che emette - o autorizza l'emissione alle strutture nazionali - il supporto fisico della valuta, avrebbe alcune importanti limitazioni sulla politica economica dei singoli Stati: come è già capitato infatti con l'Euro, non sono state più possibili quelle politiche svalutazionistiche come scossa all'economia interna così comuni ad esempio in Italia rispetto al marco tedesco o al dollaro. Secondariamente, l'abolizione di dazi doganali e in generale di tutte le imposte relative all'esportazione e all'importazione dei beni hanno reso impossibili politiche orientate al protezionismo. Queste armi tolte agli Stati, tuttavia, hanno reso più equo e diretto il rapporto tra aziende e consumatori, avvicinando maggiormente il mercato unico europeo - naturalmente solo da questo punto di vista - alla condizione di concorrenza perfetta. Ne consegue che l'introduzione di una moneta unica mondiale è in grado di riprodurre su vasta scala il medesimo fenomeno.
Sempre osservando l'area europea si può però cogliere il rovescio della medaglia: la moneta e tramite essa la politica monetaria sono forme di protezione dell'economia locale, dei veri e propri scudi utilizzati dalle amministrazioni per difendere il benessere dei cittadini di una determinata zona del mondo. È chiaro che territori diversi avranno esigenze diverse, che una politica monetaria univoca non può tenere debitamente in conto. L'attuale crisi dei cosiddetti PIIGS è stata senza dubbio acuita dal comportamento della BCE, preoccupata più di difendere l'economia tedesca che quella dei Paesi in difficoltà. Solo quando le speculazioni finanziarie hanno iniziato a toccare uno Stato fino a quel momento considerato sicuro come la Francia la politica dei banchieri di Francoforte è cambiata. Atene e Berlino avevano bisogno di politiche monetarie diametralmente opposte, per le diverse esigenze del territorio, della popolazione e della storia pregressa delle due economie; una è stata di fatto sacrificata, ed il maggior peso economico e politico della Germania in seno alla UE ha trasformato Atene - e poi Lisbona, Dublino, Madrid e Roma - in facili bersagli per gli attacchi speculativi.
Una moneta unica mondiale avrebbe quindi il difetto di essere incapace di rispondere a diverse sollecitazioni politiche di segno opposto, e correrebbe il serio rischio di divenire un'arma terribile nelle mani delle economie più potenti del pianeta, che ne manovrerebbero il costo in funzione delle proprie esigenze o addirittura per danneggiare i diretti avversari.
Una soluzione che preveda la coesistenza di una valuta globale per gli scambi internazionali e di una serie di valute locali per quelli nazionali legate in una sorta di paniere come avviene per i DSF è forse quindi la soluzione migliore, dal momento che consentirebbe di evitare le peggiori asperità della moneta unica e al tempo stesso di godere i vantaggi in termini di mercato che questa apporterebbe.
Che la Cina abbia semplicemente bisogno di un grimaldello per scalzare il dollaro dalla sua posizione di predominio - un predominio monetario in effetti senza più alcun riscontro nell'economia reale - e instaurare un proprio modello di supremazia, oppure che essa punti alla realizzazione di un nuovo e migliore equilibrio mondiale non è dato saperlo, e naturalmente la Cina non gode di quell'immenso capitale di fiducia di cui ancora possono fruire gli Stati Uniti; da un punto di vista italiano ed europeo, quindi, l'appoggio alla proposta cinese ci deve essere, ma ponderato con attenzione per evitare di ritrovarsi ad essere una semplice periferia di Pechino.
Resta il fatto che, ironicamente, la prossima rivoluzione monetaria mondiale sarà probabilmente guidata da uno Stato che vede al potere un Partito Comunista.
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