venerdì 27 aprile 2012

Verso le amministrative: Monza

L'Arengario, storica sede del Comune di Monza

Se le elezioni amministrative 2012 dovranno essere la cartina al tornasole dello stato della destra italiana dopo la caduta del Governo Berlusconi IV, è sicuramente nei feudi dell'alleanza PdL-Lega, nel Lombardo-Veneto, che la reale tenuta del centrodestra dovrà essere valutata, in termini di consenso popolare se non di alleanze tra i partiti.
Da questo punto di vista, è impossibile non considerare Monza, terzo comune della Lombardia dopo Milano e Brescia e primo in regione tra quelli chiamati a rinnovare la propria amministrazione, come una delle città chiave di questa tornata elettorale, al pari - per il proprio valore simbolico nel cuore della Lombardia formigoniana più ancora che per le reali dimensioni cittadine.

Dopo due sindaci PSI, durante la Prima Repubblica la città vide la DC occupare saldamente la poltrona di Primo Cittadino ininterrottamente dal 1946 al 1992. Con i terremoti politici scatenati da Tangentopoli, che sancirono la nascita della Seconda Repubblica, cambiarono le formazioni al governo della città ma non l'area politica: dal 1993 al 1997 fu la Lega Nord ad esprimere il posto di primo cittadino, mentre dal 1997 al 2002 la carica fu appannaggio del forzista Colombo. Dal 2002 al 2007 l'unica parentesi di centrosinistra - tra l'altro un civico - nella storia del secondo dopoguerra, subito interrotta dall'elezione del leghista Mariani nel 2007, l'attuale sindaco.

Risultati delle elezioni
amministrative 2007

Le elezioni 2007 hanno visto la netta affermazione delle liste di centrodestra, trainate da una Forza Italia che da sola valeva ben più dell'Ulivo, somma dei due principali partiti di centrosinistra. Il canddaito di centrodestra in quell'occasione si affermò al primo turno con un sonoro 53% e circa il 12% di vantaggio sul rivale di centrosinistra Faglia. Le candidature civiche si fermarono al di sotto del 5%, risultando dunque ininfluenti nei rapporti di forza tra le coalizioni principali.
È tuttavia da notare come Faglia sia stato penalizzato più dalle liste in suo supporto che dal mandato di sindaco appena svolto. Infatti - contrariamente a quanto spesso visto in altre città - il candidato di centrosinistra si comporta sensibilmente meglio delle liste in suo supporto (circa il 3% in più) portando un valore aggiunto alla propria causa di oltre 5.000 preferenze: circa un quinto del totale.
Per fare un paragone, il leghista Mariani con un valore aggiunto di 3.300 voti contribuì alla propria elezione appena con il 9% delle preferenze, arrivando quindi a prendere il 2,5% in meno delle liste a proprio sostegno.
Le elezioni del 2007 sono state quindi decise non già dal valore dei candidati, quanto dalla sproporzione tra le forze di centrodestra e centrosinistra, con le prime - in particolare Forza Italia - nettamente superiori alle seconde.
Proprio per questa ragione la città sarà un importante banco di prova in queste elezioni 2012: la valutazione del comportamento dell'elettorato di centrodestra in una zona dove questo è stabilmente maggioritario e in teoria cristallizzato è un test vitale per saggiare la tenuta dell'area conservatrice in viste delle prossime elezioni politiche.

Mappa elettorale delle elezioni amministrative 2007
(dettaglio per circoscrizione)

La mappa elettorale cittadina mostra come il centrodestra abbia nel 2007 prevalso in tutte le circoscrizioni, in special modo nella V, la più settentrionale, dove il centrodestra riuscì a livello di liste a doppiare il centrosinistra 64% a 31%. Solo nella circoscrizione III le due coalizioni apparvero più ravvicinate, ma con un 49% a 45% anche in questo caso il centrodestra prevalse nettamente.
La circoscrizione III, sfortunatamente per il centrosinistra, è anche quella meno popolosa, avento contribuito al voto del 2007 appena per il 9,42% dei voti. Limitando l'analisi alle due circoscrizioni più abitate, la II e la IV, si evidenzia un centrodestra oscillante tra il 52% ed il 55% ed un centrosinistra tra il 39% ed il 42%.
A livello partitito Forza Italia, come già accennato, si era dimostrata di gran lunga la prima formazione cittadina, sopravanzando l'Ulivo di circa nove punti percentuale. Aggiungendo AN a FI e omologando l'Ulivo al PD, si ottiene uno schiacciante 37% a 20%, cifre che da sole manifestano la netta superiorità dei partiti di centrodestra nell'area cittadina.

Risultati delle elezioni
amministrative 2007
(dettaglio per circoscrizione)

Il centrosinistra, quindi, dovrebbe recuperare almeno una dozzina di punti per sopravanzare il centrodestra e riconquistare la poltrona di sindaco.
In realtà, però, il compito potrebbe apparire meno arduo del previsto sfruttando il progressivo sfaldamento dell'alleanza che nel 2007 riportò il Comune a destra: rispetto a quella tornata elettorale, infatti, il centrodestra si presenta diviso in tre tronconi. Il primo comprende l'UdC, ormai nemmeno più centrodestra ma Terzo Polo, con candidata Anna Martinetti; il secondo vede la Lega Nord correre in solitaria riproponendo Marco Maria Mariani, ed il terzo vede infine il PdL presentarsi in alleanza con La Destra sostenendo Andrea Mandelli.
Una vera e propria frantumazione dello schieramento che potrebbe avvantaggiare un centrosinistra invece unito sotto la bandiera di Roberto Scanagatti.
L'incognita, come in molti altri comuni, è costituita infine dal MoVimento 5 Stelle, che sostiene Nicola Emanuele Fuggetta.

Non sono disponibili sondaggi cittadini, ma anche proiettando i risultati del 2007 sulla nuova annata pare inevitabile un ballottaggio; e se il candidato di centrosinistra pare certo di arrivare al secondo turno, sarà interessante capire se andrà a sfidare il sindaco uscente, esponente della Lega Nord, oppure Mandelli, espressione del PdL; capire, in ultima analisi, quale destra riuscirà ad imporsi nel lento naufragio del patto di ferto Berlusconi-Bossi all'interno degli stessi bastioni che contribuirono a rendere quel centrodestra maggioritario nel Paese.

lunedì 23 aprile 2012

Eliseo, un ballottaggio tra mille insidie

Francia 2007 e Francia 2012 (primo turno)

La Francia tornerà a sinistra?

È questa la domanda che aleggia dopo il primo turno delle elezioni presidenziali d'oltralpe. Lungi dal dare un segnale politico chiaro e inequivocabile, l'appuntamento del 22 aprile al contrario disegna uno scenario politico fatto di profonde complessità e contraddizioni, dove segnali che presi singolarmente apparirebbero chiarissimi evidenziano nel loro complesso un quadro piuttosto oscuro, segnale di una società smarrita ed in rapida ridefinizione dei propri valori politici e forse anche culturali.

Risultati del primo turno delle elezioni presidenziali
(2007 - 2012)

La tabella riepilogativa dei voti del primo turno (comprensivi dei territori d'oltremare) evidenzia quali sono i temi predominanti di questa tornata elettorale: Hollande, candidato del PS, sfiderà il presidente uscite Sarkozy (UMP) da una posizione di vantaggio, avendo sopravanzato il rivale diretto di oltre mezzo milione di voti. Al tempo stesso, si nota una prepotente ridefinizione dei rapporti di forza all'interno dei partiti di destra, una ridefinizione che però esula dai confini dell'area politica e coinvolge il crollo del centro moderato; dall'altra parte si nota la nascita di una formazione alternativa al PS ma di fatto sua alleata in grado di catalizzare con successo il voto dei micropartiti a sinistra della formazione socialista; e infine, il tutto in una situazione di moderato calo dell'affluenza alle urne.
Un quadro, quindi, estremamente complesso e delicato, in cui a dispetto dei numeri si fatica persino a individuare con certezza il vero vincitore.

È invece molto semplice capire chi è il vero sconfitto di questa tornata elettorale: François Bayrou, leader del MoDem, lascia sul campo qualcosa come tre milioni e mezzo di voti in cinque anni, dimezzando il proprio consenso e vedendo di fatto fallire l'idea di costruire una formazione alternativa ai due poli principali che tanto promettente era parsa dopo il relativo successo del 2007. In un voto così polarizzato tra differenti modelli di Paese, il candidato centrista si è trovato più di ogni altra cosa in difetto di identità politica, incapace di offrire una visione ad un elettorato chiamato a scegliere se rinnovare la fiducia nelle idee e nel lavoro di Sarkozy o voltar loro le spalle in modo radicale. Non vi era spazio per vie di mezzo, e la posizione spesso morbida di Bayrou sui principali temi economici e sociali non è stata in grado di catalizzare l'attenzione e le simpatie della popolazione.

Dall'elettorato in fuga di Bayrou è facile vedere un primo flusso in direzione delle formazioni di destra. In effetti, se si considera l'area conservatrice nel suo insieme, si nota rispetto al 2007 un avanzamento dal 45,00% al 46,87%, quasi due punti in ingresso.
Entrando nel dettaglio dei partiti che compongono l'insieme, tuttavia, si notano andamenti nettamente discordanti tra loro: Sarkozy, espressione della destra moderata dell'UMP, perde un milione e settecentomila voti dal 2007 ad oggi, una caduta amarissima per un candidato che aveva tentato sia pure non sempre con successo di trasformare l'appuntamento elettorale in un referendum sulla sua persona.
Al contrario, è assolutamente rilevante l'avanzamento dell'estrema destra del Front National di Marine Le Pen, figlia ed erede del fondatore Jean-Marie. Oltre due milioni e mezzo di preferenze il saldo positivo del voto per il partito che ha fatto dell'euroscetticismo e delle politiche anti-immmigrazione la propria bandiera; un segnale sicuramente molto forte, e che lascia intendere come l'incantesimo che Sarkozy era riuscito a tessere sugli elettori di estrema destra nel 2007 ha perso il suo fascino: è infatti poco plausibile un passaggio diretto di voti dal MoDem al FN, pertanto la dinamica elettorale interna alla destra francese ha proprio visto un UMP progressivamente spostato - elettoralmente parlando - verso il centro, che mentre toglieva voti a Bayrou li perdeva verso la Le Pen.
In termini assoluti la destra francese conquita comunque 16.819.703 voti, circa trecentomila in più delle precedenti presidenziali.

Riconoscere anche nella sinistra una fase di avanzamento è forse più difficile, considerando il maggior numero di partiti che la compongono. Eppure la gauche passa dal 35,12% del 2007 al 43,75%: un bilancio complessivo di +8,64%, pari a due milioni e ottocentomila voti, che porta la sinistra d'oltralpe a quota 15.701.071 preferenze. Ancora sotto i conservatori, ma senza alcun dubbio un recupero notevolissimo rispetto a cinque anni fa.
Escludento il partito ecologista, che mostra un lieve incremento mantenendosi comunque su livelli estremamente bassi, sono due gli aspetti in cui può essere scomposta l'avanzata della gauche: da un lato si nota un incremento dei consensi del PS di oltre settecentomila voti, che porta la formazione di Hollande sopra la soglia psicologica dei dieci milioni di voti; dall'altro il risultato di Melenchon, pur se al di sotto delle aspettative, è notevole nella sua capacità di aggregazione della galassia di piccole formazioni a sinistra della realtà socialista, oltre che nella capacità di intercettazione dell'elettorato: il FdG totalizza infatti poco meno di quattro milioni di preferenze, da solo circa seicentomila in più di tutti i partiti di sinistra nel 2007 (meno Verdi e PS), prosciugando il bacino elettorale di NPA e LO e convogliandolo in questa nuova formazione che senza alcun dubbio giocherà un ruolo importante nel panorama politico francese del prossimo futuro. Malgrado la crescita dell'astensione, non è impossibile ipotizzare che nella crescita dei partiti di sinistra non vi sia solo un'avanzata verso il centro, ma anche - soprattutto per quanto riguarda Mélenchon - la capacità di richiamare al voto alcuni dei delusi del 2007.

Per comprendere al meglio i flussi elettorali di queste elezioni presidenziali, tuttavia, è necessario valutarne la correlazione in maniera più precisa proprio con i dati dell'astensione, cosa che a sua volta richiede un'analisi maggiormente dettagliata per area geografica.

Votanti e peso relativo delle regioni francesi
con differenze sul 2007

La tabella riportata indica il numero di votanti per ciascuna regione ed il rispettivo peso nel computo totale dei votanti del Paese, comprensivo di variazione dal 2007. Più che una fotografia dell'astensione, evidenzia quindi la variazione dell'astensione rispetto alla precedente tornata elettorale, in modo da fotografare quale sia l'elettorato più colpito da un raffronto diretto con i risultati a livello regionale.
Si evidenzia in primo luogo il crollo dell'affluenza a Parigi, che ne diminuisce il peso a livello nazionale di quasi un punto percentuale per un totale di poco meno di quattrocentomila voti in meno; al contrario presentano risultati molto positivi il Rhône-Alpes e la Provence-Alpes-Côte d'Azur in termini di minor calo dei votanti. Crolla quindi l'affluenza in una regione dove ha vinto Hollande e aumenta in due dove ha vinto Sarkozy? La spiegazione non è così semplice. Esaminando le dinamiche 2007-2012, infatti, si nota come nell'Île-de-France la destra non sia per nulla avanzata, avendo Sarkozy perso più di quanto abbia guadagnao la Le Pen: è evidente che è stata quindi quell'area ad essere maggiormente penalizzata dall'astensione. Analogamente, nelle due regioni sudorientali del Paese ad alcuni tra i maggiori exploit del FN, rendendo la formazione di estrema destra la maggior premiata dall'affluenza alle urne - o meglio dal suo minor calo.
Analisi su altre zone campione del Paese inducono a confermare il medesimo risultato: sia la maggiore che la minore fidelizzazione dell'elettorato nei confronti dell'astensione si trovano a destra, e rispettivamente in quella radicale ed in quella moderata. La sinistra conferma il proprio elettorato e avanza verso il centro, mentre quest'ultimo pare più sfaldarsi verso le due ali dello schieramento che verso l'area del non-voto.

Sarà, quindi, ballottaggio Hollande-Sarkozy.
Non è semplice, in un simile scenario, capire chi possa essere il favorito. Sicuramente le serie storiche, che vedono chi è in testa al primo turno trionfare anche al secondo, sono pro-Hollande, così come lo è il generale avanzamento socialista in tutto il Paese.
Eppure la destra è ancora maggioritaria nel Paese, e alla destra dell'UMP si trova un immenso bacino di voti a disposizione di Sarkozy. I leader conservatori del passato hanno sempre rifiutato l'alleanza con il FN alle elezioni, ma non è dato sapere quanto Sarkozy sia disperato, e a che prezzo voglia conservare l'Eliseo.
Quel che è certo è che un abbraccio con Marine Le Pen è pericoloso per entrambi i leader: la Le Pen rischierebbe di sconfessare tutta la propria politica e la propria campagna elettorale anti-UMP, vanificando l'ottimo risultato raggiunto al primo turno; Sarkozy rischia di alienarsi le simpatie tanto dei centristi di Bayrou quanto dell'ala più a sinistra del proprio stesso partito, ripiegandosi a destra e lasciando praterie elettorali ad Hollande. Il candidato socialista, che dopo aver incassato l'appoggio ufficiale dei Verdi e del FdG ha di fatto esaurito le proprie possibilità di espansione elettorale, sicuramente tenterà di spingere verso destra Sarkozy per farsi spazio al centro e conquistare i voti del MoDem.
Ma questi giochi politici e aritmetici non tengono conto del reale umore degli elettori. È difficile ad oggi interpretare quanto i voti in uscita dall'UMP al FN siano reali passaggi di casacca, quanti siano voti di protesta contro la politica del presidente e quanto sia inflessibile questa protesta dell'elettorato. Un sondaggio realizzato dalla BVA vede un flusso Le Pen → Sarkozy al 57% e Le Pen → Hollande al 20%; un flusso Mélenchon → Hollande al 90% e Mélenchon → Sarkozy al 6%; infine, Bayrou → Sarkozy al 39% e Bayrou → Hollande al 36%. È plausibile ipotizzare per i Verdi dei numeri simili a quelli indicati per il FdG. Ipotizzando una tenuta del 95% per gli elettori che già al primo turno avevano espresso preferenza per uno dei due candidati al ballottaggio, questi risultati darebbero un 53% ad Hollande e un 47% a Sarkozy. Sicuramente cifre ancora piuttosto ravvicinate, che lasciano intendere come la battaglia non sia ancora conclusa.

Sarkozy sarà chiamato a fare una scelta: puntare su un fisiologico recupero da destra e lottare per la conquista del centro, oppure aprire le porte al FN e di fatto aprire una nuova pagina storica per l'UMP. È quindi - con ogni probabilità - solo da destra che potranno venire le novità in queste due ultime settimane di campagna elettorale. Il 6 maggio è vicino.

domenica 22 aprile 2012

Dati AGCom marzo 2012

Logo dell'AGCom

Marzo è stato un mese dominato dal tema della riforma del lavoro, dalle proteste relative alla modifica dell'Art. 18 dello Statuto dei Lavoratori e dalle relative ripercussioni mediatiche. Nel suo piccolo, tuttavia, marzo 2012 è anche un mese da ricordare per l'analisi della comunicazione televisiva, in quanto per la prima volta l'AGCom inserisce nel proprio rapporto nuovi canali e nuove testate telegiornalistiche. A partire da questo mese, infatti, entrano nel computo dell'Autorità anche TGCOM 24 e Repubblica TV 30 minuti, mentre le testate TG La7 e TG Sky 24 vengono integrate con i dati rispettivamente dei canali La7D e Cielo.
Una piccola rivoluzione che se da un lato rende più complesso il raffronto con i dati del passato, dall'altro permette di fotografare con sempre maggiore precisione la qualità della distribuzione dei tempi politici tra le varie formazioni; ancora più importante, sia pure a livello meramente simbolico, è tuttavia la presa di coscienza dei primi effetti del digitale terrestre e della conseguente dispersione dell'audience dovuta alla nascita di nuovi canali e nuove testate.

Dati AGCom marzo 2012

Il numero totale di ore di informazione politica è stato 261, un numero altissimo e sicuramente non riducibile all'incremento del numero di testate: in tutti i telegiornali l'attualità politica legata alla riforma del lavoro ha occupato gran parte dei tempi di trasmissione, generando valori record in pressoché tutti i telegiornali, segno di quanto il tema avesse profondi impatti sociali.
Dalla visione dei dati grezzi si evincono da subito due dati focali: il primo, sia pure di valore simbolico, è il sorpasso del Governo sul Presidente del Consiglio: tramonta la visione Monti-centrica della politica italiana, a favore di una strutturazione più corale dell'informazione istituzionale. Continua il progressivo ritorno nell'ombra del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, dopo i mesi di protagonismo coincisi con il tramonto dell'esecutivo guidato da Silvio Berlusconi.
L'altra importante novità è il calo delle due formazioni principali, PdL e PD, un calo che però costituisce il punto di arrivo di fenomeni assai differenti: se il PD infatti scende in maniera piuttosto lieve rispetto a febbraio e si mantiene su valori comunque piuttosto alti, il PdL lascia il 5% rispetto al mese precedente, mantenendo lo status di primo partito del Paese - mediaticamente parlando - solo di poco. Particolarmente interessante è il fatto che la leadership del PdL sia dovuta in massima parte all'apporto delle reti Mediaset e delle altre reti private, laddove sulla RAI sono stati i democratici a prevalere.

Dati AGCom marzo 2012 aggregati per
Istituzioni - Maggioranza - Opposizione

Osservando l'istogramma dei dati aggregati per rappresentanza istituzionale, si nota un relativo incremento delle forze di opposizione, comunque relegate ai margini dell'informazione politica: Lega Nord e Italia dei Valori si mantengono infatti su valori in linea con il loro consenso elettorale e con i dati avuti nel precedente Governo, come se non costituissero l'unica forma di opposizione al Governo Monti.
Il pur lieve incremento dell'opposizione punisce tanto le forze di maggiorana quanto quelle istituzionali, il cui valore è in progressivo abbassamento appena al di sopra della maggioraza assoluta. Si tratta di valori ancora alti, ma l'andamento sottolinea una ritrovata voglia di protagonismo televisivo da parte dei partiti, unito ad una lieve usura che inizia a circondare la figura di Monti e dei suoi ministri.

Le testate più favorevoli alle forze di maggioranza sono state TG4 e Studio Aperto; l'opposizione ha avuto i massimi risultati sulle testate Telecom TGLa7 e MTVFlash, mentre le istituzioni sono state maggiormente rappresentate da TGCOM24 e TG1.

Dati AGCom marzo 2012 aggregati per
area politico-culturale

Ancora più interessanti sono però i dati relativi alla distribuzione del tempo per area politica. Rispetto al mese di febbraio sono infatti molte le novità: centrodestra e centrosinistra si presentano entrambi in calo fino ad attestarsi su un risultato di sostanziale parità, mentre traggono giovamento dalla diminuzione delle due aree principali tanto il Terzo Polo quanto l'opposizione leghista da destra.
Si tratta di un brusco dietrofront rispetto al mese di febbraio, ma è ancora presto per capire se si tratta di una reale inversione di marcia o di una semplice eccezione dovuta al particolare momento politico, né i mesi successivi - dominati dalle amministrative e dallo scandalo Lega - saranno probabilmente in grado di chiarire la situazione. Solo un monitoraggio costante a lungo termine potrà dire con certezza i nuovi equilibri tra gli schieramenti politici nel Paese.

Il centrodestra si conserva comunque egemonico nelle reti Mediaset, TG4 e Studio Aperto in testa, mentre le reti più favorevoli al centrosinistra si sono dimostrate Rainews 24 e Rainews. Il centro trova massima espressione su TG2 e Studio Aperto, mentre, infine, l'opposizione leghista ha maggiore spazio su TGLa7 e TGCOM24. La fine - almeno per ora - dell'alleanza tra il PdL e Lega ha significato per quest'ultima un drastico ridimensionamento nelle resti Mediaset.

A livello di aderenza alla par condicio spiccano i canali Telecom TGLa7 e MTV Flash, laddove i meno fedeli ai dettami della legge si sono rivelati il TG4 ed il TGCOM.

Dati AGCom 2012 aggregati per mese

Dati AGCom 2012 aggregati per
Istituzioni - Maggioranza - Opposizione

Dati AGCom 2012 aggregati per
area politico-culturale

Analizzando l'andamento mensile delle singole formazioni politiche è impossibile non notare come il mondo dell'informazione sia ancora in cerca di un vero punto di equilibrio nel dopo-Berlusconi: le oscillazioni di PD e PdL sono figlie infatti, oltre che del normale evolversi delle tematiche politiche predominanti, anche di una vera e propria redistribuzione delle forze in vista dei prossimi appuntamenti elettorali, amministrative in testa.
Tuttavia è possibile individuare alcuni punti fissi nei primi tre mesi dell'anno che possono offrire spunti di riflessione sull'immediato futuro: in primo luogo il lento e costante declino della presenza in TV del Presidente del Consiglio, segno da un lato della minor presa della sua figura sulla cittadinanza e dall'altro della progressiva scomparsa di quella sensazione di eccezionalità che aveva caratterizzato i primi periodi del suo mandato. In secondo luogo è impossibile non trascurare la progressiva ascesa delle formazioni centriste UdC e ApI in primis, che forse più di ogni altra cosa costituisce una valida indicazione sulla politica del futuro.

Ciò che è certo è che la situazione è alquanto dinamica, e le imminenti elezioni amministrative potrebbero ancora una volta ridisegnare gli equilibri di potere nella TV italiana.

giovedì 19 aprile 2012

Verso le amministrative: Parma

Il Palazzo del Comune di Parma

Tra gli scontri più importanti di questo appuntamento 2012 con le elezioni amministrative spicca senza alcun dubbio l'elezione del nuovo sindaco di Parma, che con i suoi 190.000 abitanti è la seconda città più popolosa dell'Emilia Romagna - la maggiore tra quelle chiamate al voto nella regione rossa per eccellenza - e che costituirà un test importante per comprendere le mutazioni in atto nel panorama politico italiano.
Come la quasi totalià delle realtà regionali, Parma vanta una fiera tradizione di sinistra: dal 1946 al 1970 il sindaco ed il vicesindaco sono stati costante espressione rispettivamente di PCI e PSI, mentre dal 1970 al 1985 i ruoli tra i due partiti si invertono. Una prima mutazione nel panorama politico cittadino si avverte tra il 1985 ed il 1990, quando, pur in presenza di sindaci PSI, esce di scena il PCI per far posto alla Democrazia Cristiana. La città torna a sinistra dal 1990 al 1998, per poi svoltare definitivamente a destra dopo tale data, con il doppio mandato di Ubaldi ed infine l'amministrazione Vignali, vittorioso al ballottaggio nelle elezioni 2007.

Risultati delle elezioni amministrative 2007

Malgrado nel 2007 il centrodestra si presentasse diviso in tre tronconi (civico-FI, AN e Lega), Vignali riuscì ad accedere al ballottaggio con oltre 8.000 voti di vantaggio sul rivale di centrosinistra Peri. Da notare, inoltre, un insieme di candidature terze assolutamente non marginale, in grado di racimolare circa il 12% delle preferenze complessive.
Tutti i candidati di centrodestra presero proporzionalmente meno delle liste in loro sostegno; nel caso della Lega Nord in taluni quartieri il candidato sindaco Zorandi fu anche oggetto di compatto voto disgiunto arrivando a prendere meno voti del partito in suo sostegno; nel caso di Vignali è però più corretto parlare di popolarità della lista in suo appoggio, derivante dalla presenza persino nel nome dell'ex primo cittadino Ubaldi.
Al secondo turno, in ogni caso, Vignali si dimostrò maggiormente in grado di intercettare il voto dei candidati eliminati, passando dal 45% al 57%; in particolare, Vignali fu in grado di compattare il centrodestra al secondo turno intorno alla propria persona, mentre il candidato di centrosinistra non fu in grado di raccogliere a proprio sostegno le liste civiche, anche se diverse di essere - in primo luogo quelle a sostegno della Guarnieri - mostravano diverse affinità programmatiche con la candidatura Peri.

Mappa elettorale delle elezioni amministrative 2007
(dettaglio per circoscrizione)

Approfittando tanto della popolarità del sindaco uscente Ubaldi quanto del momento nazionale favorevole al centrodestra, Vignali riuscì a dominare in quasi tutte le circoscrizione cittadine, lasciando al centrosinistra solo la II. Nella XII Peri riuscì a sopravanzare il rivale, ma a livello di liste il centrodestra risultò comunque predominante.
Se le circoscrizioni II e XII si sono quindi dimostrate le più spostate a sinistra, la I e la XIII sono invece quelle che hanno maggiormente premiato la candidatura di Vignali, consentendogli di sfiorare la maggioranza assoluta già al primo turno di votazione. Se si considerano tuttavia le circoscrizioni più popolose (III, VII, IX e XI), che assieme coprono circa il 50% dell'elettorato cittadino, si nota come Vignali riuscì a vincere di misura nelle prime due, si impose di oltre nove punti nella IX e stravinse con circa il 14% di vantaggio nella XI.
Un divario oggettivamente incolmabile.

A livello partitico non è possibile offrire una valutazione dei livelli di Forza Italia nel 2007, in quanto conglobata nella civica a sostegno di Vignali. È tuttavia notevole il risultato dell'Ulivo, inferiore al 20%. Un valore estremamente basso, in special modo in una regione come l'Emilia Romagna.

Risultati delle elezioni amministrative 2007
(dettaglio per circoscrizione)

Nel corso dei suoi anni di governo l'amministrazione Vignali ha completamente distrutto il credito di cui godeva presso i cittadini della città ducale, con due scandali, emersi entrambi nel corso del 2011, legati ad episodi di corruzione: dapprima sono emerse delle stipule di polizze illegali, che ricoprivano il periodo 2001-2011, relative alla copertura degli errori gestionali dell'amministrazione, e per le quali la Corte dei Conti comminò sanzioni pecuniarie per quasi 400.000 €. Oltre al sindaco Vignali ed al suo predecessore Ubaldi (in questa sessione candidato con il Terzo Polo) spiccano i nomi di Buzzi, vicesindaco di Vignali e nuovo candidato del centrodestra, e Guarnieri, candidata civica nel 2007 e incorporata nel centrosinistra in questa nuova tornata elettorale.
Malgrado una città in rivolta, Vignali resistette al suo posto fino a quando non esplose il secondo scandalo nel novembre 2011, questa volta relatico ad appalti truccati: la pressione sul primo cittadino della città ducale furono irresistibili, fino ad un vero e proprio assedio del Palazzo del Comune da parte della cittadinanza.
Vignali lasciò la carica il 28 settembre 2011, per essere sostituito dal Commissario Prefettizio Anna Maria Cancellieri e, dopo la nomina di quest'ultima a Ministro dell'Interno del Governo Monti, dal Commissario Prefettizio Mario Ciclosi.

Con la giunta sommersa dagli scandali, la strada pare spianata ad un ritorno in grande stile del centrosinistra al Palazzo Comunale: d'altra parte, la scelta del PdL di candidare Buzzi, vicesindaco di Vignali, pare a priori un segnale di resa e soprattutto un segno di incapacità di offrire alla città un modello conservatore rinnovato e pulito.
Al contrario il centrosinistra, tramite le primarie, ha scelto il volto di Bernazzoli, già presidente in carica della Provincia la cui amministrazione non verrà rinnovata a seguito delle misure del Salva-Italia, per correre alla poltrona di primo cittadino; una personalità di grande caratura, anche se contestato dall'area ecologista della coalizione per le sue posizioni pro-inceneritore.

Sondaggio Agrom 30 marzo 2012

Secondo le ultime rilevazioni, condotte dalla società Agrom con un sondaggio CATI per la Gazzetta di Parma in data 30 marzo 2012, il risultato più probabile è un ballottaggio tra il candidato del centrosinistra Bernazzoli e quello del Terzo Polo Ubaldi, con il primo che dovrebbe terminare ampiamente in testa il primo turno.
La partita è tuttavia più complessa di quanto potrebbe apparire, in quanto la distribuzione dei voti al secondo turno rischia di far saltare tutti gli schemi: sarebbe infatti logico aspettarsi che i voti di Buzzi e Zorandi convergessero su Ubaldi, permettendogli di sfiorare il 40%.
Oltre alle capacità dei candidati maggiori di portare al voto i propri sostenitori al secondo turno, quindi, saranno soprattutto le indicazioni di voto dei candidati minori, tra cui spiccano Pizzarotti del MoVimento 5 Stelle e Roberti di Rifondazione Comunista, ad essere il vero ago della bilancia di questa appassionante competizione elettorale.

lunedì 16 aprile 2012

Verso le amministrative: Alessandria

Palazzo Rosso, sede del Comune di Alessandria

Alessandria, con i suoi 95.000 abitanti circa, è la principale tra le città piemontesi chiamate con le elezioni 2012 a rinnovare la propria amministrazione comunale.
Governata ininterrottamente dal PSI dal 1947 al 1992, dopo l'esplosione di Tangentopoli vira decisamente a destra, conoscendo un vero e proprio decennio verde nel nome della leghista Francesca Calvo. Dopo la prentesi 2002-2007 in cui la diessina Mara Scagni riportò la città a sinistra, Alessandria conferma la propria nuova vocazione destrorsa premiando nel 2007 il pidiellino Piercarlo Fabbio con una eclatante vittoria al primo turno.

Risultati delle elezioni
amministrative 2007

Come ben evidenzia la tabella, il centrodestra ha letteralmente stravinto nel 2007, approfittanto tanto di fattori locali - l'impopolarità della giunta Scagni - quanto di elementi nazionali - il forte malcontento ed il generale senso di disillusione verso il Governo Prodi in quel momento in carica - per strappare un risultato davvero eclatante.
Le dimensioni del successo di Fabbio nel 2007 assumono proporzioni ancora più rilevanti se si tiene conto che tra il 2002 ed il 2007 l'affluenza addirittra aumentò di circa un punto percentuale: non si trattò, quindi, di semplice disaffezione di elettori di centrosinistra che disertarono le urne e favorirono così il cambio di colore della città, ma di un vero e proprio spostamento a destra dell'elettorato.

Mappa elettorale delle elezioni amministrative 2007
(dettaglio per circoscrizione)

La vittoria del centrodestra è stata relativamente omogenea sul territorio cittadino, con la coalizione conservatrice che ha ottenuto risultati compresi tra il 59% delle circoscrizioni II e V ed il 66% delle circoscrizioni I e III. Una vittoria senza appello, che ha lasciato al centrosinistra appena le briciole: per quanto secondo partito cittadino, i DS ottennero all'epoca appena il 14% delle preferenze contro il 28% dei rivali diretti di Forza Italia. Il paragone è ancora più oneroso per il centrosinistra se si integrano i dati rispettivamente di Margherita e Alleanza Nazionale allo scopo di riproporre lo scontro PD-PdL: il risultato in termini percentuali in questo caso termina 40% a 19% per la formazione berlusconiana.

Risultati delle elezioni
amministrative 2007
(dettaglio per circoscrizione)

Dall'analisi circoscrizionale dei dati emergono infine altri due passaggi fondamentali: i quartieri dove il centrosinistra ha ottenuto i migliori risultati sono anche quelli meno rilevanti in termini di popolazione: le circoscrizioni I e IV sono infatti quelle più popolose, che da sole coprono oltre il 50% dell'affluenza cittadina, e sarà pertanto principalmente in queste due aree che il centrosinistra dovrà focalizzare la propria rimonta.
Infine, confrontando i dati relativi ai candidati con quelli ottenuti dalle liste, si nota la debolezza strutturale candidatura di Mara Scagni, che sistematicamente in tutte le circoscrizioni ottiene risultati inferiori alla propria coalizione, con un bilancio globale di -0,90%. Per contro il candidato di centrodestra Fabbio è riuscito a strappare un +0,74% rispetto alle liste in proprio sostegno, con un valore aggiunto in termini di voti pari a oltre il triplo della propria competitor progressista.
Un candidato poco credibile e un deficit di credibilità a livello nazionale sono stati gli ingredienti per una delle più cocenti sconfitte del centrosinistra nel 2007.

Ad oggi, tuttavia, la situazione è molto differente.
Rispetto al 2007 il panorama politico si presenta estremamente più frammentato, con ben sedici candidati e trentaquattro liste in loro sostegno: una vera e propria babele che renderà arduo per qualsiasi candidato di qualsiasi area ripetere i numeri del 2007, generando una diffusa frammentazione del voto e rendendo probabilmente necessario l'approdo al turno di ballottaggio.
Il centrosinistra rispetto al 2007 perde l'area di sinistra radicale e la persona stessa di Mara Scagni, che dopo aver lasciato il PD tenterà nuovamente la corsa alla poltrona di sindaco con una lista civica. Inoltre l'ApI di Rutelli si presenterà alla corsa con un proprio candidato, Gianni Vignuolo.
Se il centrosinistra soffre di alcune defezioni, il centrodestra monolitico del 2007 si presenta completamente lacerato in una miriade di formazioni e di candidati. L'UdC sosterrà Barosini, evidenziando come anche all'interno del Terzo Polo non vi sia una reale unità nel capoluogo piemontese. La vera spaccatura è però quella tra PdL e Lega Nord, che correranno divise per lo meno al primo turno. Il partito di Alfano sosterrà infatti la ricandidatura di Fabbio, supportato da una costellazione di partiti minori e liste civiche di area centrodestra; corsa in solitaria invece per la Lega, che proporrà il volto di Roberto Sarti.
All'interno di questo panorama così spezzettato fa il proprio prepotente ingresso il MoVimento 5 Stelle con la candidatura di Angelo Malerba. I grillini hanno buone possibilità di replicare e addirittura incrementare i pur ottimi risultati delle amministrative 2011, approfittando della scarsa credibilità a livello nazionale delle altre formazioni politiche e in particolare - al nord - della crisi della Lega.

Anche il clima politico generale è ben differente da quello del 2007.
A livello nazionale è ora il centrodestra ad annaspare in difficoltà, con il PdL in crisi per un sostegno al Governo Monti mal digerito da una cospicua parte del proprio elettorato ed una Lega Nord squassata dagli scandali finanziari. Né Fabbio pare poter fare appello su fattori locali per conservare la carica di sindaco: i cinque anni della sua amministrazione sono stati caratterizzati da un progressivo dissesto delle casse comunali fino a sfiorare il default ed il commissariamento, il tutto inframezzato da scandali finanziari in particolar modo legati al settore della sanità.

Appare quindi in generale piuttosto difficile per il centrodestra riuscire a confermarsi alla guida del Comune: secondo le ultime rilevazioni, relative ad un sondaggio CAWI condotto da Epoke per www.alessandrianews.it il 2 aprile Rita Rossa, candidato del centrosinistra, sarebbe in vantaggio di circa una ventina di punti su Fabbio. Anche sommando i suoi voti a quelli del candidato leghista e a quelli del candidato UdC non si arriverebbe al 40%: la perdita secca per il centrodestra si attesterebbe quindi intorno al 25%.
È da tenere sott'occhio il risultato del candidato del MoVimento 5 Stelle, dato poco sotto il 10%, e del progressista Parise, i cui voti potrebbero essere determinanti per la vittoria di Rita Rossa al secondo turno.

Sondaggio Epoke 2 aprile 2012

È da notare che a circa un mese dal voto vi sia ancora il 46% del campione che non esprime una preferenza, e che il 30% sia comunque intenzionato a recarsi alle urne.
Sebbene il vantaggio del centrosinistra appaia quindi consistente, anche se non in grado di chiudere le elezioni al primo turno, la partita risulta ancora piuttosto aperta.

mercoledì 11 aprile 2012

Lo spread torna a far paura

Sede della Banca Centrale Europea

Negli ultimi giorni lo spread è tornato a fare paura, sfondando in data 10 aprile quota 400 punti base e sollevando importanti interrogativi tanto sull'esistenza di un disegno - alcuni direbbero complotto - da parte del sistema finanziario internazionale e perpetrato dai governi di destra del Vecchio Continente quanto, con crescente angoscia, sulla reale utilità dei pesanti sacrifici imposti dal Governo Monti alla popolazione in termini di pensioni e stato sociale.

Ad alimentare le più disparate teorie complottiste è la concomitanza dell'impennata del differenziale con i bund tedeschi con le modifiche introdotte dal Governo sulla riforma del lavoro: in effetti, è innegabile che a seguito della retromarcia dell'esecutivo sul tema dei reintegri a seguito dei licenziamenti per motivazioni economiche siano iniziate critiche severe al nostro Paese da parte del gotha del capitalismo mondiale, ben sintetizzate dall'articolo Surrender, Italian Style apparso sul Wall Street Journal del 5 aprile 2012 (per i non abbonati, disponibile in forma integrale su Astrid On-line corredata della risposta di Monti del 7 aprile).
Vedere nell'aumento dello spread una sorta di ricatto con cui tenere in scacco il nostro Paese fino alla completa demolizione del welfare duramente conquistato nelle precedenti generazioni e alla cessione o dismissioni delle attività produttive rilevanti è un'ipotesi che assume quindi maggiore credibilità, e che si porta dietro una serie di implicazioni potenzialmente devastanti: Monti inviato della finanza mondiale per dismettere il Paese, Italia colonia dei Paesi del Nord Europa, macchinazione delle destre mondiali per la destrutturazione del welfare state, e via dicendo.

Tuttavia, per comprendere meglio le dinamiche del fenomeno, è necessario affrontare il tema con razionalità, partendo proprio dallo spread, indice numerico e come tale confrontabile, misurabile e verificabile. Solo osservando il reale movimento di questo indice sarà possibile imporre dei confini logici alle comunque personali interpretazioni sulle cause del suo andamento.

Andamento dello spread italiano (2011-2012)

L'andamento dello spread degli ultimi due anni ben evidenzia l'andamento della crisi, i picchi raggiunti immediatamente prima delle dimissioni di Berlusconi, il primo forte ed effimero calo in concomitanza con la presentazione del Salva-Italia e la successiva, risalita, la netta discesa del primo scorcio del 2012 e la paura delle ultime settimane culminata con lo sfondamento di quota 400.

Già da questa tipologia di grafico è possibile eseguire alcune interessanti analisi: in primo luogo, infatti, è possibile evidenziare quale sia stato il ruolo di Monti nella gestione della crisi italiana. Nella figura che segue, infatti, sono state aggiunte le linee di tendenza calcolate sia sul dato complessivo sia sui valori precedenti al 12 novembre 2011.

Andamento dello spread italiano (2011-2012)
con linee di tendenza al 12/11/2011 e al 10/04/2012

Utilizzando una semplice interpolazione lineare si vede come Monti, sebbene non sia riuscito ad invertire la tendenza crescente del nostro differenziale, sia quantomeno stato in grado di ridurre sensibilmente il nostro tasso di crescita di circa il 25%. Interpolazioni di grado più elevato mostrano risultati concordi nell'attribuire a Monti un valore positivo per l'andamento delle casse dello Stato, e se di grado pari individuano nell'andamento degli ultimi mesi quella tanto agognata inversione di tendenza verso una situazione di stabilità finanziaria.

Informazioni supplementari volte a capire quanto la causa della recente risalita dello spread sia legata a fattori di politica interna possono venire se la situazione italiana viene affiancata a quella di altri Paesi europei, come riporta il grafico sottostante.

Andamento dello spread belga, spagnolo, francese e italiano
(2011-2012)

Come emerge dal grafico, l'Italia per lungo tempo ha avuto un ritmo di salita dello spread maggiore di quello degli altri Paesi europei, tendenza ben evidenziata tanto dall'andamento dei grafici, che in Italia presenta alcune disparità rispetto agli andamenti tutto sommato proporzionali di Spagna, Francia e Belgio, e soprattutto dal confronto con la Spagna, che per per ragioni tanto di dimensione economica quanto di andamento del grafico ben si presta ad un confronto specifico con il nostro Paese.

Rapporto tra lo spread italiano e
quello belga, spagnolo e francese (2011-2012)

Dal momento che i Paesi con spread maggiore sono anche quelli che presentano maggiore volatilità del dato, più che un differenziale diretto tra l'Italia e gli altri Stati europei è interessante osservare il grafico dei rapporti tra lo spread del nostro Paese e quello di Francia, Belgio e Spagna nel corso degli ultimi due anni.
I dati sono evidenti: se l'Italia ha nettamente perso terreno nei confronti di Bruxelles, nei confronti di Madrid e Parigi i numeri si fanno più interessanti. Nel confronto con la Francia si nota un andamento altalenante con grandi picchi di variabilità, che tuttavia solo dal mese di ottobre 2011 diventa favorevole al nostro Paese e si concretizza in un reale movimento discendente. In generale, in un anno il nostro spread è passato dall'essere il quadruplo di quello francese ad esserne appena il triplo.
Nel confronto con la Spagna l'Italia mostra invece un costante peggioramento fino a dicembre 2012, momento in cui la rotta si inverte e che a marzo 2012 si traduce con il sorpasso dei BTP italiani sui bonos spagnoli.
Ancora più importante, in questo grafico dei rapporti è evidente come i dati di queste ultime settimane mostrino un andamento sostanzialmente stazionario, mostrando come la netta risalita dello spread italiano non sia legata a fattori di politica interna, ma sia invece da attribuire a fattori macroeconomici legati, nel dettaglio, ai dati dell'occupazione statunitense, alle previsioni di crescita cinesi e dal buon momento della Germania, che riesce a piazzare i propri titoli a interessi particolarmente bassi, così come riporta l'agenzia di stampa Reuters.

Naturalmente, nulla di tutto ciò può sminuire l'entità del rischio che incombe sul nostro Paese: la montagna di debito pubblico su cui sediamo è un luogo scomodo e pericoloso, sempre più difficile da finanziare in maniera sostenibile. Tuttavia quello che emerge delinea bene quali sono le responsabilità di una simile situazione: non già di un'oscura macchinazione o di una volontà di svendere e far fallire il Paese, ma dell'incoscienza di chi, per foraggiare i propri bacini elettorali, fece esplodere il debito pubblico negli anni '80 scaricando sulle future generazioni - noi - il problema di ripianare le folli spese di quegli anni.
Al di là delle differenti strategie per uscire dalla crisi e delle diverse ricette politiche per rimettere in piedi l'Italia, accettare le responsabilità nazionali per la situazione in cui ci troviamo deve essere il primo passo che tutti - politici e cittadini - dobbiamo compiere per disegnare un futuro migliore e fare scelte più consapevoli rispetto a chi ci ha preceduto.

venerdì 6 aprile 2012

Destra e sinistra d'Europa

Angela Merkel, Nicholas Sarkozy e Mario Monti

Se c'è un importante insegnamento che la crisi internazionale sta imprimendo a fuoco nella mente dei politici e dei cittadini italiani e non solo, è che uno degli elementi fondanti dell'assetto politico e giuridico europeo sta svelando tutta la propria inadeguatezza: il concetto di stato nazionale.

Persino le più importanti economie del Vecchio Continente - Germania, Francia - si ritrovano in difficoltà nell'affrontare la crisi con misure che nascono e muoiono all'interno dei confini nazionali. Sicuramente contribuiscono molto a questa inadeguatezza l'eterno guado politico in cui l'Europa si trova ormai da una generazione, la cessione della sovranità economica dalle nazioni alla UE, la paradossale evanescenza e farraginosità delle istituzioni europee, la generale lontananza di Bruxelles dal territorio, la difficoltà con cui le decisioni prese a livello comunitario diventino poi attuative nei singoli Paesi. La prova forse più evidente di questo fenomeno sono proprio le campagne elettorali per le elezioni europee, vissute più come referendum sui governi nazionali che sulla concreta presentazione di programmi di stampo comunitario.
L'Europa affronta quindi la crisi nel proprio assetto politico peggiore: da un lato non esiste una forma di governo comunitario in grado di coordinare efficacemente gli stati nazionali, dall'altro tuttavia questi ultimi hanno ceduto alla UE importanti leve politiche per il controllo della propria economia.

Alcuni ambienti vedono l'unica via di uscita nello smembramento della UE e nel ritorno agli stati-nazione di concezione novecentesca; se questa soluzione nel breve termine potrebbe anche essere un miglioramento rispetto allo stallo attuale in quanto restituirebbe alle amministrazioni nazionali alcuni utili strumenti per combattere gli effetti più nefasti della crisi, dall'altro non mette al sicuro lo sviluppo e la crescita del continente sul lungo termine. È evidente che i nuovi attori dell'economia mondiale ragionano su scale completamente differenti rispetto a quelle deli Stati europei: India, Cina, Brasile, Russia possiedono risorse in termini di forza lavoro, produzione agricola ed energetica e materie prime che nessuno stato europeo può sperare di eguagliare; una volta colmato il gap tecnologico che ancora, come un cuscinetto, rende superiore l'industria del Vecchio Continente, è evidente che sarà impossibile resistere all'onda d'urto generata dalla maturazione dei Paesi oggi in via di sviluppo.
La necessità di pensare in dimensione europea è quindi impellente, e l'uscita dall'attuale impasse istituzionale non può che risolversi con un rafforzamento ed una maggiore coordinazione delle istituzioni comunitarie, ma proprio per questo richiede dall'attuale classe politica la capacità di formulare pensieri e programmi di respiro sovranazionale, di disegnare non già la Francia, la Spagna, l'Italia del futuro, bensì l'Europa del futuro.

Storicamente la sinistra - dal Proletari di tutti i paesi, unitevi! di Marx ed Engels - ha da sempre avuto una maggiore attenzione all'internazionalismo nella formulazione delle proprie ideologie e delle proprie proposte politiche; uno degli esempi più eclatanti furono forse i disperati e inascoltati appelli alla vigilia della Prima Guerra Mondiale lanciati dai partiti socialisti e comunisti europei contro il conflitto, affinché non vi fosse un proletariato tedesco, uno austriaco, uno russo, uno francese e via dicendo.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, tuttavia, e a maggior ragione negli ultimi vent'anni, sono state le destre ad essersi rese la forza propulsiva delle maggiori costruzioni sovranazionali, dalla NATO alla stessa UE, per quanto le formazioni e l'influenza delle forze progressiste non possa in alcun modo essere dimenticata o ridotta a dimensioni trascurabili. Dopo la caduta del muro di Berlino e la difficoltà accusata da molti partiti di sinistra di ridefinire le proprie ragioni di esistenza è diventato ancora più difficile trovare la necessaria coesione di intenti necessaria alla definizione di una vera strategia politia europea: dal modello socialdemocratico scandinavo, alla terza via di Blair, all'Ulivo prodiano fino ai recenti nazionalismi di sinistra dell'Europa orientale si è piuttosto assistito ad una serie di tentativi disorganici di reinventare il progressismo senza tuttavia arrivare a quella massa critica di consenso necessaria a realizzare l'unione delle sinistre europee sotto una bandiera comune.

D'altro canto, il centrodestra - salvo derive nazionalpopolari mitteleuropee - pare oggi allineato su posizioni piuttosto simili tra loro: i programmi di Cameron, Sarkozy, Merkel, Rajoy e dello stesso Monti presentano infatti troppe affinità perché si possa trattare di una mera coincidenza.
Grazie anche alle posizioni di governo nelle cinque maggiori economie dell'Unione Europea, la destra sta attuando un disegno di integrazione sociale ed economica - naturalmente secondo i propri valori e le proprie priorità - senza precedenti nella storia del continente, dando forse per la prima volta un senso alle parole "politica europea".
In quest'ottica, il forte sostegno politico ed elettorale reciproco tra i principali leader del centrodestra europeo va letto nell'ottica della realizzazione di una politica comune. Lo sponsor diretto di Angela Merkel nella campagna elettorale di Sarkozy, il sostegno verso Monti e Rayoj sono tasselli di un puzzle di politica europea in cui la destra riesce a muoversi a proprio agio ormai da tempo.

L'asimmetria con la sinistra è evidente. Esclusa la breve parentesi dell'Ulivo prodiano e della Terza Via blairiana non si è mai assistito ad una vera unità di intenti tra i principali partiti di centrosinistra e di sinistra dei vari paesi europei, complice appunto la grande diversità ideologica di tali formazioni tra uno stato e l'altro - che impedisce persino, come nel caso del PD, la costruzione di uno schieramento unitario a Strasburgo - che si traduce nell'incapacità di una visione organizzata dell'Europa nel suo complesso e nell'assenza di un progetto collettivo a livello comunitario. Solo negli ultimi tempi sono iniziati effettivi contatti tra i leader dei tre principali partiti del centrosinistra europeo, Gabriel, Hollande e Bersani, per la definizione di strategie comuni. Si tratta tuttavia ancora di resoconti troppo sommari, nebulosi e lontani dalla politica reale, ma soprattutto troppo fragili: una sconfitta di Hollande alle prossime presidenziali francesi ne comporterebbe inevitabilmente l'arresto, in quanto difficilmente Bersani e Gabriel vorrebbero legare la propria immagine ad un candidato sconfitto.

La destra, sposando le posizioni tecnocratiche della BCE, è riuscita da un lato a trovare unità di intenti a livello comunitario, e dall'altro ad ammantare di autirutà la propria proposta politica ed ideologica. La sinistra ha un immenso gap da colmare, che ancora una volta riporta al vuoto filosofico successivo alla caduta del Muro di Berlino. Il compito pare titanico e la lotta impari, eppure le forze progressiste devono essere conscie che è ormai su questo scacchiere che si arriverà a decidere del futuro dell'Europa e di tutti suoi Paesi. Farsi trovare impreparati è inaccettabile.

lunedì 2 aprile 2012

Conto energia, ecco la posta in palio

Il Ministro dell'Ambiente Corrado Clini

Gli ultimi giorni di marzo 2012 sono probabilmente un periodo cruciale per il futuro assetto energetico del Paese, che dopo aver escluso con il referendum 2011 l'utilizzo del nucleare ora deve affrontare a viso aperto la scelta tra un affondo deciso verso le fonti rinnovabili oppure una posizione di ripiego che lasci inalterato l'attuale predominio delle cosiddette fonti tradizionali.

Una premessa, non operativa ma altamente simbolica, di questi giorni intensi si è avuta il 28 marzo, con la presentazione da parte di Legambiente del rapporto Comuni Rinnovabili 2012, un vero e proprio atlante dei Comuni italiani più virtuosi in termini di approvigionamento energetico attraverso l'uso dele fonti rinnovabili: solare termico e fotovoltaico, eolico, idroelettrico, geotermico e biomassa. I risultati del rapporto sono in qualche modo stupefacenti, ed evidenziano come la quasi totalità dei Comuni (7.896 su 8.092) abbia intrapreso la strada delle energie alternative mentre in 23 realtà concentrate prevalentemente tra Trentino Alto Adige e Valle d'Aosta ormai la totalità dell'energia elettrica consumata è prodotta da fonti rinnovabili.

Appena il giorno dopo, 29 marzo, il sito www.qualenergia.it intervistava Giovanni Battista Zorzoli, ex consigliere di amministrazione dell'ENEL tra il 1987 ed il 1993 in quota PCI e attuale presidente della sezione italiana dell'ISES. Zorzoli affronta in pieno i temi legati alla crescita delle rinnovabili e agli impatti che questo fenomeno ha sul mondo energetico del Paese, e non usa mezze misure:
Limitandoci all'aspetto economico, in Italia si è investito troppo in impianti a cicli combinati: investimenti per circa 25 miliardi di euro. Si è così arrivati a una sovracapacità produttiva che rimarrebbe, seppur in misura minore, anche se non ci fossero le rinnovabili. D'altra parte, che le rinnovabili ci sarebbero state si sapeva: c'era stato prima il protocollo di Kyoto e poi il pacchetto europeo clima-energia. Di fatto già l'anno scorso alle rinnovabili cosiddette tradizionali, ossia idroelettrico e geotermia, si sono aggiunti circa 30 TWh di produzione dalle nuove rinnovabili, soprattutto eolico, biomasse e fotovoltaico: una cifra decisamente rilevante, circa il 10% del consumo lordo totale. Questo, oltre tutto in un periodo di domanda contenuta, è andato a incidere sul funzionamento dei cicli combinati, non tanto degli impianti più vecchi - che sono ancora incentivati con il Cip6 e come le rinnovabili hanno priorità di accesso alla rete – quanto su quella fetta dei più nuovi in cui si è investito di recente. Questi per ripagarsi dovrebbero funzionare circa 4-5mila ore l'anno, invece ne stanno funzionando, quando va bene, 3mila. Il ridotto uso dei cicli combinati si traduce anche in miliardi di metri cubi di gas in meno, con un innegabile vantaggio in termini ambientali e di bilancia dei pagamenti, ma con un danno economico per chi vende gas.
Se si vuole tagliare sulle rinnovabili elettriche è perché l'assetto elettrico immaginato in assenza delle rinnovabili sta avendo dei problemi: non solo per la questione dei cicli combinati che funzionano a scartamento ridotto, ma anche per altre ragioni, come la necessità di adeguare la rete elettrica. Si sta imponendo un cambiamento di paradigma che sposta interessi e investimenti da un settore all'altro, come in ogni cambiamento di questa portata, poco o tanto, qualcuno vince e qualcuno perde. C'è evidentemente una grossa pressione per contenere questo rischio da parte di quelli che ne sarebbero penalizzati. Anche le rinnovabili termiche danno fastidio: non intervengono sulla rete elettrica, però anche loro fanno risparmiare gas.
Infine, il 30 marzo, arriva ufficialmente l'atteso comunicato dell'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas, che sancisce pesanti aumenti a partire dal 1 aprile sule bollette di gas (+1,8%) ed elettricità (+5,8%) e per bocca del suo presidente Guido Bortoni (ex ENEL, Bonneville Power Administration e EdF) punta proprio il dito contro l'attuale sistema di incentivazione delle fonti rinnovabili:
Come abbiamo già espresso in numerose Segnalazioni a Parlamento e Governo: efficienza energetica e fonti rinnovabili non sono in discussione. Occorre quindi creare le condizioni per reinserire la programmazione degli incentivi in un percorso di coerenza generale a tutela sia dei consumatori che dei soggetti attivi nella green economy. Bisogna tenere conto che alcuni obiettivi previsti dalla programmazione degli incentivi1 sono stati raggiunti già quest'anno, quando l'insieme degli incentivi alle rinnovabili/assimilate supererà i 10 miliardi di euro2, con una spesa diretta di oltre 70 euro a famiglia, più i costi indiretti indotti nel sistema elettrico e nel mercato. Infatti, nell'aumento del 5,8% delle bollette elettriche l'effetto indiretto delle rinnovabili intermittenti vale circa il 40%.
La concomitanza di una serie di fattori, esogeni ed endogeni, relativi al mondo dell'energia ha quindi creato una miscela esplosiva e potenzialmente decisivo per il futuro energetico del Paese. L'energia costa sempre di più, ed i costi vengono naturalmente scaricati sulle bollette dei consumatori; il Governo ha quindi deciso di intervenire per tentare di alleggerire il costo sui cittadini razionalizzando in qualche modo le voci di spesa che compongono la bolletta, ed è proprio su questo tema, sull'individuazione di quelli che possono essere considerati costi inutili, che si gioca la vera partita che determinerà l'assetto energetico italiano almeno per il prossimo ventennio.
Dire che il costo dell'energia è in aumento è un'affermazione generica, che, se non sufficientemente approfondita, rischia di dare il via a risposte grossolane e imprecise, risposte che considerata la posta in palio l'Italia non può permettersi. Se l'energia infatti costa generalmente sempre di più non significa che questo valga per ogni tipo di energia, e soprattutto tipologie differenti di risorse energetiche comportano tipologie di costi differenti.
Per quanto concerne le fonti fossili, l'Italia è uno Stato fortemente importatore, quindi dipende da approvigionamenti esterni e dalle mille variabili esterne che questi comportano. Solo per citare le macrovariabili più significative, il recente aumento del prezzo del petrolio sulla piazza di Londra così come la relativa debolezza dell'euro rispetto al dollaro sono fattori difficilmente controllabili che tuttavia pesano in maniera significativa sulla nostra bolletta energetica.
L'exploit delle fonti rinnovabili stesso, in ultima analisi, ha però provocato un incremento dei costi in bolletta: come ha giustamente citato Zorzoli, diversi impianti a gas ad oggi funzionano in regime di perdita, non lavorano cioè abbastanza per ripagare i costi di costruzione e funzionamento, ed i proprietari - quindi l'Enel - recuperano queste perdite aggraviando le tariffe. La "colpa" delle rinnovabili, in questo caso, è quindi semplicemente quella di essere considerate fonti prioritarie nell'immissione in rete, ovvero l'energia prodotta da un impianto fotovoltaico verrà consumata prima di quella di un impianto a gas. Lo scopo di questa manovra era rendere le rinnovabili il core della produzione italiana lasciando alle fonti fossili il semplice ruolo di regolatori della stabilità della rete: tuttavia i grandi investimenti in impianti a gas dell'ultimo decennio rischiano ora di sfumare proprio a causa del ruolo sempre più ingombrante delle rinnovabili.
A questo si somma il calo dei consumi dovuto alla crisi; questo aspetto potrebbe essere liquidato in fretta, ma caratteristica invece più di ogni altro le caratteristiche economiche e quindi tecniche della rete energetica del Paese. Secondo le normali leggi del mercato, infatti, ad un diminuire della domanda e a parità di offerta i prezzi dovrebbero diminuire; invece aumentano. Questo fenomeno identifica il mondo energetico italiano come un sistema ancora fondamentalmente monopolista: è solo in regime di monopolio - o al più di cartello - che in presenza di un calo della domanda i fornitori possono permettersi di lasciare inalterati i profitti aumentando il prezzo. La crisi mette a nudo la pochezza delle liberalizzazioni fino a questo momento avviate nel mercato energetico, svelando un mondo ancora ancorato ai retaggi del passato.
Un costo in bolletta invece imputabile direttamente alle fonti rinnovabili è la voce relativa agli adeguamenti della rete. La rapida variabilità di questo tipo di fonti rende infatti particolarmente instabile la rete, rendendo necessario un controllo decisamente più stretto e lo sviluppo di tecnologie di accumulazione necessarie per dosare in maniera corretta gli accessi alla rete in funzione dei reali consumi e non della produzione. Ad oggi vi sono solo alcuni progetti pilota in materia, tra cui si distingue la smart grid targata Fiamm.

L'attuale situazione configura quindi una sorta di snodo; per uscire dal guado vi è chi vorrebbe una netta diminuzione, se non una cancellazione tout court, degli incentivi sulle energie rinnovabili, in aperto contrasto alla Direttiva 2001/77/CE che regola a livello europeo la promozione di energia derivante da fonti rinnovabili. È la posizione dell'ENEL, preannunciata da un attacco nemmeno troppo velato alle fonti rinnovabili lanciato direttamente dal suo presidente Paolo Andrea Colombo in data 30 marzo, come riportano ad esempio La Stampa o La Repubblica:
Lo sviluppo delle rinnovabili, unito alla stagnazione della domanda, sta rendendo difficile la copertura dei costi di produzione degli impianti convenzionali, mettendone a rischio la possibilità di rimanere in esercizio.
Fuor di metafora, le intenzioni dell'ENEL sono chiare: o vengono garantiti i profitti, o gli impianti chiudono, con conseguente crollo di una rete energetica la cui dipendenza dalle fonti fossili è ancora troppo - quantitativamente e qualitativamente - alta. Un ricatto, praticamente.

È innegabile che, malgrado gli straordinari risultati evidenziati anche da Legambiente, vi siano alcune storture nel sistema di incentivazione per le fonti rinnovabili. Ad oggi, infatti, il sistema di incentivazione premia la produzione di energia elettrica da rinnovabili tout court, senza indagare se a livello generale ciò provoca maggiori oneri globali per la rete e senza isolare e colpire le attività speculative. Inoltre non esiste in Italia un vero piano di industriale per le tecnologie legate al mondo rinnovabili, né a livello di ricerca, né in quello industriale; se veramente le fonti alternative saranno la tecnologia del futuro, questo è il momento di incentivare la ricerca e l'industrializzazione, onde non ritrovarci ad essere ancora una volta dei meri importatori dall'estero. Già in passato le uniche società di produzione di pale eoliche in Italia vennero vendute ai danesi di Vestas, sarebbe opportuno ricominciare a produrre e a fare ricerca.

È auspicabile quindi che il sistema degli incentivi sia rimesso in discussione e tarato alle esigenze attuali del bilancio energetico del Paese; questo, tuttavia, è ben diverso dal tagliare indiscriminatamente gli incentivi o peggio ancora dal porre in secondo piano le energie rinnovabili in termini di accesso alla rete.
In questo la guerra all'arma bianca contro le rinnovabili è notevole, e quanto riportato sugli incentivi che pesano in bolletta ne è un esempio lampante: se infatti è corretto attribuire in maniera esclusiva alle rinnovabili le necessità di adeguamento della rete, così non deve essere per i costi delle soppiantate centrali a gas in bolletta. Se l'ENEL non riesce a ricavarne un profitto, non è un obbligo scaricare tale costo in bolletta.
Soprattutto, però, citare i costi delle rinnovabili in bolletta significa fare informazione parziale. Come il Ministro Clini ha ricordato in un'intervista al quotidiano La Repubblica, oggi paghiamo anche i certificati Cip6 sulle centrali termiche, paghiamo lo smantellamento del nucleare, paghiamo abbondantemente tutte le inefficienze delle fonti fossili e soprattutto paghiamo la loro importazione.

La guerra che gli ambientalisti non possono permettersi di perdere, in ultima analisi, è tuttavia la guerra sul disegno della rete elettrica di domani: gli adeguamenti per reggere sempre maggiori quantità di energia prodotta da rinnovabile sono un costo che è giusto e doveroso affrontare, anche al costo di sacrificare qualche incentivo diretto, perché sono la base di quello che sarà il panorama energetico italiano del futuro.
Fermare tutto proprio ora significherebbe condannarci all'irrilevanza energetica ancora per un lunghissimo tempo. Il Ministro Clini sembra averlo capito: ora dovrà giocare bene le proprie carte.
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