mercoledì 29 dicembre 2010

Le Leggi della Robotica e la politica italiana

Lo scrittore di fantascienza Isaac Asimov

DISCLAIMER: nell'articolo che segue sono riportati e commentati passaggi dei racconti EVIDENCE (1946) e THE EVITABLE CONFLICT (1950), di Isaac Asimov

1 - A robot may not injure a human being or, through inaction, allow a human being to come to harm.
2 - A robot must obey any orders given to it by human beings, except where such orders would conflict with the First Law.
3 - A robot must protect its own existence as long as such protection does not conflict with the First or Second Law.

Pochi artifici letterari sono divenuti famosi nel mondo quanto le Tre Leggi della Robotica ideate da Isaac Asimov, celeberrimo quanto prolifico scrittore di fantascienza - ma sarebbe riduttivo limitare la sua attività di romanziere a tale ambito - di origine russa trapiantato negli Stati Uniti.

Le Leggi della Robotica, nei libri di Asimov, sono motore e spartiacque nelle capacità decisionali dei robot, esseri artificiali costruiti dall'uomo per servizio e compagnia.
Molti dei racconti più famosi di Asimov si basano sul rapporto e l'influenza reciproca tra le Tre Leggi, oppure sulle loro applicazioni più inaspettate. Esplorando i confini del campo di azione delle Leggi Asimov arriva a sondare le contraddizioni intrinseche nella stessa moralità umana, poiché, come cita la robopsicologa Susan Calvin nel racconto EVIDENCE,

Per esprimermi semplicemente dirò che se Byerley segue tutte le Leggi della Robotica può essere un robot, ma può essere anche soltanto un uomo esemplare.

Le Tre Leggi della Robotica sono in effetti modellate sulla morale e sull'etica così come concepite dalla società occidentale del XX secolo. Sono metro di giudizio e azione per gli individui e lo sono per le agglomerazioni di individui: comunità, squadre sportive, club... partiti politici.
Proprio analizzando la situazione italiana alla luce delle Tre Leggi della Robotica è possibile in effetti fornire una spiegazione convincente della progressiva degenerazione dell'offerta politica nel corso della II Repubblica, con la sua riduzione a slogan da stadio e alla lotta - metaforicamente, per fortuna - armata tra fazioni.

Il tema, in effetti, era già stato toccato dallo stesso Asimov nel racconto THE EVITABLE CONFLICT, del 1950. Pubblicato per la prima volta sulla rivista Astounding Science Fiction e successivamente nelle antologie I, ROBOT (1950), THE COMPLETE ROBOT (1982) e ROBOT VISIONS (1990), in questo racconto il mondo è dominato dalle Macchine, evolutissimi robot specializzati nell'ottimizzazione della gestione dell'economia mondiale, dalla produzione agricola all'estrazione di materie prime agli scambi commerciali.
La presenza di alcuni errori di minor conto nell'ordinaria amministrazione del pianeta convince il Coordinatore Mondiale Byerley a richiedere una consulenza alla robopsicologa Susan Calvin, per capire se possano esservi problemi nelle Macchine tali da mettere a repentaglio, vista la responsabilità demandata ai robot, il futuro stesso dell'umanità.
I viaggi di Byerley e i pregnanti ragionamenti della Calvin porteranno infine i due a comprendere come le Macchine stiano essenzialmente interpretando la Prima Legge in senso esteso all'intera umanità - permettendo quindi che il singolo essere umano possa ricevere danno se questo serve a migliorare le prospettive dell'intero genere umano - e che i supposti malfunzionamenti altro non erano che azioni operate dalle Macchine per proteggere sé stesse.
In questo particolare racconto di Asimov si assiste quindi al collasso della Terza Legge all'interno della Prima. Poiché le Macchine sanno cosa sia il meglio per l'umanità, e poiché le Macchine sono gli unici esseri senzienti a poter guidare l'umanità verso tale futuro, allora la sopravvivenza stessa delle Macchine diventa parte imprescindibile della definizione di cosa è bene per l'uomo.

Il legame con la politica italiana di questo primo scorcio di millennio, pur non evidentissimo, è forte e innegabile.
Ogni parte politica si considera da noi l'ultimo baluardo contro la catastrofe, da un lato la deriva populista e autoritaria di Berlusconi per chi non ama il Cavaliere, dall'altro la distruzione dell'iniziativa privata e la "sovietizzazione" dell'economia da parte di chi non ama la sinistra.
Ogni fazione si vede quindi come unica ancora di salvezza per il Paese, e proprio in virtù del meccanismo descritto poc'anzi inizia ad accrescere l'importanza, nel proprio ambito d'azione, della propria sopravvivenza e del proprio mantenimento in essere.
L'esercizio del potere diventa in ultima istanza finalizzato alla pura conservazione dello stesso, o quantomeno ad evitarne la perdita. La politica dei sondaggi, i grandi annunci, le promesse tirate fuori nelle occasioni-simbolo, ma anche le alleanze meramente elettorali vuote di contenuti, i legami con gruppi di potere di dubbia statura ma portatori di voti: la politica italiana è zeppa di esempi che vedono gli eletti di turno, nazionali e locali, più alle prese con la necessità di non cedere il potere all'avversario che con l'effettiva opera di governo.
Perseguire il bene del cittadino e acquisire/mantenere il potere a scapito dell'avversario - cosa che in politica è spesso sinonimo di sopravvivenza come partito - diventano infine due obiettivi coincidenti.

La politica italiana, calata nell'universo fantascientifico del racconto, è lo scontro tra due diverse Macchine, ciascuna delle quali vede la strada proposta dall'altra come negativa, e considera il proprio accesso al potere preferibile all'accesso dell'altra Macchina indipendentemente dal conseguimento degli obiettivi preposti.
Questa è la motivazione di fondo della partigianeria a-logica che ha contraddistinto la storia recente del Paese e della povertà dell'offerta politica presentata ai cittadini: per muovere le masse al voto i partiti si sono progressivamente adagiati sullo sfruttamento della paura del mandare al potere l'avversario piuttosto che nel rinnovare e affinare le frecce al proprio arco.

Cosa contraddistingue quindi le istituzioni umane dalle Macchine di Asimov? Naturalmente la fallibilità.
Le Macchine, grazie al loro cervello positronico - e naturalmente alla fantasia e alla volontà dell'autore - sanno effettivamente cosa sia meglio per l'uomo. I politici no. Offrono proposte, idee, sogni, ma sono tutte cose immanenti, fallibili e sottoposte al giudizio della gente e alla prova empirica dei fatti.
Per questa ragione genera amarezza vedere i partiti politici autoconservarsi come se da ciò dipendesse la salvezza del Paese senza che in realtà tale necessità sia effettivamente comprovata.
E per questa ragione bisogna smascherare la tendenza all'autoconservazione per quello che è: non essendo i partiti le Macchine asimoviane, non possono limitarsi alla minaccia della vittoria dell'avversario per propagandare la bontà della propria proposta. L'autoconservazione serve solo a nascondere la povertà dell'offerta politica, e come tale deve essere strenuamente combattuta.

Già sessanta anni fa il genio di Isaac Asimov aveva messo in luce il pericolo del potere che identifica il bene dei governati con la propria permanenza al governo (pericolo che si tramuta in sogno solo nel caso delle Macchine, realmente onniscienti e dedite per natura al bene dell'uomo).
Oggi, in Italia, stiamo assaporando i frutti amari di questo triste scenario.

lunedì 27 dicembre 2010

Verso le amministrative: Torino

La Mole Antonelliana

Tra le grandi città in cui nel 2011 si terranno le elezioni amministrative Torino è probabilmente quella in cui la macchina elettorale si sta muovendo con maggiore ritardo.

Dopo il forfait del Rettore del Politecnico, Profumo, si è scatenata una vera girandola di nomi nel centrosinistra che solo in questi giorni si sta focalizzando intorno ai nomi di Fassino, Placido, Gariglio e Ardito, in attesa di Tricarico e di un nome ancora ignoto in quota SEL.
Il centrodestra pare oscillare tra Coppola e Coppa, ma in questo momento la sua strategia è estremamente attendista, quasi fosse anch'esso in attesa delle primarie del centrosinistra fissate al momento per il 13 febbraio.

Questa situazione permette di tralasciare in questa prima analisi l'eventuale effetto candidato, per concentrarsi sulla forza delle coalizioni sotto la Mole.
A questo link si trova un excel contenente i risultati delle elezioni regionali 2005, politiche 2006, comunali 2006, politiche 2008, provinciali 2009 e regionali 2010 così come riportate dal servizio elettorale1 del Comune di Torino: tutte le tornate elettorali degli ultimi sei anni ad eccezioni delle europee 2009, proprio per prendere in considerazione solo le elezioni in cui si puntava all'elezione di una carica monocratica. La forte connotazione personalistica data alle elezioni politiche nella II Repubblica permette di considerarle, da questo punto di vista, paragonabili alle elezioni amministrative.

Confronto centrodestra-centrosinistra
nel Comune di Torino (2005 - 2010)

Il quadro che emerge è abbastanza chiaro: Torino è una città di centrosinistra. Nelle tornate elettorali prese in considerazione il centrosinistra ha oscillato tra il 46,14% ed il 63,62% (media 54,95%, deviazione standard 6,91%), mentre il centrodestra ha ottenuto una forbice che spazia tra il 32,16% ed il 42,47% (media 38,37%, deviazione standard 3,45%).

È bene evidenziare il fatto che per consultazioni elettorali differenti i concetti di centrodestra e centrosinistra sono a loro volta differenti: la geometria e la composizione delle coalizioni è variata più volte nel corso degli anni, e con essa la presenza o meno delle cosiddette terze forze.

Facendo i dati riferimento ai risultati ottenuti dalle liste e non dai candidati, la bassa deviazione standard che emerge osservando i dati del centrodestra permette di trarre una prima importante conclusione: i risultati di tale coalizione restano grosso modo sempre gli stessi indipendentemente dalla competizione elettorale. Questo significa che il numero di votanti della coalizione di centrodestra, a Torino, è fortemente correlato con il numero dei votanti in generale, e l'affluenza non ha pertanto grossi impatti su questa parte politica.
Al contrario, è evidente che il fenomeno del non-voto - così come il diverso richiamo alle urne che suscitano competizioni di tipo differente - provoca di volta in volta delle oscillazioni piuttosto sensibili sulla coalizione di centrosinistra, ribadendo il cronico problema che attanaglia questa parte politica da diversi anni a questa parte, ovvero la capacità o meno di portare alle urne i propri simpatizzanti.

Se si osserva nel dettaglio il rapporto tra i partiti della coalizione, diventa interessante misurare da un lato l'andamento relativo tra PdL e Lega, e dall'altro quello tra PD, IdV e SEL.

Rapporto PDL-Lega
nel Comune di Torino (2005 - 2010)

Rapporto PD-IdV-SEL
nel Comune di Torino (2005 - 2010)

In entrambi gli schieramenti principali si assiste, dopo il 2008, ad un repentino e violento calo percentuale dei partiti principali (PdL e PD) in favore delle forze di minoranza (Lega da una parte e IdV e SEL dall'altra).
La causa dietro a questo fenomeno è evidente: se si osserva l'andamento dell'IdV si nota una violenta cesura tra il 2006 ed il 2008 con un passaggio da meno di 10.000 voti ad oltre 30.000 preferenze; tra il 2008 ed il 2010, tuttavia, le simpatie per il partito di Di Pietro si sono mantenute su un livello pressoché stabile. Un discorso analogo, anche in termini di cifre, può essere fatto per la Lega Nord, mentre Sinistra Ecologia e Libertà presenta una serie storica troppo breve per essere presa in esame in questo tipo di analisi.
La stabilità di Lega e IdV, a fronte di un accrescimento del loro peso a livello di coalizione, implica che esiste una diaspora di consensi nel PD e nel PdL che, se da un lato si compensa a livello di rapporti di forza tra le coalizioni, dall'altro muta in maniera molto evidente la composizione delle coalizioni stesse.
Ancora più importante, questa analisi permette di capire come il principale nemico di PD e PdL sia l'astensionismo. Il cannibalismo che Lega e IdV hanno esercitato all'interno delle rispettive coalizioni non è legato ad un vero e proprio travaso di consensi, ma alla capacità di mantenere - senza accrescere - il proprio elettorato mentre quello dei partiti "maggiori" calava o si disperdeva su altre formazioni.
Naturalmente non bisogna dimenticare un certo margine di errore nei risultati ottenuti, dovuto alla presenza o all'assenza di liste civiche all'interno delle coalizioni, liste che storicamente "pescano" in maniera più evidente nei partiti di maggiori dimensioni. La tendenza è tuttavia innegabile.

Risultati ottenuti dal centrodestra
nel Comune di Torino (2005 - 2010)
Cliccare per vedere l'animazione

Risultati ottenuti dal centrosinistra
nel Comune di Torino (2005 - 2010)
Cliccare per vedere l'animazione

Ripartizione circoscrizioni
nel Comune di Torino (2005 - 2010)
Cliccare per vedere l'animazione

Esaminando lo scenario cittadino dal punto di vista geografico, si vede come il centrodestra sia in grado di prevalere unicamente nella circoscrizione più centrale di Torino (Circoscrizione I: Centro - Crocetta) e di essere vicino al pareggio nella Circoscrizione VIII (San Salvario - Borgo Po - Cavoretto). In tutto il resto della città il centrosinistra prevale senza eccessive difficoltà, specie nelle sue roccaforti delle circoscrizioni II, V e X.

Peso delle circoscrizioni
nel Comune di Torino (2005-2010)

Prendendo in considerazione, infine, il peso relativo delle circoscrizioni, si colgono alcuni accenni di trend - salita della VIII e calo della VI su tutti - in un'ottica tuttavia di sostanziale stazionarietà, sintomo che le differenze di affluenza legate alle differenti competizioni elettorali e alle evoluzioni del fenomeno dell'astensionismo colpiscono in maniera abbastanza uniforme a livello cittadino, quindi in maniera abbastanza scorrelata dalla composizione elettorale del campione formato dagli abitanti di una data circoscrizione.
Si arriva quindi ad un'apparente contraddizione: la variabilità del voto incide soprattutto a sinistra, eppure il peso delle circoscrizioni resta invariato, suggerendo una partecipazione proporzionale malgrado i vari quartieri di Torino presentino risultati anche molto diversi tra loro. Non si notano in sostanza cali significativi di rappresentanza delle circoscrizioni più di sinistra in concomitanza con le elezioni che hanno riservato gli esiti peggiori per la coalizione progressista.
In realtà questi due dati consentono di inquadrare meglio il fenomeno dell'astensionismo relativamente all'area torinese: non vi è un problema - o almeno non è il problema principale - a livello della base storica del partito, ma al contrario vi è molta delusione nel cosiddetto ceto medio progressista, la gente di sinistra non tanto per rivalsa sociale o necessità storica, ma per l'ideale di un mondo migliore, più ecologico, più equo, più meritocratico.
Una fascia di elettorato non collocabile geograficamente ma al tempo stesso sufficientemente numerosa da determinare pesantemente l'esito della prossima competizione elettorale.



1: il sito del Comune di Torino entra a far parte delle fonti del blog

giovedì 23 dicembre 2010

Legge elettorale: novanta giorni dopo

Evoluzioni tra novembre e dicembre
delle proposte di legge in materia elettorale

Riassunto delle puntate precedenti:
22 settembre 2010: viene divulgata la notizia che la proposta di legge elettorale di iniziativa popolare nota come "Parlamento Pulito", che prevede tra le altre cose l'ineleggibilità per i condannati di qualsiasi grado, il limite di mandati per i parlamentari e la reintroduzione delle preferenze, avrebbe iniziato il suo iter legislativo in Parlamento.
21 ottobre 2010: dopo un mese, l'unico passo avanti fatto è stata la raccolta di tutte le proposte di legge in materia elettorale allo scopo di approntare una discussione comune.
22 novembre 2010: passa un altro mese, e gli unici lavori della Commissione Affari Costituzionali in materia riguardano l'inserimento di due nuovi ddl alla lista delle proposte di legge in materia elettorale.

Quali sono gli aggiornamenti?

Zero. Nulla.
Come si vede sulla pagina dei lavori in Commissione dell'Atto n° 3 ("Parlamento Pulito") non vi sono aggiornamenti relativi a date successive al 17 novembre.
I lavori sul tema si sono completamente fermati.

Per comprendere questo stop così totale non è sufficiente rifarsi alla nota avversione della maggioranza per una legge elettorale differente, che rimetta magari in discussione il premio di maggioranza o reintroduca le preferenze.
La discussione sulla legge elettorale è infatti legata a doppio filo con le sorti del Governo, stabilendo essa infatti le regole del gioco con cui si ritornerà alle urne.

L'idea di una legge elettorale scritta per fornire il corretto compromesso tra governabilità e rappresentatività è, nell'Italia di oggi, mera utopia.
La stragrande maggioranza dei partiti, nonché dei cittadini più attenti alle vicende politiche, auspica una legge elettorale in grado di aiutare a vincere la propria parte - o quanto meno, in grado di non far vincere la parte avversa.
Si voterà in primavera? Quali saranno gli schieramenti in campo? Cosa diranno i sondaggi?
Queste sono le vere domande che diranno se - e in che modo - verrà cambiata la legge elettorale.

Le prime mosse sono state fatte: se da un lato i partiti di opposizione puntano a riforme sostanziali della legge elettorale, riforme che spaziano dalla reintroduzione delle preferenze al ritorno al "Mattarellum" all'istituzione del maggioritario a doppio turno, la maggioranza ha depositato in Senato proposte di legge molto più mirate come l'Atto 1807, che limita la dimensione massima delle coalizioni in termini di numero di partiti, o l'Atto 2356, che assegna un premio di maggioranza nazionale al Senato.
Appare evidente l'uso politico di queste proposte: se l'opposizione volesse tentare di costruire una coalizione con più di due partiti, il primo atto servirebbe a impedirglielo; se Berlusconi non fosse sicuro delle sua vittoria al Senato per via dei premi di maggioranza regionali, il secondo atto lo metterebbe al sicuro.

Questo blocco dei lavori è quindi presumibilmente dovuto all'estrema incertezza che ha permeato - e che ancora in parte permea - il panorama politico tra novembre e dicembre: non appena divenisse probabile l'eventualità di elezioni anticipate il tema ritornerebbe di stretta attualità.

E "Parlamento Pulito"? E la volontà popolare? E la possibilità di non far arrivare in Parlamento i condannati? E le preferenze?

Città Democratica continuerà a seguire l'iter legislativo degli atti di materia elettorale, nella speranza che i giochi di palazzo non riescano a cancellare completamente quanto l'iniziativa popolare ha proposto.

domenica 19 dicembre 2010

In morte di Padoa Schioppa

Tommaso Padoa Schioppa

La polemica antitasse è irresponsabile. Dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima; è un modo civilissimo di contribuire insieme al pagamento di beni indispensabili come la sicurezza, come la tutela dell'ambiente, l'insegnamento, la salute, le stesse pensioni, in parte.

Vorrei salutare così, con le parole pronunciate nella puntata del 7 ottobre 2007 nel corso del programma In mezz'ora di Lucia Annunziata, Tommaso Padoa Schioppa, Ministro dell'Economia e delle Finanze dal 2006 al 2008 durante il Governo Prodi II.

Vorrei salutare l'uomo, l'economista, il servitore dello Stato, e vorrei salutare con lui quella concezione di Stato solidale ormai così rara da trovare tra la popolazione dello Stivale.

Vorrei che queste parole, che tante polemiche spesso pretenziose hanno suscitato ai tempi in cui era Ministro, fossero ora prese per il loro reale significato, per il doppio invito che rivolgono a politici e cittadini: che i primi usino veramente le tasse pagate dagli Italiani per gli scopi sopra elencati, e che i secondi si rendano conto che chi non contribuisce al benessere collettivo, per avvantaggiarsi sul piano personale o per semplice menefreghismo, non è una persona più furba, ma solo un vile approfittatore, che con il suo gesto pugnala alle spalle i cittadini onesti e distrugge quella rete di fiducia così necessaria per renderci uno Stato e non semplcemente un insieme di persone che vivono nello stesso posto.
Spero che in un futuro più o meno lontano gli Italiani sappiano arrivare a quella maturità che oggi contraddistingue solo i civili Paesi del Nord Europa e si rendano conto, come cantavano i Pink Floyd per un tema al tempo stesso vicino e lontano da questo, che together we stand, divided we fall.

mercoledì 15 dicembre 2010

The day after

L'esito della votazione di sfiducia alla Camera dei Deputati (14/12/2010)

Berlusconi ha intascato ancora una volta la fiducia in entrambi i rami del Parlamento.
Al Senato della Repubblica è finita con 162 voti favorevoli al Governo, 135 contrari, 11 astenuti e 12 assenti alla votazione. La soglia richiesta per avere la maggioranza era fissata a 155, la maggioranza assoluta dell'Aula è 161. In questo ramo del Parlamento Berlusconi gode quindi di una maggioranza abbastanza stabile, relativamente al sicuro da inconvenienti.
Discorso diverso invece alla Camera dei Deputati, dove si sono registrati 314 voti a favore del Governo, 311 contrari, 2 astensioni e 2 assenze. La maggioranza necessaria per superare la votazione era 313 - in quanto, contrariamente al Senato, gli astenuti non contano a formare il quorum - mentre la maggioranza assoluta dell'Aula è fissata a quota 315. Alla Camera, pertanto, la maggioranza di centrodestra che sostiene il Governo si ritrova ad avere un vantaggio decisamente risicato, al punto da rendere ogni votazione un'incognita.

Gli allarmi sulla tenuta dell'esecutivo si rafforzano se si tiene conto del fatto che i membri del Governo (il cui elenco è reperibile su www.openpolis.it) sono così ripartiti: non risultano essere parlamentari Fazio, Belsito, Galan, Garnero Santanché, Giachino, Letta, Pizza, Scotti e Viale; vi sono però poi 33 deputati (Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Carfagna, Casero, Cossiga, Craxi, Crimi, Crosetto, Fitto, Frattini, Gelmini, Giorgetti, Giro, La Russa, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Micciché, Molgora, Prestigiacomo, Ravetto, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Tremonti, Vegas, Vito) e 14 senatori (Alberti Casellati, Augello, Bondi, Calderoli, Caliendo, Castelli, Davico, Giovanardi, Mantica, Mantovani, Matteoli, Palma, Sacconi, Viceconte).
In entrambi i rami del Parlamento le difficoltà che i membri del Governo spesso riscontrano nel partecipare alle sedute di voto rischia di mandare sistematicamente l'esecutivo in minoranza.

Gli scenari che si aprono per il Governo, quindi, appaiono piuttosto complessi malgrado la vittoria numerica ottenuta da Berlusconi in Parlamento.

La prima opzione a disposizione dell'esecutivo è naturalmente il voto anticipato.
Berlusconi dovrebbe in qualche modo - probabilmente tramite la Lega Nord - autosfiduciarsi, e, forte della vittoria numerica alle camere, ridurre a zero le possibilità della formazione di una maggioranza alternativa.
Berlusconi potrebbe poi contare sul vantaggio che ancora gode nei sondaggi, e magari incrementarlo grazie alle proprie disponibilità mediatiche, per vincere le seguenti elezioni nella primavera del 2011 e avere a disposizione una nuova maggioranza, ancora più fedele dell'attuale, del tutto prima di personalità di spicco e vero appeal politico.
I pro di questa opzione, dal punto di vista di Berlusconi, sono la possibilità di sfruttare per l'ultima volta i dati del 2001 per l'assegnazione dei seggi e quella di poter mettere un'opzione sul successivo governo grazie alla probabile vittoria alla Camera dei Deputati.
A sconsigliare questa opzione sono invece le considerazioni sulla possibilità di formare una maggioranza alternativa e la situazione al Senato. Le dichiarazioni di alcuni tra i cosidetti salvatori del Governo indicavano infatti come dirimente la necessità di non portare il Paese a nuove elezioni. Una scusa per giustificare il cambio di casacca, oppure un segnale al premier per porre un importante paletto al sostegno fornito all'esecutivo? Nel secondo caso questi parlamentari potrebbero essere presi in considerazione nel caso si rendesse necessario trovare maggioranze alternative in Parlamento.
In seconda battuta le elezioni al Senato, con l'attuale legge elettorale, rischiano di non assegnare a nessuna coalizione la maggioranza assoluta dei seggi, con la conseguenza di consegnare il Paese ad uno sterile braccio di ferro tra il vincitore alla Camera - preumibilmente Berlusconi - e le altre forze politiche determinanti al Senato.

L'alternativa più semplice a questo scenario è un allargamento formale della maggioranza, ridisegnando l'azione di governo in modo da venire incontro alle esigenze di FLI e/o dell'UdC. In questo modo Berlusconi potrebbe tranquillamente tornare ad oltre cento parlamentari di vantaggio sull'opposizione di centrosinistra, ma l'opzione risulta in fin dei conti controproducente per la maggior parte delle fazioni in causa.
L'ingresso dell'UdC in coalizione significa rivedere il federalismo, e la Lega mal sopporta interferenze in tal senso. Al tempo stesso, per Fini e Casini sarebbe sicuramente un pessimo segno politico tornare - da sconfitti - sotto l'ombrello del berlusconismo, dopo aver tentato con più o meno forza di smarcarsi da esso.

Proprio per questa ragione non è da scartare l'opzione della cooptazione di singoli parlamentari, ovvero di singoli cambi di casacca dall'opposizione alla maggioranza per "senso di responsabilità" o, come insinuato e velatamente confermato da molte fonti, in cambio di cariche o denaro.
Berlusconi ha già dimostrato più volte, compresa la votazione del 14 dicembre, di avere molte frecce al suo arco, e di essere in grado di perseguire questo obiettivo con abilità e determinazione. Fini, Casini, ma anche Di Pietro e Bersani dovranno essere in grado di esercitare tutta la propria leadership per riuscire a non perdere pezzi per strada.
Resta tuttavia l'incognita sul numero di parlamentari ancora disposti a fare un tale passaggio: con il voto di fiducia del 14 si sono esauriti tutti i possibili salti di coalizione oppure Berlusconi ha ancora qualche riserve a cui attingere?
L'opzione degli ingressi singoli in maggioranza rischia quindi non dare risultati se non quello di chiudere definitivamente alle forze centriste, costringendo il Governo ad una vita traballante molto simile a quella condotta dalla compagine prodiana.
E si ritornerebbe quindi alle elezioni anticipate, con i pro e i contro che queste comportano.

Oggi, metaforicamente parlando, è stato segnato un gol, ma la partita che vede come premio l'assetto democratico e costituzionale del Paese è ben lungi dall'essere decisa.

lunedì 13 dicembre 2010

Censimento ed elezioni

Logo del Censimento 2011

Con gli occhi puntati sul voto di fiducia che domani 14 divembre 2010 sancirà o meno la fine formale del Governo Berlusconi IV, i principali schieramenti politici stanno più o meno velatamente affilando le armi preparandosi ad una tornata elettorale anticipata alla primavera del 2011.
Se la mozione di sfiducia alla Camera non passa per uno-due voti, magari approfittando delle assenze delle tre deputate (Bongiorno e Cosenza di FLI e Mogherini del PD) in dolce attesa e senza che il fronte della fiducia superi quindi la fatidica soglia dei 315 voti, allora è probabile che alla prima occasione utile la Lega Nord staccherà la spina all'esecutivo per trascinare il Paese nella quarta elezione di rilevanza nazionale in quattro anni.

La fine del bipolarismo, sancita dal fronte comune che FLI e UdC, assieme ad alcune formazioni minori come ApI e MpA, stanno realizzando in opposizione alla sinistra e al centrodestra berlusconiano, rende molto complessi i calcoli necessari a capire quale coalizione avrà alla fine la forza di imporsi in una competizione elettorale.
Questo è particolarmente vero al Senato, dove il premio di maggioranza su base regionale obbliga a seguire ogni collegio come un'entità distinta. Le compensazioni che inevitabilmente si creano con tale sistema elettorale rendono di fatto abbastanza probabile il caso in cui nessuna forza in campo riesca ad ottenere la maggioranza assoluta dei seggi.

Esiste tuttavia un fattore, spesso trascurato ma di importanza piuttosto rilevante, che rende il 2011 un anno focale nel caso si voglia andare ad elezioni anticipate. L'anno prossimo infatti avrà luogo, nel mese di ottobre, il XV censimento generale della popolazione italiana.
Questo evento, oltre ad essere idealisticamente molto significativo in relazione al centocinquantenario della nascita dell'Italia, ha risvolti molto interessanti in chiave elettorale.
Ecco infatti quanto prescrive infatti la Legge 270/2005, il "Porcellum", all'articolo 4 comma 1:

1. L'articolo 1 del testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione del Senato della Repubblica, di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, e successive modificazioni, di seguito denominato "decreto legislativo n. 533 del 1993", è sostituito dal seguente:
"Art. 1. - 1. Il Senato della Repubblica e' eletto su base regionale. Salvo i seggi assegnati alla circoscrizione Estero, i seggi sono ripartiti tra le regioni a norma dell'articolo 57 della Costituzione sulla base dei risultati dell'ultimo censimento generale della popolazione, riportati dalla piu' recente pubblicazione ufficiale dell'Istituto nazionale di statistica, con decreto del Presidente della Repubblica, da emanare, su proposta del Ministro dell'interno, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, contemporaneamente al decreto di convocazione dei comizi.
2. L'assegnazione dei seggi tra le liste concorrenti è effettuata in ragione proporzionale, con l'eventuale attribuzione del premio di coalizione regionale.
3. La regione Valle d'Aosta è costituita in unico collegio uninominale.
4. La regione Trentino-Alto Adige è costituita in sei collegi uninominali definiti ai sensi della legge 30 dicembre 1991, n. 422. La restante quota di seggi spettanti alla regione è attribuita con metodo del recupero proporzionale".

In sostanza, dal 2012, per effetto del censimento, verrà modificato il numero di senatori a cui ciascuna regione avrà diritto.
Escluse Valle d'Aosta e Molise, che hanno diritto rispettivamente ad uno e due senatori, per tutte le altre regioni italiane il numero minimo di senatori da mandare in Parlamento è sette. Trentino Alto-Adige, Friuli Venezia-Giulia, Umbria e Basilicata, le regioni meno popolose e per le quali il normale conteggio restituirebbe un valore inferiore, hanno quindi d'ufficio sette senatori.

Il metodo di calcolo per le altre regioni è il seguente.
Si prende la popolazione italiana residente nelle regioni non elencate in precedenza, e lo si divide per 278, ovvero 315 (numero totale di senatori eletti) - 6 (senatori appartenenti alla circoscrizione estero) - 31 (senatori relativi alle regioni elencate in precedenza).
Il valore che si ottiene, approssimato all'intero più vicino, è il coefficiente di popolazione, il numero di cittadini necessari per avere diritto ad un senatore.
Si esegue poi la divisione tra la popolazione regionale ed il coefficiente trovato: il quoziente del rapporto indica il numero di senatori sicuramente assegnati alla regione, ed i resti vengono messi da parte.
Poiché al termine del calcolo la somma dei quozienti lascia spazio per altri sette senatori, i sette resti più alti contribuiscono ad assegnare un seggio supplementare alle regioni cui si riferiscono.

I dati relativi alla popolazione italiana al 31/12/2009 diventano quindi molto significativi per capire in che modo la struttura del Senato potrà variare a seguito del censimento 2011.

Seggi senatoriali assegnati alle regioni italiane
utilizzando i dati della popolazione al 31/12/2009

Come si vede, vi sono alcune modifiche sostanziali: la Lombardia guadagna ben due seggi, l'Emilia ed il Lazio uno, mentre Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna risultano in perdita di una unità.

Cosa comporterebbero tali trasferimenti?
In Lombardia il 55% dei seggi, spettanti alla coalizione vincente, passa da 26 a 27. In questa regione pertanto si assegna un seggio in più alla coalizione vincente ed uno in più a quella perdente.
In Emilia ed in Lazio, molto semplicemente, il seggio supplementare entra a far parte del premio di maggioranza: i quattro seggi distribuiti nelle regioni dove si verifica un incremento vanno quindi in tre casi su quattro alla coalizione di maggioranza (Lombardia, Emilia e Lazio), ed in uno a quella di minoranza (ancora Lombardia).

In Campania la discesa da 30 a 29 senatori abbassa la soglia del premio di maggioranza di una unità, e lo stesso avviene in Puglia e Sicilia, mentre in Sardegna il premio rimarrebbe invariato. Perderebbero quindi tre senatori le coalizioni di maggioranza (Campagnia, Puglia, Sicilia) ed uno quelle di minoranza (Sardegna).

Prendendo i dati relativi al 2008 si avrebbe il seguente risultato:
  • Lombardia: +1 CDX e +1 CSX
  • Emilia Romagna: +1 CSX
  • Lazio: +1 CDX
  • Campania: -1 CDX
  • Puglia: -1 CDX
  • Sicilia: -1 CDX
  • Sardegna: -1 CSX
Già con uno scenario del genere si avrebbe un passaggio netto dal centrodestra al centrosinistra.

Poco? Se si cala il tutto in un'ottica tripolare, considerando come base di partenza il recente studio condotto da Termometro Politico, il quadro diventa:
  • Lombardia: +1 CDX e +1 CSX
  • Emilia Romagna: +1 CSX
  • Lazio: +1 CSX
  • Campania: -1 CSX*
  • Puglia: -1 CSX*
  • Sicilia: -1 CDX
  • Sardegna: -1 CDX
Le regioni evidenziate con l'asterisco sono segnalate vincenti per il centrosinistra con un margine minimo.
Come nel 2008, quindi, si avrebbe un passaggio netto di un senatore verso il centrosinistra, ma se potenzialmente il centrodestra si dovesse imporre in Campania e in Puglia l'effetto censimento si ingigantirebbe fino a mostrare un bilancio di tre senatori verso il centrosinistra.

Abbastanza da modificare gli attuali equilibri politici, e sicuramente un campanello d'allarme per il centrodestra: se non si vota nel 2011 il censimento nazionale creerà, a partire dall'anno successivo, uno scenario politico meno favorevole dell'attuale alla compagine berlusconiana, penalizzando le regioni in cui tale formazione prevale e favorendo quelle invece più vicine al centrosinistra.

venerdì 10 dicembre 2010

Verso le amministrative 2011

Verso le amministrative 2011

Malgrado la tornata elettorale del 2011 - salvo caduta del governo e ritorno alle urne in primavera - non sia paragonabile per importanza a quelle succedutesi nei tre anni precedenti, alcune tra le più importanti metropoli italiane vedranno il rinnovo del sindaco e del consiglio comunale.
Tra queste spiccano naturalmente Milano, Napoli, Torino e Bologna, rispettivamente la seconda, la terza, la quarta e la settima città italiana per popolazione.

Queste elezioni presentano tutte, ciascuna con le proprie peculiarità, motivi di analisi approfondita.
A Milano una serie di fattori concomitanti - lo scarso appeal del Sindaco Moratti, la nascita del cosiddetto Terzo Polo, la vittoria di Pisapia alle primarie del centrosinistra - fa in modo che per la prima volta nella II Repubblica l'esito delle elezioni non sia smaccatamente scontato a favore del centrodestra.
A Napoli si verificherà il funzionamento di due anni di promesse elettorali berlusconiane sul tema dei rifiuti, intorno al quale ruota ormai inevitabilmente qualsiasi campagna elettorale in Campania: dopo Regione e Provincia, anche il Comune passerà al centrodestra, oppure la permanenza dei rifiuti a Napoli malgrado le rassicurazioni del Governo sancirà la fine della fascinazione esercitata dal premier presso i cittadini partenopei?
A Bologna, pur se gli equilibri tra centrodestra e centrosinistra non dovrebbero riservare sorprese, sono da tenere sott'occhio il MoVimento 5 Stelle, che con la sua escalation alle Regionali 2010 ha pesantamente eroso i consensi del centrosinistra, e soprattutto i risultati che Amelia Frascaroli raggiungerà alle primarie: se dovesse essere lei la candidata dello schieramento riformista, avremmo per la prima volta un candidato non espresso dal PCI-PDS-DS-PD nel cuore dell'Emilia rossa, con tutti i contraccolpi - forse più psicologici che sostanziali, ma non per questo meno importanti - che questo provocherebbe.
Anche a Torino gli equilibri tra le coalizioni non dovrebbero consentire ribaltoni di sorta, ma la città è da seguire con attenzione in quanto costituisce forse la principale roccaforte del centrosinistra al nord ed è quindi uno snodo essenziale per tastare la forza che la sinistra in generale ed il PD in particolare ancora conservano in questa zona del Paese. Da seguire con particolare attenzione l'andamento della Lega Nord, mentre le generali difficoltà per gli schieramenti nel trovare i candidati rivelano impietosamente i problemi locali e nazionali che travagliano trasversalmente le principali formazioni politiche.

Con questa breve panoramica si apre su Città Democratica una serie di articoli dedicati alle amministrative 2011, con analisi e aggiornamenti che accompagneranno le fasi di definizione dei candidati e di campagna elettorale fino al giorno delle elezioni, salvo, come detto, complicanze legate ad una concomitanza con eventuali consultazioni politiche anticipate.

lunedì 6 dicembre 2010

Intervista ad Amelia Frascaroli

Amelia Frascaroli

Nata nel 1954, madre di cinque figli, una vita spesa nella difesa e nella tutela degli ultimi, un impressionante curriculum di ruoli chiave nei più importanti enti di sostegno sociale di Bologna e non solo, Amelia Frascaroli ha recentemente deciso di candidarsi alle elezioni primarie del centrosinistra per concorrere alla carica di Sindaco di Bologna.
Siamo onorati dalla disponibilità offertaci nel voler rispondere alla nostre domande.

Amelia Frascaroli, lei è un volto molto noto a Bologna, ma vuole ugualmente presentarsi ai nostri lettori?
Sono una donna di 56 anni e una mamma. Mio marito è pediatra e io sono una pedagogista. Fin da giovane sono sempre stata impegnata nell'associazionismo cattolico. Ho lavorato come educatrice comunale e poi alla Caritas diocesana. Sono stata presidente della Consulta comunale di Bologna contro l'esclusione sociale e membro dell'Opera Pia dei Poveri Vergognosi. Alle elezioni amministrative del 2009, alla mia prima esperienza politica, sono stata eletta consigliere comunale nelle fila del PD, ma anche in quell’occasione ho agito da indipendente.

Cosa l'ha spinta a partecipare alle primarie del centrosinistra?
Ho deciso di candidarmi perché ho creduto di dovermi assumere la responsabilità nei confronti di tutte quelle persone che me lo hanno chiesto e con le quali ho condiviso in questi anni tanto lavoro, mille pensieri, molte gioie ma anche tante fatiche. Sono stata spinta da loro e dal loro desiderio, ma nel tentativo di dire, tutti insieme, alcune cose importanti rispetto ad alcuni temi forti per la città.

Quali sono i tratti che caratterizzano la sua candidatura rispetto a quelli degli altri partecipanti alle primarie?
Sono prima di tutto una donna, una persona che conosce soprattutto le fragilità di Bologna e sono una candidata civica, espressione cioè della società civile. Non ho la tessera di nessun partito e non ho mai fatto politica per professione. Vorrei essere un’incubatrice per suscitare la partecipazione di più persone possibili: ecco l’immagine che rende bene il servizio che vorrei svolgere per Bologna. Nessun patto di potere, quindi, ma dibattiti pubblici sulla città che vogliamo costruire.

Lei si presenta come una cattolica praticante, ma ha recentemente incassato l'appoggio di SEL, una delle formazioni più a sinistra della coalizione. Come interpreta questo fattore? Ritiene che i consueti concetti di destra e sinistra siano da rivedere alla luce dell'evoluzione della società?
Forse perché voglio valorizzare soprattutto il carattere di assoluta laicità della politica. La parola “laico” vuol dire popolare, cioè di tutti e che riguarda tutti in modo condivisibile, al di là di ogni appartenenza. Nessuna strada positiva può essere scartata, anche se viene da oltre frontiera. Le frontiere sono rigide: o stai di qua o stai di là. Io sinceramente ho sempre sconfinato.

Se vincerà le primarie che genere di appoggio si aspetta dagli altri partecipanti? E nel caso non dovesse essere lei a vincere, sosterrà comunque la candidatura scelta dai votanti per la sua coalizione?
Certo. Lo dice anche il regolamento delle primarie, che prevede che il vincitore sia poi sostenuto dagli altri candidati. Io spero che tutti mettano a disposizione del prescelto dai cittadini il proprio bagaglio di conoscenza della città.

Lei non ha mai nascosto la sua fede religiosa. Crede che, nel momento in cui dovesse prendere decisioni su temi eticamente sensibili, risentirebbe di un conflitto di interessi interiore?
Io sono cattolica per scelta, educazione e maturazione personale. Ma a fianco di questo significato che do alla mia vita, e che cerco di trasmettere ai miei figli e di condividere con altri, metto però il fatto che sono chiamata a essere partecipe della sorte e del destino di tutti i cittadini. Se la politica è un servizio, allora deve essere laica, libera e di tutti. E poi non penso che le competenze di un sindaco arrivino a toccare temi etici.

Visti gli ultimi “scandali” personali che hanno colpito alcune personalità del centrosinistra, anche qui a Bologna, ritiene che il suo essere donna possa costituire un vantaggio sia alle primarie che alle eventuali elezioni amministrative?
Gli scandali riguardano le persone, non il fatto di essere uomo o donna. Io ritengo che il mio essere donna possa essere un valore aggiunto per quanto riguarda la capacità di capire veramente che cosa significa dover conciliare famiglia, figli e servizi da una parte e lavoro dall’altra.

Dopo aver parlato di Lei e delle primarie, parliamo di Bologna. Quali sono dal suo punto di vista le principali problematiche della città?
Bologna è una città che ha perso la capacità di dialogare e di connettere tra loro le varie realtà sociali, sindacali, imprenditoriali e culturali. In questi anni ognuno ha lavorato per conto proprio, interrompendo la tradizione della città di creare patti sociali, mentre invece una volta il Comune era pronto a fare da collettore. Questo è il capostipite di tutti i problemi.

Per molte persone di sinistra in Italia, Bologna non è solo il capoluogo dell'Emilia Romagna, ma la capitale di un modello sociale e di vita alternativo e spesso migliore di quello diffuso nel resto del Paese. Ritiene che Bologna possa ancora aspirare a tale ruolo di guida in Italia e, se sì, come rilanciare questa vocazione all'avanguardia e al laboratorio politico?
Bologna è stata per anni un modello perché ha saputo coniugare tra loro le varie forze e le varie realtà in campo. Ora invece incontro gente che costruisce iniziative di aggregazione autonoma, informale e auto-organizzata di tutti i tipi. Queste esperienze sentono da anni di non essere più né viste né interpretate, né valorizzate né trasformate in progetto politico. Bisogna ripartire da lì per rilanciare la città.

Il programma di coalizione, reperibile a questo link sul suo sito, è certamente ambizioso. Data l'attuale congiuntura economica e i massicci tagli agli enti locali introdotti dal Governo, ritiene il programma realisticamente realizzabile nell'arco di due mandati?
Secondo me sì, basta saper scegliere come spendere le risorse disponibili. Anche la politica economica di un Comune è una questione di priorità e di scelte.

Nel caso di una sua elezione a Sindaco, quali saranno i tratti distintivi della sua azione di amministrazione rispetto al programma di coalizione? Quali sono i punti che lei ritiene prioritari?
Io punto su casa e lavoro, inclusione, ecologia, partecipazione e bilancio comunale. Nel concreto significa sostenere le imprese e i disoccupati, sgravi fiscali per chi affitta casa a prezzi equi, migliorare la programmazione socio-sanitaria con una maggiore integrazione tra soggetti pubblici e privati, controllare l’efficacia dei servizi esternalizzati, incentivare la mobilità sostenibile e il risparmio energetico. Ma anche potenziare gli spazi di incontro e i meccanismi di solidarietà e definire una quota di soldi pubblici gestita direttamente dai cittadini per la manutenzione ordinaria delle strade e l’arredo urbano.

Se, nel ruolo di Sindaco, potesse disporre di un finanziamento immediato di cento milioni di euro, quali sarebbero i primi tre interventi concreti che intraprenderebbe?
Per prima cosa rivedrei i servizi sociali ed educativi trovando forme più flessibili e rispondenti ai bisogni delle famiglie; come secondo intervento collegherei il lavoro al tema della sostenibilità ambientale incentivando le imprese che vogliono intraprendere questa strada e, terzo, chiuderei il centro storico al traffico aumentando il trasporto pubblico e l’uso delle biciclette.

La crisi della politica genera sconforto, indifferenza e disaffezione alla cosa pubblica. In che modo ritiene sia possibile far sì che i Bolognesi ritornino ad essere orgogliosi della loro amministrazione e della politica in generale?
Prima di tutto ascoltandoli e poi facendoli partecipare alle scelte del Comune soprattutto per quanto riguarda l’urbanistica e il welfare. Bologna è fatta di mondi diversi: vecchi, bambini, studenti, chi arriva qui per lavoro e chi invece arriva da paesi lontani. Ognuno ha il suo pezzo di città e il suo modo di viverla: tutti vanno ascoltati e capiti.

Per concludere: come procederà ora la campagna elettorale?
L’obiettivo è almeno triplicare i consensi a sostegno della mia candidatura e arrivare oltre i diecimila voti alle primarie (infatti le firme raccolte a mio favore sono state 3.300 in sole tre settimane). Per questo continuerò ad aprire la mia casa ai bolognesi per parlare dei problemi della città. Una specie di laboratorio per Bologna allo scopo di raccogliere idee, critiche, buone prassi, testimonianze ed esperienze per ridisegnare la città con il contributo di tutti.

Ringraziamo ancora Amelia Frascaroli per la cortesia e la pazienza con cui si è sottoposta alle nostre domande, non ci resta che porgerle i nostri migliori auguri per una competizione elettorale avvincente e fortunata, sperando di poterle rivolgere una seconda intervista come candidata ufficiale del centrosinistra alla corsa per Palazzo d'Accursio.

L'intervista è a disposizione in formato .pdf a questo link.

venerdì 3 dicembre 2010

Educazione alla libertà

Feodor Chaliapin Jr. in DER NAME DER ROSE

DISCLAIMER: nell'articolo che segue sono riportati e commentati passaggi del libro IL NOME DELLA ROSA (1980), di Umberto Eco.

Reduce dall'ennesima rilettura del capolavoro di Umberto Eco IL NOME DELLA ROSA, sono rimasto colpito - anche se non sorpreso - nel trovare tratteggiati nel libro alcuni temi di stringente attualià politica.
In che modo l'ascesa della Lega Nord ed i valori della sinistra possono trovare posto nelle vicende di Guglielmo da Baskerville e Adso da Melk? In che modo l'abbazia sede delle tetre vicende narrate da Eco può richiamare i palazzi della politica italiana?
In realtà, limitati ciascuno al nostro hic et nunc, spesso affrontiamo i problemi quotidiani senza riuscire a cogliere alle loro spalle quei temi universali che, con mezzi e forme particolari, si ripresentano sempre uguali in ogni tempo ed in ogni luogo.

Uno dei grandi meriti di Eco è stato quello di saper ricollocare questi temi nella cornice medievale del suo romanzo, e proprio grazie a questa collocazione è possibile al lettore rielaborare in maniera personale il percorso inverso, e vedere così con occhi nuovi il contingente che lo circonda.

Di particolare significato, sia all'interno del romanzo in sé stesso, sia perché strettamente legato alla situazione macropolitica italiana, è il dialogo risolutivo che si svolge nel penultimo capitolo tra Guglielmo da Baskerville e Jorge da Burgos, nella stanza segreta della biblioteca. A questo link ho riportato testualmente tale dialogo.

Guglielmo e Jorge sono figli del loro tempo, le loro parole e le loro argomentazioni sono altrettanto medievali, ma le loro parole sono lo spunto per affrontare il tema del potere e della libertà.
Su questo piano, le argomentazioni di Jorge non sono obsolete: sicuramente, non tutti coloro che vivono all'interno di uno Stato sono a conoscenza del perché di ogni legge, né sanno lo spirito e la filosofia secondo cui si legifera; la maggior parte della gente, al contrario, rispetta la legge sostanzialmente per il timore della punizione e per la vaga intuizione che essere parte della comunità è preferibile ad esserne fuori.
La paura, in sostanza, è ancora e sempre una delle motivazioni chiave per il rispetto della legge e di conseguenza per il mantenimento dell'ordine.

D'altra parte, è innegabile la funzione liberatoria della risata e del ridicolo, espresse comunemente dalla satira ma il cui effetto lo si vede forse più nella vita quotidiana.
Una persona messa in ridicolo non avrà speranze di essere presa sul serio, di poter comunicare i propri ragionamenti e le proprie idee: passerà sempre e comunque il concetto che quella persona non deve essere temuta né tantomeno rispettata, ma solo presa come un buffone.

Il ridicolo è pertanto un'arma estremamente efficace, in grado di far perdere il rispetto anche per cose che tale rispettano lo meriterebbero. Il ridicolo non nasce secondo logica e non si afferma secondo logica, colpisce per cortocircuiti mentali.

Ha quindi ragione Jorge dicendo che una simile arma, posta nelle mani di tutti, sarebbe deleteria? Ecco, secondo me sì e no.
La legge, infatti, può essere accettata per paura o per scelta. Il ridicolo, se è in grado di liberare dalla paura, non è però a mio avviso in grado di sciogliere i convincimenti di una persona.
L'arma del riso sarebbe quindi benefica se servisse a sciogliere dai tabu per permettere un'indagine razionale.
Dire che "l'Incarnazione è ridicola", prendendo ancora spunto da Jorge, diventa un fatto benefico qualora, superato il tabu dell'accettazione supina del mistero della fede, si pervenisse ad un'analisi personale e razionale che porti ad accettare o a rifiutare il fatto in sé stesso.
Diventa invece un fattore di pericolo e instabilità se la liberazione dal tabu non conduce ad altro, ma diventa sinonimo di anarchia.

Un conto è quindi usare il ridicolo come arma per combattere la paura ed il proibito allo scopo di scoprire la verità dietro l'imposizione.
Ma il ridicolo senza una propensione all'analisi, all'indagine, al ragionamento, all'esperienza costruttiva è sinonimo di anarchia, un'anarchia - e questo dice giustamente Jorge - non contrastabile dalle armi della logica e del buon senso.

Applicando questa logica ai concetti di Stato e di patto sociale, cosa accadrebbe se scomparisse la paura della sentenza, della multa e del carcere?
Quante persone seguirebbero la legge perché realmente convinti della sua utilità, e quante invece tenderebbero a mettere in pratica la legge della giungla?
Proprio questa, in parte, sembra purtroppo essere la situazione dell'Italia, che pare uscita proprio dal quadro a tinte fosche disegnato da Jorge.

Umberto Bossi (Lega), Renata Polverini (Presidente
della regione Lazio), Mario Borghezio (Lega), Silvio
Berlusconi (Presidente del Consiglio)

Ingenuità, insulti, provocazioni: la politica della II Repubblica ha visto in questo senso una forte degenerazione; la comunicazione politica, e con essa la politica, si è ridotta a prevaricazioni, frasi ad effetto e mantra ripetuti fino ad essere accettati come verità dogmatica.
Quell'espressione di libertà chiamata democrazia ha dato nel nostro Paese alcuni tra i suoi frutti più amari, portando a posti di potere le peggiori espressioni del comune sentire: anziché essere un faro verso cui tendere, la nostra classe politica è diventata l'assolutorio pantano degli italici vizi, l'assicurazione della connivenza e dell'interesse.

In che modo siamo giunti a questa deprecabile situazione? Le cause e le concause sono molteplici, ma è possibile individuare un punto fermo: la progressiva delegittimazione delle istituzioni, la costante perdita di auctoritas da parte di chi è delegato a governare il Paese.
Inefficienza, malaffare, interesse privato, corruzione: sono queste le cause che hanno portato alla grande sfiducia verso lo Stato negli anni '90. Il lavacro di Tangentopoli e successivamente l'avvento della II Repubblica e del berlusconismo hanno visto - o forse solo aggiunto alla lista precedente - nuovi elementi al quadro. Per la prima volta abbiamo avuto esponenti dello Stato esplicitamente partecipi nella progressiva demolizione dello Stato.
Atti come legittimare il mancato pagamento delle tasse, in generale (Corriere della Sera, La Repubblica) o come arma politica contro un Paese governato dagli avversari politic di turno (Corriere della Sera) o come i condoni fiscali (ad esempio la Legge 289/2002) ed edilizi (come il Decreto Legge 269/2003, convertito in Legge 326/2003) hanno il nefasto effetto di rendere lo Stato un ente poco serio, di cui è possibile fregarsene e che non è quindi necessario rispettare.

In questo vuoto di potere è emerso in tutta la sua crudezza lo spaccato della società italiana: nel momento in cui la paura ed il rispetto sono caduti, è emerso impietosamente quanto siano poco numerosi coloro che hanno scelto il rispetto delle regole e la convivenza civile, e quanti invece siano stati coloro che hanno dato la propria preferenza all'anarchia, all'individualismo e all'antipolitica, o per meglio dire ad una politica autodistruttiva.
Valori come l'onestà, l'abilità, l'esperienza sono stati rovesciati e svuotati. Non importa quanto siano sensate le parole che uno dica: il "vincitore" è colui che ha l'ultima parola nella discussione, anche se la ottiene con il dileggio o l'insulto.
Come sosteneva Jorge, la pancia ha prevalso sul cervello, e arrivano più lontano coloro che sono in grado di gridare più forte: ecco come si spiega il successo di formazioni come la Lega Nord o l'Italia dei Valori, oltre che, ma il discorso qui si farebbe più complesso, il MoVimento 5 Stelle.

Possibile che quindi, alla fine Jorge fosse, in termini di idea della società, il "buono" e Guglielmo il "cattivo"? Possibile che Eco abbia voluto giocare quest'ultimo tiro ai suoi lettori?
In realtà tra le due opzioni presentate da Jorge, la società totalitaria e la società pseudo-anarchica, esiste una virtuosa via di mezzo, che trova il suo compimento nell'apparente ossimoro dell'educazione alla libertà.

Educare alla libertà non significa fare in modo che la gente scelga una determinata opzione, ma mettere la gente nella migliore posizione per fare la propria scelta.
Questo significa offrire un'informazione corretta in termini di cause e conseguenze, di modo che siano disponibili alla cittadinanza i dati corretti sui quali costruire la propria analisi, e la gamma completa degli effetti delle scelte fatte.
Significa favorire l'interesse e la partecipazione, come già Tocqueville insegnava.
Significa non rigettare la dissacrazione dell'autorità, ma non idolatrare la dissacrazione come mezzo di conseguimento della vittoria politica.

È un obiettivo plausibile, è un obiettivo raggiungibile?
Di certo gli ostacoli sono molti, primo fra tutti un ceto politico, poco trasparente e attaccato a posizioni di rendita, che salvo poche eccezioni verrebbe progressivamente spazzato via da una presa di coscienza collettiva; e tale ceto controlla tuttora i principali mezzi di informazione, facendo risaltare in maniera dolorosa la necessità impellente di una separazione tra il potere politico ed il mondo dei media.
Come non citare poi quelle formazioni politiche che, puntando su slogan al tempo stesso banali ed efficati, hanno costruito la loro fortuna su presentazioni parziali e distorte della realtà.
La politica italiana, lontana dall'essere in grado di fornire una soluzione, si presenta in realtà come parte del problema. La soluzione non può quindi che venire dal basso, con una progressiva eliminazione chirurgica degli elementi nocivi e con la valorizzazione di quanto di buono esiste - ed esiste - nello scenario politico.
Probabilmente l'idea di una società libera e consapevole è solo un'utopia, e d'altra parte il maggior peccato di Frate Guglielmo, ricorda il suo discepolo Adso, era l'orgoglio... ma è un obiettivo verso il quale è necessario tendere, prima che le già provate strutture sociali - materiali e immateriali - che costituiscono l'ossatura del nostro Paese siano irrimediabilmente compromesse.

martedì 30 novembre 2010

Psicologia cognitiva e controllo dei media

Esempi di differente messaggio non verbale
del medesimo soggetto

Nel lontano 1987 il professore di scienze politiche Shawn W. Rosenberg, dell'Università di Irvine, California, condusse un interessante esperimento di psicologia cognifica, dall'esplicativo titolo The Image and the Vote Manipulating Voters' Preferences, pubblicato sul volume primaverile del 1987 di The Public Opinion Quarterly.

Concern is often expressed regarding the ability of campaign consultants to shape candidates' images and, thereby, influence electoral outcomes. Despite this concern, little attempt has been made to investigate whether candidates' images can be shaped in a way that affects the vote. Here, we examine the role of nonverbal aspects of candidate presentation on image making and voters' preferences. In a series of three related studies conducted at the time of the 1984 national election, the impact of different photographs of the same candidate is assessed. The results suggest that a candidate's image can be shaped in such a way as to manipulate voters' preferences.

Come si evince dall'abstract della ricerca, lo studio ha tentato di quantificare l'effetto della comunicazione non verbale - nel caso specifico, le fotografie - in termini di spostamento di voti.

Per il primo esperimento sono stati presi venti ipotetici candidati, a cui sono state scattate delle foto il più simili possibili: tipo e colori delle foto, abbigliamento dei candidati, posizioni. Per enfatizzare i risultati dell'esperimento, sono stati selezionati i due personaggi più votati ed i due meno votati da una platea di ottanta studenti.
Per i quattro candidati rimasti sono state poi scattate ulteriori foto, questa volta in sette pose differenti.
Le foto sono state poi allegate ad un questionario contenente domande di apprezzamento politico, allo scopo di valutare e ordinare per ciascun personaggio la fiducia ispirata dalle sue differenti fotografie.
Da questo esperimento è emerso che differenti fotografie del medesimo personaggio possono offrire impressioni completamente diverse: in una scala da 0 a 7 la differenza tra le reazioni suscitate dalla foto migliore e quelle evocate dalla foto peggiore era di oltre cinque punti.

Le foto utilizzate nella seconda fase
dell'esperimento di Rosenberg

Il secondo esperimento si innestava direttamente sul primo: sono state prese per ciascun candidato la foto migliore e quella peggiore, sono state allegate a dei programmi elettorali e sono state create delle coppie (best A - worst B; best B - worst A; best C - worst D; best D - worst C) per simulare delle vere votazioni.
Il tutto è stato sottoposto ad una platea di centoquattro studenti universitari e, successivamente, a cento cittadini non studenti.

I risultati sono indicati nella tabella che segue. I candidati (A - B - C - D) sono stati elencati con caratteri maiuscoli nel caso sia stata usata per essi la foto migliore, con caratteri minuscoli nel caso di utilizzo della foto peggiore. La dicitura (s.u.) indica che il campione era composto dagli studenti universitari, mentre (n.s.u.) simboleggia l'esperimento condotto sui non studenti.


ElezioneVotiVoti
A - b (s.u.)3121
A - b (n.s.u.)2822
a - B (s.u.)1834
a - B (n.s.u.)1832
C - d (s.u.)2527
C - d (n.s.u.)2327
c - D (s.u.)1636
c - D (n.s.u.)1634

La portata di questo risultato è di assoluto rilievo: malgrado la presenza di un programma elettorale, la differenza a livello di foto ha mosso mediamente circa il 19% dei voti, con un massimo del 25% ed un minimo del 14%, spesso determinando l'esito finale della votazione.
L'immagine, la percezione, è quindi un elemento fondamentale nelle competizioni elettorali. Lo era nel 1987 con le fotografie, lo è mille volte di più nel 2010 con la capillarità raggiunta dalla televisione e con l'avvento di Internet.

Lo è soprattutto in Italia: il controllo pubblico e privato che il centrodestra berlusconiano ha su diverse reti televisive, svariati quotidiani e periodici, unito ad una disponibilità di spesa pressoché illimitata, sono fattori fondamentali nel forgiare e guidare l'umore di quelle centinaia di migliaia di persone che alla fine costituiscono l'ago della bilancia di ogni competizione elettorale.

Chi, a sinistra, si posiziona tra i duri e puri, quelli che vogliono le elezioni subito, quelli che il governo tecnico con Fini lo vedrebbero come un l'estremo inciucio, forse dovrebbe soppesare con maggiore attenzione la propria posizione, perché andare alle urne con questo mix di legge elettorale e squilibrio mediatico - fermo restando che le responsabilità politiche della potenza televisiva del Cavaliere, dal 1985 in poi, sono evidenti - rischia di essere per la sinistra una Caporetto senza alcuna Vittorio Veneto all'orizzonte.

sabato 27 novembre 2010

Che legge elettorale vogliono i partiti?

Stefano Ceccanti (PD)

Da parte di molti schieramenti politici si parla - in maniera più o meno disinteressata - della riforma della Legge 270/2005 in materia elettorale, il cosiddetto "Porcellum".

Di una di queste, l'Atto 3 del Senato della Repubblica, Città Democratica offre aggiornamenti mensili (Puntata I - II - III); tuttavia, al 25 novembre 2010, sono presenti ventotto atti in materia elettorale, che possono fornire diversi spunti sulle opinioni e sulle strategie dei partiti e dei singoli parlamentari in questo ambito.

Ad un primo, grezzo, esame, risultano due macrocategorie di interventi: una sulla composizione delle liste, ed una sugli effettivi meccanismi elettorali. A sua volta, in questa seconda macrocategoria si può tracciare una linea di divisione tra le proposte volte a fornire correttivi alla legge elettorale vigente e quelle che invece costituiscono leggi elettorali alternative vere e proprie.
Naturalmente alcuni ddl, i più complessi ed articolati, sono del tutto trasversali a questa suddivisione, avendo articoli che possono ricadere in più rami della scarna classificazione qui effettuata.

Sono espressamente mirati a gestire la composizione delle liste l'Atto 2, di iniziativa popolare, l'Atto 17, di Laura Bianconi (PdL), l'Atto 93, di Vittoria Franco (PD), l'Atto 104, di Helga Thaler Ausserhofer (UDC-SVP-Aut), l'Atto 257, di Silvana Amati (PD), e l'Atto 708, di Stefano Ceccanti (PD).
Tutti questi atti sostanzialmente gestiscono la composizione delle liste proporzionali imponendo un ordine alternato uomo-donna ed i collegi uninominali imponendo un totale equamente ripartito per sesso allo scopo di garantire l'eguaglianza di accesso dei due sessi alla carica elettiva ed evitando che, almeno nel proporzionale, le donne siano inserite al fondo delle liste.
L'Atto 708 in realtà si colloca in un più ampio disegno volto a contrastare le discriminazioni di genere, che esula, salvo la conformazione delle liste, dall'ambito prettamente elettorale.

Si propongono come modifiche al sistema elettorale vigente invece l'Atto 28, di Oskar Peterlini (UDC-SVP-Aut), che di fatto omologa il trattamento elettorale del Trentino Alto-Adige a quello della Valle d'Aosta, o l'Atto 29, ancora di Oskar Peterlini (UDC-SVP-Aut), che prevede la reintroduzione delle preferenze e l'abolizione delle candidature multicollegio.
Incentrati sulla reintroduzione delle preferenze sono anche l'Atto 111 di Mauro Cutrufo (PdL) e l'Atto 871 di Salvatore Cuffaro (UDC-SVP-Aut), mentre l'Atto 748, di Claudio Molinari (PD), è sostanzialmente una copia del 29.
La questione del premio di maggioranza e delle soglie di eleggibilità vengono invece affrontate nell'Atto 1566 di Vannino Chiti (PD), che chiede di fatto l'innalzamento delle soglie per l'accesso al Parlamento e l'abolizione del premio di maggioranza sia alla Camera che al Senato.
Estremamente legato alle vicende attuali della politica è invece l'Atto 2356 di Gaetano Quagliariello (PdL): esso prevede infatti l'introduzione di un premio di maggioranza al Senato su base nazionale in aggiunta a quelli regionali tale che alla coalizione vincente vengono assegnati dei senatori supplementari fino al raggiungimento di quota 170 senatori o della quota di 45 senatori di premio.

Le proposte di completo rinnovo della legge elettorale sono poi estremamente variegate: si passa dal ritorno al "Mattarellum" (Legge 276/1993 e Legge 277/1993) o sistemi analoghi con gli atti 1549 e 2327 di Stefano Ceccanti (PD) e 1550 di Antonello Cabras (PD), a sistemi misti con quota proporzionale al 50% con gli atti 110 di Mauro Cutrufo (PdL), 696 di Giuseppe Saro (PdL) e 2293 e 2294 di Francesco Rutelli (Misto, Alleanza per l'Italia), che prevedono inoltre l'aggiunta di una soglia di sbarramento. Vi sono poi proposte per un sistema maggioritario a turno unico, con l'Atto 27 di Oskar Peterlini (UDC-SVP-Aut), o a doppio turno, con l'Atto 1105 di Marco Perduca (PD) e l'Atto 2098 di Stefano Ceccanti (PD); infine, alcune proposte di legge contemplano un sistema maggioritario con voto trasferibile, come l'Atto 2315 di ancora di Stefano Ceccanti (PD).

Sono degni di nota poi gli atti Atto 1807 di Giuseppe Esposito (PdL), che prevede il limite massimo di dimensioni delle coalizioni a due liste, l'Atto 3 di iniziativa popolare ("Parlamento Pulito"), che prevede il lmite massimo di due mandati, l'ineleggibilità e la decadenza dei condannati anche in primo grado e l'introduzione del voto di preferenza, l'Atto 2357 di Enrico Musso (PdL), che definisce i criteri di presentazione delle candidature allo scopo di combattere i doppi incarichi, e infine l'Atto 2387 di Stefano Ceccanti (PD) che prevede l'indizione di un nuovo referendum elettorale ed il contestuale ritorno al "Mattarellum".

Come si può osservare da questa lunga carrellata, sono soprattutto le forze di opposizione a richiedere modifiche radicali alla legge elettorale, ed in particolar modo il Partito Democratico grazie al prolifico Ceccanti. D'altra parte non è possibile cogliere alcuna strategia nel cumulo di atti depositati dai parlamentari del PD, se non la volontà di tenersi il maggior numero possibile di porte aperte nel momento in cui la situazione politica fosse favorevole ad una piuttosto che ad un'altra proposta.
Colpisce inoltre l'assenza di proposte da parte di esponenti dell'Italia dei Valori, da sempre strenua oppositrice del "Porcellum": probabilmente anche questa formazione politica ha deciso per una strategia attendista, che le consenta di non impegnarsi direttamente in proposte concrete e le lasci le mani libere per appoggiare quella che si rivelerà più opportuna.
Di ben altro tenore le proposte giunte dai banchi della maggioranza parlamentare, generalmente riguardanti modifiche limitate alla legge vigente: in particolar modo sono due gli atti potenzialmente devastanti a livello politico.
La riduzione a due del numero massimo di liste presenti in una coalizione penalizza infatti fortemente il centrosinistra, che storicamente trova la sua forza nelle piccole liste che circondano, a destra e a sinistra, i partiti principali; inoltre una simile proposta, se approvata, spezzerebbe le reni sul nascere a quella che pare essere la formazione più probabile dell'alleanza di centrosinistra in caso di elezioni anticipate a tre poli, ovvero PD-IdV-SEL.
Il premio di maggioranza su base nazionale al Senato è, se possibile, ancora più insidioso: in una situazione in cui la presenza di tre poli mette seriamente a rischio la possibilità di una maggioranza stabile al Senato, questa legge distorce ulteriormente la corrispondenza tra voti e seggi allo scopo di blindare la vittoria per la coalizione in grado di portare più voti, che, in caso di voto nella primavera 2011, probabilmente sarà ancora una volta quella guidata da Silvio Berlusconi.

La variegata galassia delle proposte di legge in materia elettorale altro non è, in fondo, che lo specchio generale della politica: un PD che tiene il piede in più scarpe, che sacrifica la chiarezza nel nome del mero calcolo politico, un'IdV che non propone per avere la libertà di bacchettare le proposte altrui, ed un PdL che tenta di sfruttare la possibilità di legiferare per agire a proprio vantaggio anziché pensare al buon funzionamento della macchina statale.

mercoledì 24 novembre 2010

AGCom ottobre 2010: Berlusconi torna in TV

Enrico Mentana, direttore del TGLa7

Da alcuni giorni sono disponibili sul sito dell'AGCom i dati relativi al pluralismo politico in TV.
La loro analisi, anche comparata con il mese precedente, consente di avere una panoramica dell'eventuale partigianeria dei telegiornali e dell'evoluzione del quadro politico italiano.
L'analisi, come già evidenziato per il caso del mese precedente, è puramente quantitativa: i dati presentati dall'AGCom vengono ascritti alle varie formazioni politiche indipendentemente dalla qualità e dal tono degli interventi. I dati sono a disposizione a questo link.

Rispetto al mese di settembre, il comportamento della formazione finiana Futuro e Libertà per l'Italia si è maggiormente definito come quello di una forza di opposizione. Al contrario, il progressivo riavvicinamento tra il PdL e La Destra di Storace e della Santanché hanno reso ascrivibile il tempo dedicato a queste formazioni alla maggioranza. Tali spostamenti di forze sono stati rappresentati nel grafico che segue, che mostra la distribuzione dei tempi politici dei telegiornali tra maggioranza, opposizione ed istituzioni.

Dati AGCom ottobre 2010 aggregati per
Istituzioni - Maggioranza - Opposizione

Rispetto al mese precedente le differenze sono notevoli.
Cala su pressoché tutti i canali lo spazio dedicato alle forze politiche di maggioranza, e sale contestualmente quello dedicato alle istituzioni, che si attesta in media al 49% (contro un 33% di valore corretto secondo i requisiti della par condicio) con picchi del 71% sul TGCom.
È importante osservare inoltre che l'opposizione raggiunge circa il 31% del tempo complessivo, un valore quindi abbastanza in linea con i dettami della legge, mentre la maggioranza parlamentare è sacrificata ad un modesto 20%.
Se settembre era stato caratterizzato da telegiornali "di parte", ottobre ha visto invece telegiornali "di stato", dominati dalle figure dell'esecutivo e delle istituzioni.

Un simile capovolgimento di situazione è pienamente comprensibile con le mutate condizioni politiche dovute alla degenerazione dei rapporti tra il PdL e FLI: a causa della necessità di contenere il disfacimento del proprio partito a livello parlamentare ma soprattutto territoriale, a causa della necessità di mettere in campo il proprio carisma nell'eventualità di elezioni anticipate, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è riapparso in maniera prepotente sulla scena mediatica, come mostra il grafico che segue, in cui, all'interno del tempo dedicato alle istituzioni, viene evidenziato quello appartenente al premier.

Dati AGCom ottobre 2010 aggregati per
Istituzioni - Maggioranza - Opposizione
(dettaglio del tempo dedicato al premier)

Silvio Berlusconi, tra l'altro nel suo ruolo di Presidente del Consiglio - sono quindi escluse le occasioni in cui viene considerato leader del Popolo della Libertà - occupa il 15% del tempo politico dei telegiornali, oscillando tra il 12% del TG2 ed il 32% del TGCom.
Una presenza ingombrante, che da sola occupa circa metà di un tempo nel quale dovrebbero trovare posto anche il Presidente della Repubblica, i Presidenti delle Camere, tutti i membri del Governo e l'UE.

Il ritorno di Berlusconi sul piccolo schermo significa una cosa sola: campagna elettorale. Le spire della crisi tra cui si dibatte la maggioranza parlamentare disegnano un quadro a tinte fosche per la tenuta dell'esecutivo. Nel duplice tentativo di salvarlo e di prepararsi alle eventuali elezioni anticipate il Cavaliere scende in campo personalmente, dominando la scena mediatica come solo lui sa fare.

Il deterioramento della qualità del rapporto tra istituzioni, maggioranza e opposizione tra il mese di settembre ed il mese di ottobre (passato da uno scarto quadratico medio dell'1,81% ad uno del 4,15%) fa da contraltare al miglioramento della qualità del rapporto tra le forze politiche, il cui scarto quadratico medio passa dal 3,31% all'1,71%.
Il fenomeno si inserisce perfettamente nel tempo travasato dalla maggioranza alle istituzioni, ed in particolar modo nel Presidente del Consiglio (il cui tempo televisivo è quasi raddoppiato da settembre ad ottobre): nel cambio chi ci rimette è l'opposizione, che, se valutata con i parametri di settembre, scende dal già modesto 23% di settembre ad un ancora più risicato 21%. Solo il passaggio di FLI a forza stabile di opposizione consente di raggiungere il 31% indicato poco sopra.

Dati AGCom ottobre 2010 aggregati per
area socio-culturale

Escludendo dall'analisi il tempo istituzionale, si nota poi una netta preponderanza del centrodestra sul centrosinistra, e di queste due aree sul resto del panorama politico: il PdL ha avuto a disposizione quasi 20 ore complessive e FLI poco meno di 12, mentre il PD, sul fronte opposto, si è limitato a 15 ore e mezza.
Le altre macroaree politiche risultano di conseguenza a loro volta fortemente penalizzate, potendo spartirsi meno del 20% del tempo. Come nel mese di settembre, a fare le spese maggiori della ripartizione è la sinistra radicale.
Come per il mese precedente, la ripartizione è stata strutturata secondo il seguente elenco:
  • Destra (La Destra, Lega Nord)
  • Centrodestra (PdL, FLI, UDEUR)
  • Centro (MPA, API, UDC)
  • Centrosinistra (PD, IDV, SEL, Radicali)
  • Sinistra (PS, FES, Verdi)
  • Altro

Confrontando i telegiornali si evince infine come i maggiormente rispettosi dell'equilibrio tra maggioranza, opposizione ed istituzioni siano stati quelli del gruppo Telecom, ovvero il TGLa7 ed MTV Flash, seguiti da RaiNews24.
Quelli che invece sono stati maggiormente attenti alla disposizione delle forze politiche rispettando i rapporti di forza delle elezioni politiche sono stati il TG2, il TG3 e SkyTG24.
Nuovamente, sono i TG generalmente sentiti come schierati a sinistra (TG3, SkyTG24, RaiNews24, TGLa7) a fornire i migliori esempi di aderenza ai parametri di legge, e a fornire quindi un prodotto - limitatamente all'analisi quantitativa che consentono i dati a disposizione - a tutti gli effetti migliore.
L'assenza dei telegiornali Mediaset dalla lista delle testate "virtuose", ed anzi il loro concentrarsi nelle posizioni di coda secondo entrambi i metodi di analisi, è un grave vulnus della qualità dell'informazione in Italia, uno strascico - e non dei minori - dell'assenza di una valida norma sul conflitto di interessi.

lunedì 22 novembre 2010

Legge elettorale: sessanta giorni dopo

Francesco Pardi (IdV)

Riassunto delle puntate precedenti.
22 settembre 2010: viene divulgata la notizia che la proposta di legge elettorale di iniziativa popolare nota come "Parlamento Pulito", che prevede tra le altre cose l'ineleggibilità per i condannati di qualsiasi grado, il limite di mandati per i parlamentari e la reintroduzione delle preferenze, avrebbe iniziato il suo iter legislativo in Parlamento.
21 ottobre 2010: dopo un mese, l'unico passo avanti fatto è stata la raccolta di tutte le proposte di legge in materia elettorale allo scopo di approntare una discussione comune.

Cosa è cambiato in questo ultimo mese?

27 ottobre 2010

Nel corso della seduta 237 viene semplicemente aggiunto un nuovo ddl alla lista delle proposte di legge in materia elettorale.

2 novembre 2010

Anche la seduta 238 vede unicamente l'inserimento di un nuovo ddl alla lista.

17 novembre 2010

La seduta 244 non vede particolari avanzamenti, ma solo una diatriba tra il Senatore Pardi (IdV) ed il presidente della Commissione Vizzini (PdL) sulla lentezza più o meno giustificata con cui procedono i lavori in materia di legge elettorale.

Un altro mese a vuoto. Un altro mese in cui si delinea la strategia della maggioranza, che, oltre a controllare il calendario dei lavori, con uno stillicidio di proposte di legge da aggiungere alla lista impedisce l'inizio della discussione vera e propria in materia.
Appuntamento al 22 dicembre.
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