Alfonso Quaranta, Presidente della Consulta |
Il 12 gennaio 2012 la Corte Costituzionale, con la Sentenza 13/2012, ha chiuso le porte al referendum popolazione abrogativo in materia di legge elettorale, un nuovo tentativo dopo i fallimenti del 2009 di alterare la Legge 270/2005, tristemente nota con l'epiteto di "Porcellum".
La concomitanza dell'episodio con la votazione parlamentare che ha evitato il carcere al deputato PdL Nicola Cosentino ha fatto gridare da più parti allo scandalo, e associato con un cortocircuito logico i due eventi in un'unica espressione di autoconservazione della casta politica.
I due eventi, tuttavia, sono profondamenti differenti tanto per natura quanto per significato: una sentenza giudiziaria è in massima parte frutto dell'applicazione della legge esistente, in cui gli spazi interpretativi sono ridotti al minimo tanto dai vincoli legislativi quanto - specie nel caso di una pronuncia della Consulta - dalle precedenti pronunce; per contro, una votazione in Parlamento costituisce l'atto legislativo per eccellenza, in cui la legge non viene applicata, Costituzione a parte, ma creata, e le cui radici vanno quindi al di là delle legge in sé stessa per affondare nei valori etici e morali dei delegati del popolo.
Una sentenza della Consulta, per quanto il linguaggio giuridico possa facilmente esporre il fianco a critiche e polemiche "di pancia" a causa della sua oggettiva complessità, offre al lettore le motivazioni e le fondamenta del proprio essere, a disposizione per ogni tipologia di analisi.
Urla di piazza che si limitino, prima ancora del deposito della sentenza, ad etichettarla come un provvedimento in difesa della casta si rivelano essere quindi decisamente fuori luogo per una molteplicità di motivi: criticano un risultato senza indagare come è stato ottenuto, presupponendo malafede laddove una decisione è in realtà stata presa sulla base di processi logici inevitabili; scambiano spesso la causa con l'effetto, attribuendo una volontà esplicita di preservazione del privilegio al giudice laddove tale volontà è invece insita nella legge stessa ed il giudice - per sua natura - non può che applicarla.
Per questa ragione è indispensabile, in special modo su un tema così delicato come una legge elettorale, analizzare in profondità la pronuncia della Corte prima di gridare al complotto.
I quesiti del referendum possono essere reperiti sul sito del comitato referendario, rispettivamente a questo e questo link. Come si può vedere, l'intento dei promotori del referendum era un'abrogazione completa della Legge 270/2005 per quanto riguarda il primo quesito, mentre il secondo prevedeva una modifica chirurgica di determinate parti del testo. Le due tecniche miravano tuttavia al medesimo obiettivo, il ritorno alla precedente legge elettorale, il cosiddetto "Mattarellum".
Le speranze dei promotori del referendum risiedevano principalmente nella natura di fatto abrogativa della Legge 270/2005: dal momento che tale norma costituiva di fatto un'abrogazione della precedente legge elettorale, abrogarla a sua volta avrebbe riportato automaticamente in vigore la legge precedente.
La Consulta ha tuttavia bocciato i quesiti, rigettando di fatto la tesi proposta dal comitato referendario. Le motivazioni della sentenza permettono di capire in dettaglio il ragionamento seguito dai giudici presieduti da Alfonso Quaranta.
Il primo quesito è stato dichiarato inammissibile in quanto la riuscita del refendum avrebbe provocato un vuoto normativo su una legge, quella elettorale, considerata costituzionalmente necessaria, che deve essere operante e auto-applicabile, in ogni momento, nella sua interezza. Vuoto normativo, sottolinea la Corte, accentuato dal fatto che la scelta di una nuova legge elettorale tornerebbe a quel punto nelle mani del Parlamento, e un ritardo nella legislazione lascerebbe di fatto il Paese senza una legge elettorale valida. Nel ragionamento della Consulta, come si vede, l'idea di un ritorno al "Mattarellum" non è stata nemmeno presa in considerazione, ed i passi della sentenza ne spiegano dettagliatamente le motivazioni. Ciò che viene rigettato, di fatto, è il concetto stratificato della legislazione, in cui una norma soppressa resta quiescente e può essere quindi riportata in vita da un'abrogazione della norma sopprimente. Al contrario, afferma la Consulta, una norma cancellata è letteralmente espunta dal corpus legislativo del Paese, non può essere riportata in vita dall'abrogazione della norma che ha operato la cancellazione: al contrario, deve essere nuovamente reintrodotta attraverso un nuovo atto legislativo. La sentenza della Corte sottolinea inoltre la pericolosità della cosiddetta visione stratificata, che arricchirebbe il concetto di abrogazione con effetti imponenti e dalla difficile prevedibilità, evidenziando per di più i casi eccezionali in cui tale visione potrebbe avere un reale fondamento giuridico. Infine, l'uso del referendum per uno scopo non esclusivamente abrogativo è di fatto vietato dalla Costituzione italiana, e questo è valido anche quando la pars costruens è indiretta come in questo caso.
Al secondo quesito vengono contestate dalla Corte Costituzionale le medesime pecche che hanno portato all'inammissibilità del primo, con l'aggravante di andare a creare un sistema elettorale del tutto incoerente. Per quanto eminentemente abrogativa, infatti, la Legge 270/2005 presenta anche delle nuove disposizione legislative, definite sottotesti. Il secondo quesito del referendum opera per ottenere la cancellazione della parte abrogativa del "Porcellum" senza tuttavia toccare i sottotesti. Un esito positivo del referendum, quindi, andrebbe a cancellare le abrogazioni previste dalla Legge 270/2005 mantenendone però in vita la struttura, ovvero non arriverebbe allo scopo previsto dal comitato referendario stesso. In realtà, tale guazzabuglio si sarebbe ottenuto - e anche in forma peggiore - qualora fosse stata considerata accettabile la visione stratificata della legislazione, in quanto ci si sarebbe ritrovati a quel punto con norme entrambe valide (quella non abrogata del "Porcellum" e quella riesumata del "Mattarellum") spesso in aperta contrapposizione tra loro.
Insieme alla dichiarazione di inammissibilità, i membri della Consulta hanno infine voluto ribadire quali sono i limiti del raggio di azione di un referendum: il livello di abrogazione di una legge elettorale non deve superare quel limite oltre il quale la legge oggetto della consultazione diventa inapplicabile.
Una lezione semplice, che la possibilità di riportare in vita il "Mattarellum" ha fatto inopportunamente dimenticare.
La sentenza della Consulta, nella sua semplicità e nel gran numero di precedenti riportati nel testo, si presenta quindi come una semplice applicazione logica della legge vigente nel Paese, senza bisogno alcuno di tirare in mezzo la casta e i suoi privilegi.
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