venerdì 30 settembre 2011

Francia, i candidati alle primarie

Logo delle primaires citoyennes

Al più tardi il 17 ottobre i francesi sapranno chi sarà il candidato del Parti Socialiste per la corsa all'Eliseo del 2012, lo sfidante del presidente in carica Nicolas Sarközy de Nagy-Bocsa.

Le primarie che si svolgeranno il 9 ed il 16 ottobre 2011, organizzate sulla falsariga delle elezioni reali come un maggioritario a doppio turno, sono un appuntamento veramente speciale per la storica formazione francese: seppur infatti non estranea all'utilizzo della scelta dei candidati tramite il voto diretto della base, questa è la prima volta che verranno chiamati al voto non soltanto i militanti del partito, ma anche genericamente i simpatizzanti. Ha fatto sicuramente breccia nel cuore dei socialisti francesi l'esperienza italiana - più volte citata come modello dal PS d'oltralpe - che rischia che rischia di essere pesantemente surclassata in termini di partecipazione: secondo un sondaggio realizzato dalla casa francese BVA tra il 7 ed il 14 settembre

Plus d’un quart des Français (25%) envisage d’y participer et 15% se déclarent aujourd’hui absolument certains d’y participer (note de probabilité de 10/10), soit un potentiel de 6,5 millions d’électeurs.

Al netto delle differenze di popolazione tra Italia e Francia, si tratta di una partecipazione che nello stivale nemmeno l'intera coalizione di centrosinistra è mai riuscita a radunare. Al netto di clamorose e non gradite smentite, il PS dovrà dare prova di grandi capacità organizzative per gestire una simile quantità di votanti. A tale proposito è stato lanciato anche un sito, che presenta più di una somiglianza con quelli italiani, dove vengono spiegate le modalità di voto, indicati i seggi, gestite le news e presentati i candidati.

Saranno sei i candidati a contendersi la vittoria al primo turno di queste primarie il 9 ottobre, un numero di per sé elevato che rende, a priori da qualsiasi considerazione, probabile il ricorso al turno di ballottaggio il 16 ottobre. Pesa sulla competizione l'assenza del favorito Strauss-Kahn, i cui recenti scandali sessuali - pur risoltisi in una bolla di sapone - hanno constretto l'ex presidente del FMI a rinunciare alla candidatura.

Martine Aubry
Martine Aubry, figlia dello storico Presidente della Commissione Europea Jacques Delors, è ex-ministro, sindaco della città di Lille e segretario del Parti Socialiste dal congresso tenutosi nel novembre 2008, quando la sua mozione superò di appena 102 voti (pari allo 0,04% delle preferenze) quella di Ségolène Royal.
La candidatura della Aubry appare fortemente improntata sui temi del lavoro, con un piano di occupazione, del fisco, con rimodulazioni delle attuali imposte, e sulle istanze ecologiste come l'uscita dal nucleare e gli incentivi alle rinnovabili. Da questo punto di vista sarebbe una delle migliori interlocutrici con le forze ambientaliste che tanto successo hanno riscosso in Francia negli ultimi anni. Fortemente europeista e sostenitrice dell'asse franco-tedesco, come segretario del partito ha promosso la realizzazione di un documento di politica economica di vedute sovranazionali assieme al suo omologo della SPD d'oltrereno, Sigmar Gabriel. Tra le sue altre proposte spiccano la depenalizzazione delle droghe leggere e l'incremento dei fondi destinati alla cultura.
Il sito personale di Martin Aubry mostra tra le altre una pagina con le sue idee sui temi più scottanti della politica francese ed uno spazio in cui gli interessati possono lasciare le proprie impressioni ed i propri suggerimenti, oltre all'immancabile pagina dedicata al programma.
Malgrado il ruolo di assoluto rilievo nel panorama socialista francese la Aubry non è considerata la favorita in queste elezioni primarie, superata dal più moderato François Hollande. Nonostante ciò, viene comunque accreditata di alcuni punti di vantaggio su Sarkozy al primo turno delle presidenziali, qualora dovesse prevalere nella competizione di ottobre.

Jean-Michel Baylet
Il secondo candidato, in ordine rigorosamente alfabetico, è il senatore ed ex-ministro sessantaquattrenne Jean-Michel Baylet, presidente del Parti Radical de Gauche e quindi esterno alla formazione socialista. Sui temi economici si colloca in posizione moderata ed europeista, mentre il suo liberalismo sui temi etici e sociali tradisce la sua provenienza radicale.
L'Europa è l'asse portante della proposta di Baylet, con proposte che spaziano da sistemi di tassazione europei per la creazione di budget comunitari alla creazione di politiche economiche comuni per la zona euro fino ad arrivare ad una spinta verso la costruzione di un'Europa federale.
Si è più volte espresso a favore della liberalizzazione delle droghe leggere, dell'eutanasia e dei matrimoni omosessuali.
Il suo sito è di fatto un contenitore delle istanze del PRG, e contiene un rimando al suo programma, composto da una trentina di punti.
La sua candidatura viene considerata come di semplice disturbo, ed in tutti i sondaggi è accreditato di percentuali irrisorie.

François Hollande
Il deputato François Hollande è senza dubbio il grande favorito della competizione. Il cinquantasettenne ex-segretario del PS, nonché ex di Ségolène Royal, incarna l'ala moderata del partito, e per questa ragione appare come l'esponente socialista maggiormente in grado di raccogliere voti al centro dello schieramento in un eventuale ballottaggio con Sarkozy.
Le sue principali scelte programmatiche riguardano i temi della scuola, con la creazione di nuovi posti di lavoro, dell'ecologia, con la scelta di una progressiva riduzione della dipendenza nucleare, ed il taglio dei costi della politica.
Il suo sito è strutturalmente simile a quello della Aubry, la sua principale rivale alle competizioni, senza però avere il medesimo spazio lasciato alle proposte e al feedback dei sostenitori. Il suo programma è forse quello esposto in maniera più chiara e schematica, dando l'idea di maggiore organizzazione e facilitando la comprensione del lettore.
Dopo un certo periodo in cui ha dovuto subire la novità della candidatura della Aubry, Hollande è tornato in testa ai sondaggi sia sull'esito del primo turno sia su quello dell'eventuale ballottaggio. Le case sondaggistiche confermano inoltre il fatto che sia il candidato del PS maggiormente in grado di competere contro Sarkozy in caso di sua partecipazione alle presidenziali del 2012.

Arnaud Montebourg
Con i suoi quarantotto anni, Arnaud Montebourg è il candidato più giovane tra i contendenti alle primarie, e forse il più radicale nelle sue proposte. È infatti membro della Convenzione per la Sesta Repubblica, un gruppo di riflessione per la rifondazione del sistema istituzionale francese che si pone come obiettivo una reale democrazia partecipata ed un rafforzamento della separazione tra i poteri.
Proprio tali punti sono i cardini dell'agenda politica di Montebourg, assieme ad una politica economica basata sulla rilocalizzazione, la deglobalizzazione e la decrescitata pilotata basate su una vera rivoluzione ecologica, anche da ottenere attraverso misure di protezionismo a livello europeo.
Il suo sito si presenta particolarmente curato e ricco di contenuti, il programma ben in primo piano e diviso in categorie ma forse troppo spezzato nelle sue componenti per permettere al lettore di cogliere il senso generale della proposta politica del giovane candidato.
Non viene considerato dai sondaggi come un candidato in grado di vincere le primarie o anche di arrivare personalmente al ballottaggio, ma il consenso da lui raccolto potrebbe essere molto importante, nel caso decidesse di offrire appoggi ufficiali, a determina l'esito del secondo turno.

Marie-Ségolène Royal
Marie-Ségolène Royal, ex-ministro e ex-deputato, riprova la corsa all'Eliseo dopo il fallimento delle precedenti elezioni del 2007 e la sconfitta interna contro la Aubry al congresso del PS del 2008.
La sua offerta politica si basa si basa sull'allargamento della democrazia partecipata, sulla trasparenza della gestione dei fondi pubblici e su una rimodulazione fiscale all'insegna dell'equità senza aumentare il peso complessivo del fisco.
Il suo sito è molto semplice, incentrato sul servizio news dedicato alla candidata, ed è caratterizzato, oltre che dal consueto manifesto programmatico, da un elenco di soluzioni concrete di immediata comprensione.
Sicuramente la Royal appare la candidata maggiormente in grado di utilizzare lo strumento mediatico, come dimostra il suo "contratto con la nazione" - di nuovo i parallelismi con l'Italia si sprecano - con tanto di clausole rescissorie e organi di garanzia per verificarne l'attuazione.
Malgrado l'appeal e l'uso sapiente della comunicazione, l'esperienza del 2007 pesa come un macigno sulla Royal, attualmetne non in grado di arrivare al ballottaggio delle primarie. La sua quota di preferenze potrebbe tuttavia essere la golden share del ballottaggio, e gli analisti politici si sono trasformati in esperti di gossip tentando di capire se Ségolène sceglierà di favorire o ostacolare il suo ex Hollande contro la donna che comunque le soffiò la leadership del PS...

Manuel Valls
Manuel Valls, deputato e sindaco di Évry, è l'altro giovane della competizione, con i suoi 49 anni; è stato il primo ad ufficializzare la propria candidatura alle primarie, e l'unico a prendere di petto la questione - tabu nella sinistra francese - dell'immigrazione.
Valls propone infatti l'istituzione di quote migratorie fissate in base alle capacità di accoglienza, su base nazionale e regionale, per gestire i flussi migratori dall'Africa; altre sue proposte riguardano la revisione del sistema delle 35 ore e il contenimento delle spese della politica.
Il suo si mostra particolarmente accattivante e ricco di contenuti, con un programma presente anche in formato video e strutturato in maniera originale in punti legati alle lettere dell'alfabeto.
La sua candidatura viene percepita come piuttosto di nicchia, in quanto dal punto di vista programmatico non apporta nulla rispetto ad altre personalità maggiormente di peso se non la propria giovane età. Analogamente a Montebourg, la sua quota di voti potrà essere determinante nel ballottaggio.

Il sondaggio più recente sulle primarie francesi è attualmente quello di Ipsos, che mostra Hollande in netto vantaggio su tutti gli altri candidati ma incapace di imporsi al primo turno; al ballottaggio dovrebbe quasi certamente vedersela con la combattiva Aubry, e quindi sarà fondamentale capire come i candidati minori, Royal in testa, si schiereranno intorno ai due principali competitor.

martedì 27 settembre 2011

Verso le regionali: Molise

Angelo Michele Iorio (PdL), presidente del Molise

Le elezioni regionali del Molise sono l'unico appuntamento elettorale dell'autunno 2011, sfasate rispetto alle altre consultazioni elettorali dai tempi dell'annullamento del voto della primavera del 2000 con successiva ripetizione della consultazione nell'autunno 2001.

Storicamente il Molise si configura come una regione di stampo conservatore: la lista dei suoi governatori vede un'ininterrotta serie di nomi democristiani per tutta la durata della Prima Repubblica, con la sola eccezione del socialista D'Uva nel biennio 1982-1984; nella Seconda Repubblica si è vista invece un'alternanza tra centrodestra e centrosinistra negli anni '90, mentre l'ultimo decennio è stato segnato dal regno incontrastato di Michele Iorio, il potentissimo esponente del PdL locale.

Le ultime elezioni amministrative regionali si sono tenute il 5 e 6 novembre del 2006. Malgrado si trattasse di un periodo considerato generalmente favorevole al centrosinistra, uscito vittorioso quell'anno dalle elezioni politiche, dalle amministrative nelle principali città italiane e dal referendum costituzionale, la coalizione di centrodestra guidata da Michele Iorio prevalse con il 54,02% delle preferenze, importante segno della forte tradizione conservatrice del Molise e dell'influenza che lo stesso Iorio ha saputo estendere sulla vita politica regionale.

Distribuzione del voto alle regionali 2006
Provincia di Campobasso

Distribuzione del voto alle regionali 2006
Provincia di Isernia

Esaminando lo spaccato del voto delle regionali del 2006 nelle due province che compongono la regione, appaiono due scenari piuttosto differenti.
La provincia di Campobasso appare abbastanza combattuta tra i due schieramenti, con il centrosinistra in leggero vantaggio nel capoluogo e in generale nelle aree più vicine alla Puglia; il centrodestra ha invece i propri punti di forza nelle zone più interne della provincia e nei comuni che confinano con la provincia di Isernia. Il risultato finale del 2006 ha visto una lieve prevalenza del centrosinistra in termini di liste, con Forza Italia primo partito nella provincia al 18%.
Nella provincia di Isernia tuttavia la situazione si ribalta drasticamente, con il centrodestra in forte vantaggio in quasi tutti i comuni, capoluogo compreso, ed il centrosinistra arroccato in pochi comuni nella parte nordorientale del territorio. Il risultato finale ha visto prevalere il centrodestra con oltre il 60% delle preferenze, e Forza Italia attestata al 24%. Colpisce il pessimo risultato ottenuto dai DS, sotto il 10%.

Particolarmente significativo è il dato delle quattro principali città della regione, Campobasso, Termoli, Isernia e Venafro. Il centrosinistra, che di solito riesce ad esprimersi al meglio nei grandi centri rispetto alle campagne, riesce a prevalere solo nel capoluogo regionale, cedendo invece in maniera piuttosto netta negli altri tre centri. In effetti, considerando come la città più popolosa, Campobasso, superi di poco i 50.000 abitanti, si può vedere come non esista in Molise un reale bacino elettorale di riferimento per il centrosinistra.

Altrettanto importante si è dimostrato l'effetto candidato: osservando i risultati a livello regionale si nota come Iorio, il candidato del centrodestra, abbia totalizzato due punti percentuali in più rispetto alle liste in suo sostegno, segno di particolare appeal personale. Scendendo tuttavia nel dettaglio a livello provinciale, si vede come Iorio abbia costruito il proprio successo personale essenzialmente nella provincia di Campobasso, dove riesce a raggiungere il 51,10% a fronte del 49,40% racimolato dalle liste che lo appoggiavano. Del tutto equivalenti invece i due candidati in provincia di Isernia.

Confronto del voto in Molise
Regionali 2006 - (Regionali 2011)

A livello di coalizioni e schieramenti, la politica molisana pare essere passata in maniera pressoché indenne attraverso tutti gli sconvolgimenti degli ultimi 5 anni. Sono indubbiamente presenti le evoluzioni dei partiti preesistenti, come Popolo della Libertà e Partito Democratico, e i nuovi partiti come Sinistra Ecologia Libertà, e i partiti della cosiddetta sinistra radicale appaiono come Federazione della Sinistra; eppure le coalizioni appaiono sostanzialmente immobili rispetto al 2006.
Le uniche novità sono il passaggio dell'Udeur da centrosinistra a centrodestra e la presenza di un candidato del M5S e di uno dell'estrema destra.
Ciò che davvero però manca nel panorama politico molisano è la presenza del Terzo Polo centrista, ovvero in ultima analisi del distacco dell'UdC - che in questa regione raggiunge percentuali a due cifre ed è pertanto una compagine di prima linea - dal centrodestra. La scelta dell'UdC è causa diretta della difficile posizione di FLI, la formazione finiana fuoriuscita dal PdL: proprio questi due partiti sono infatti assieme all'ApI il nerbo del Terzo Polo, ma è indubbio che, voti alla mano, sia lo schieramento di Casini l'asse portante del fronte centrista. La decisione di Casini di appoggiare la ricandidatura di Iorio ha fatto in modo che il costituendo Terzo Polo si smembrasse in occasione di queste regionali, con l'ApI di Rutelli che si schiera a sinistra e con i finiani di Futuro e Libertà, che si trovano nell'impossibilità di schierarsi con il centrosinistra, il desiderio di non appoggiare il candidato berlusconiano e l'incapacità di produrre un proprio candidato, in una grave impasse. Sarà quindi sostanzialmente solo la libertà di coscienza a guidare il voto degli elettori di FLI.

La sfida di ottobre vedrà come candidati principali Iorio (che si ripresenta per il terzo mandato) per il centrodestra e Di Laura Frattura, scelto tramite le primarie, per il centrosinistra. Ad essi si affiancano Federico, espressione del MoVimento 5 Stelle, e Mancini, sostenuto da La Destra.
La coalizione conservatrice perde quindi l'appoggio dei partiti di estrema destra e - forse - di FLI ma guadagna quello dell'Udeur (oltre il 5% nel 2006 e accreditato tuttora di percentuali sopra il 4%), mentre il centrosinistra deve soffrire, oltre al cambio di casacca della formazione di Mastella, la concorrenza del MoVimento 5 Stelle.
Lo scenario appare quindi favorevole ad una rielezione di Iorio, come testimonia anche l'ultimo rilevamento sondaggistico CATI condotto da Digis in data 24 settembre 2011. Rispetto al 2006, la coalizione di centrodestra appare addirittura rafforzata, ben oltre la maggioranza assoluta, mentre è al contrario Iorio, la cui immagine pare essere decisamente più appannata, a valere meno dei partiti in suo sostegno e ad attestarsi al di sotto della soglia psicologica del 50%. Nel centrosinistra spicca invece il pessimo risultato del Partito Democratico, che vale meno della sola Margherita del 2006 ed è superato dall'IdV come primo partito della coalizione.

Il Molise pare dunque confermare la propria tendenza conservatrice, né appaiono al momento all'orizzonte elementi di politica locale in grado di ribaltare un tale pronostico. Saranno quindi eventuali temi di politica nazionale a poter ribaltare l'esito di un'elezione che allo stato attuale appare, se non del tutto scontata, quantomeno decisamente prevedibile.

sabato 24 settembre 2011

Dati AGCom agosto 2011

Logo dell'AGCom

Agosto è un mese generalmente anomalo dal punto di vista televisivo: molte aziende chiudono i battenti per ferie, le città si spopolano ed in generale la gente passa meno tempo davanti alla TV, ricercando perlopiù in maniera quasi istintiva argomenti di informazione generalmente più leggeri rispetto al resto dell'anno.
D'altra parte, questo agosto in particolare è stato vissuto all'insegna della crisi economica e dell'attesa per la manovra finanziaria, in una cornice di progressiva erosione del potere d'acquisto delle famiglie.
Proprio l'intreccio di queste due opposte tendenze, una di valenza generale ed una di valenza particolare, può contribuire a spiegare le numerose sorprese che riserva l'analisi dei dati AGCom del mese di agosto 2011.

Il primo highlight lo riserva proprio il numero totale di ore di informazione politica, che si attesta intorno a 180. Un valore pressoché uguale alla media 2011 - almeno fino ad ora. Tenendo conto del mese in analisi, bisogna però considerare queste 180 ore come un valore particolarmente alto, inequivocabile segnale dell'eccezionale situazione che il Paese sta attraversando dal punto di vista economico.

Dati AGCom agosto 2011

Già dalla tabella dei dati grezzi è possibile osservare una brusca inversione di tendenza rispetto ai mesi scorsi: l'opposizione, spinta dal Partito Democratico, torna sopra quota 30% totalizzando il miglior risultato in termini relativi da febbraio; le istituzioni, pur in crescita, si fermano al 45%, lontane anni luce dal 60% del mese di marzo; la maggioranza, infine, si attesta al 24%, tornando ai valori dei primi mesi dell'anno.
La conformazione della scena politica, di fatto, pare tornare ad essere quella dei mesi di avvio 2011, con Governo e Presidente del Consiglio ad oscurare la maggioranza di centrodestra, ed un contraltare fatto dall'opposizione di centrosinistra.

Dati AGCom agosto 2011 aggregati per
Istituzioni - Maggioranza - Opposizione

Dati AGCom 2011 aggregati per
Istituzioni - Maggioranza - Opposizione

L'istogramma mostra con chiarezza i dati relativi al mese di aagosto, mentre la tabella sottostante evidenzia il trend storico del 2011 relativamente alla suddivisione temporale tra istituzioni, maggioranza e opposizione. Proprio dalla tabella emerge una sorta di divisione dell'anno in tre fasi: nella prima, da gennaio a marzo, il tempo istituzionale - nel senso di Governo e Presidente del Consiglio - era predominante nei confronti del tempo di maggioranza, mentre l'opposizione, pur sottodimensionata, manteneva le proprie quote di rappresentatività; aprile ha traghettato il Paese verso la seconda fase, durata fino a luglio, e caratterizzata dai temi prettamente elettorali: elezioni amministrative e referendum. Questa fase ha visto un maggiore equilibrio tra le forze in campo in occasione degli appuntamenti elettorali per poi vedere una progressiva diminuzione della rilevanza del ruolo dell'opposizione. La terza fase, che comprende il mese di agosto ed il cui consolidamento si dovrà appurare nelle rilevazioni successive, mostra un recupero del ruolo dell'opposizione a fronte di percentuali mutate tra istituzioni e maggioranza, a favore della seconda.
L'attenzione ai temi economici ed una legge di bilancio fatta principalmente di incrementi fiscali hanno da un lato offerto spazio televisivo alle controproposte e alle critiche delle forze di opposizione, e dall'altro consigliato prudentemente a Berlusconi una minor frequenza nelle sue apparitizioni telegiornalistiche.

I telegiornali che hanno fornito maggiore spazio al Governo e alle istituzioni in generale sono stati Studio Aperto e TG4; quelli più generosi nei confronti delle forze di maggioranza MTV Flash e TG3, mentre quelli che hanno riservato più spazio alle opposizioni si sono rivelati Rainews e Sky TG24.

Dati AGCom agosto 2011 aggregati per
area politico-culturale

Dati AGCom 2011 aggregati per
area politico-culturale

Lo spaccato per area politico-culturale ed il relativo confronto storico valido sui primi sette mesi del 2011 mostrano come agosto non sia un mese di svolta in chiave dei rapporti tra istituzioni, maggioranza e opposizione, ma si ponga anche come significativo nella valutazione tra spazio dedicato a centrodestra e centrosinistra.
L'area moderata del panorama politico, dopo aver toccato il proprio massimo a luglio, torna ai valori più bassi dal mese di marzo, tenuta d'altra parte in piedi - mediaticamente parlando - solo da una Lega Nord sempre più protagonista degli schermi TV. Il fronte progressista segna invece di gran lunga il proprio risultato migliore, ben oltre il 40% del tempo.
Anche il centro si avvantaggia del silenzio di PdL e FLI, mentre la sinistra estrema mantiene la propria irrilevanza mediatica.

I telegiornali che hanno maggiormente favorito la Lega Nord ed in generale le forze di destra sono stati Rainews e TG3; il maggiore spazio alle forze di centrodestra è stato dato da TG4 e MTV Flash.
Le forze centriste hanno invece trovato maggior sponda su TG2 e Sky TG24, mentre il centrosinistra ha prevalso su TG5 e Rainews.

Dati AGCom 2011 aggregati per mese
 Osservando lo spaccato per singole forze politiche, emerge in primo luogo il tempo dedicato al Partito Democratico, che totalizza la propria migliore prestazione da inizio anno sia in termini relativi che assoluti, diventando il primo partito politico nel panorama televisivo. In forte calo il PdL, il cui ridimensionamento appare tuttavia compensato dal relativo incremento di Presidente del Consiglio e Governo. Se FLI, IdV e Lega restano stabili, colpisce il dato dell'UdC, raddoppiato rispetto al mese precedente e quello di SEL, quasi scomparsa dagli schermi dopo i fasti delle amministrative.

In questo scenario si vede senza alcun dubbio la maggiore rilevanza delle forze considerate più credibili dal punto di vista delle riforme economiche, ma il dato del Partito Democratico appare comunque abnorme anche in questo contesto; diventa allora inevitabile ritenere che lo spazio riservato dai media alla formazione di Bersani sia dovuto almeno in parte al caso Penati, dando alla rilevanza quantitativa un risvolto negativo sul piano qualitativo.

Confrontando infine i telegiornali dal punto di vista dell'aderenza alla par condicio, emerge come le due testate più ligie alla legge sono state MTV Flash e TG3, laddove quelle più squilibrate si sono rivelate Studio Aperto e TG4, entrambe in favore dell'area di centrodestra.

In generale il mese di agosto segna, dal punto di vista quantitativo, un importante segnale di discontinuità rispetto all'immediato passato; i prossimi mesi, con la reale ripresa della discussione politica in Parlamento e con l'approfondirsi dei temi legati alla crisi economica, potranno fornire ulteriori indizi sull'esistenza di un reale cambio di rotta dal punto di vista dell'informazione in Italia.

lunedì 19 settembre 2011

Si chiude l'anno elettorale tedesco

Klaus Wowereit (SPD), riconfermato sindaco di Berlino

Le elezioni di Berlino conclusesi il 19 settembre 2011 hanno chiuso il lunghissimo anno elettorale tedesco, costellato di ben sette appuntamenti di grande rilevanza che hanno fornito risultati a volte epocali, come a marzo in Baden-Württemberg con la storica vittoria del centrosinistra.
Le elezioni berlinesi non hanno riservato sorprese dal punto di vista dei vincitori e dei vinti, ma la composizione del risultato offre alcuni spunti interessanti che saranno certamente determinanti nel tentativo di comprendere la politica futura della Germania.
Il giovane partito dei Piraten, che a febbraio si era distinto per i risultati ottenuti ad Hamburg, ottiene una prestazione strepitosa candidandosi ad essere una forza politica da tenere seriamente in considerazione nei prossimi appuntamenti elettorali: è questa, molto più della riconferma del socialdemcoratico Klaus Wowereit, la vera notizia delle elezioni di Berlino.

Esito delle elezioni amministrative 2011
nel land di Berlin

Distribuzione dei voti alle elezioni amministrative 2011
nel land di Berlin

L'affluenza, dopo i dati disastrosi delle precedenti elezioni in Mecklenburg-Vorpommen, torna a mostrare un incremento rispetto al 2006, un +2,2% che posiziona la partecipazione complessiva appena al di sopra della soglia psicologica del 60%. La notizia, oltre al valore civico che in sé stessa contiene, permette forse all'intera Europa di tirare un respiro di sollievo: visto il sostanziale europeismo di tutte le forze politiche in competizioe, un segnale di sfiducia generalizzata sarebbe stato fin troppo facilmente associato alla crisi del debito dei PIIGS, con imprevedibili contraccolpi sui mercati.

Le dinamiche interne al centrodestra tendono a confermare questa interpretazione del voto: i liberali della FDP subiscono un vero e proprio crollo verticale, scendendo sotto il 2% con quasi il 6% in meno rispetto al 2006; la CDU si dimostra tuttavia in grado di intercettare parte dell'elettorato liberale deluso, incrementando le proprie preferenze del 2% attestandosi al 23,35%.
Il popolo di centrodestra della capitale tedesca ha scelto quindi di punire il partito della propria coalizione più intransigente e conservatore in termini di politica monetaria, rivolgendosi - almeno in parte - alla CDU della Merkel, di stampo più europeista.
Complessivamente il fronte moderato perde circa il 4% in termini di consensi e scende da 50 a 39 seggi.

Se si guarda lo schieramento progressista, la SPD vince ma non convince. Resta il primo partito del land ed avrà diritto ad esprimere il governatore nella persona dell'uscente Wowereit, ma perde complessivamente il 2,5%, scendendo sotto al 30% dei consensi, e ben cinque seggi. Cinque seggi è d'altronde il guadano netto dei Grünen, il partito di stampo ecologista che sopravanza la Linke diventando terza forza della regione con il 17,60% dei consensi.
Proprio la Linke completa lo scenario dello schieramento progressista; il partito di Lafontaine perde meno del 2%, ma in termini di seggi questo costa ben tre posti al parlamento regionale.

I veri vincitori delle elezioni berlinesi sono senza alcun dubbio i Piraten, il giovane partito nato sull'onda dell'omologo svedese che fa della libertà dell'uso della rete il proprio pilastro fondante. Raccogliendo consensi soprattutto nell'are orientale della città, sottraendoli a socialdemocratici e alla sinistra, i Piraten riescono a raccogliere quasi il 9% e a conquistare 15 consiglieri.
Se altrove nella Germania sono i Grünen a rosicchiare voti agli alleati socialdemocratici, nelle grandi città - come dimostrano Berlin e Hamburg - si sta già affacciando il movimento del futuro; dopo l'ecologismo degli anni '70 si affaccia ora un movimento nuovo, che vive nella rete e della rete e che senza alcun dubbio potrà dire la propria nelle elezioni future.
Il fatto che i Piraten raccolgano consensi soprattutto nel campo progressista dell'elettorato lascia presagire un futuro simile a quello dei Grünen, consacrati proprio quest'anno come vero partito di massa dalla vittoria in Baden-Württemberg. Anziché tentare di raccogliersi in un partito omnicomprensivo, la sinistra tedesca pare - volontariamente o meno - orientata alla formazione di partiti che si potrebbero definire tematici, basati rispettivamente sul lavoro, sull'ambiente e, se l'evoluzione dei Piraten ricadrà nell'alveo dei partiti che l'hanno preceduta, su internet.
Più che frutto di strategia pare un adattamento del sistema dei partiti tedeschi ai mutamenti della società, pur nella regolazione di una legge elettorale che punisce in maniera severa l'eccessiva frammentazione del panorama politico.

Composizione del parlamento regionale di
Berlin dopo le elezioni amministrative 2011

Il parlamento regionale di Berlino conta 152 seggi, quindi la maggioranza assoluta per governare è di 77 voti. Da un punto di vista matematico tale combinazione può essere raggiunta con i seguenti raggruppamenti minimi:
  • SPD + CDU: 87 seggi
  • SPD + Grünen: 78 seggi
  • SPD + Linke + Piraten: 83 seggi
  • CDU + Grünen + Linke: 89 seggi
  • CDU + Grünen + Piraten: 84 seggi

Alcune di queste combinazioni paiono inverosimili dal punto di vista politico - CDU e Linke alleate - o non rispecchiano le attuali inclinazioni delle formazioni politiche - le combinazioni che comprendono i Piraten, attualmente non disposti ad allearsi né a destra né a sinistra.
Restano quindi solo due possibili opzioni: la Große Koalition SPD-CDU ed un classico rosso-verde, che però sarebbe al di sopra di una sola unità rispetto alla maggioranza minima per governare.

La scelta, in realtà, non pare eccessivamente rilevante. Il land di Berlino si trova attualmente all'opposizione nel Bundesrat, il Senato Federale della Germania. In caso di Große Koalition la regione passerebbe tra le formazioni neutrali, facendo svanire l'ipotesi di una maggioranza assoluta del centrosinistra in quel ramo del parlamento tedesco.
In realtà, una volta sottratto il controllo del Bundesrat alla Merkel, le politiche della SPD e dei suoi alleati si sono sempre più basate sulla governabilità dei land vinti più che sulla contrapposizione frontale con le forze di centrodestra.

Proprio in una delle città più di sinistra della Germania Angela Merkel riesce quindi a cogliere qualche nota positiva in un anno elettoralmente disastroso: il popolo tedesco non pare avere intenzione di voltare le spalle all'Euro, e ha premiato il partito della Cancelliera rispetto al suo più rigido alleato. La contestuale perdita di voti della SPD assottiglia il margine del centrosinistra nella regione della capitale, permettendo alla CDU di vedere queste elezioni come un bicchiere mezzo pieno.
Ma la vera novità di queste elezioni sono i Piraten, forse i soli a saper offrire un sogno ed un linguaggio che i giovani possono apprezzare e comprendere. I vecchi partiti sono avvisati.

venerdì 16 settembre 2011

L'Italia vista da Francoforte

L'ex membro tedesco dell'Executive Board della BCE Jürgen Stark

Il 9 settembre 2011 la BCE aveva rilasciato un comunicato stampa contenente la notizia ufficiale delle dimissioni del membro tedesco dell'Executive Board and Governing Council of the European Central Bank, Jürgen Stark.
L'Executive Board è l'organo responsabile della politica monetaria della Banca Centrale Europea, formato da un presidente, un vicepresidente ed altri quattro membri esecutivi espressioni delle quattro maggiori economie dell'Eurozona (nell'ordine Germania, Francia, Italia e Spagna) e maggiori allocatori di capitale della banca (18,9373% Germania, 14,2212% Francia, 12,4966% Italia e 8,3040% Spagna al 01/01/2011) e due rappresentanti delle altre nazioni, a rotazione.

Il comunicato stampa in cui si indicavano come personali le ragioni delle dimissioni di Stark si era rivelato necessario dopo che la notizia era giunta in via non ufficiale all'attenzione dell'opinione pubblica, facendo letteralmente impazzire le Borse con lo scenario di una BCE spaccata sulla politica da adottare per affrontare la crisi economica e finanziaria che partendo dalla Grecia ha via via contagiato diverse economie nazionali del continente, fino ad arrivare ad Italia e Spagna.

Questo articolo pubblicato sul quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung mostra tuttavia una visione diversa, che rimuove la foglia di fico messa dalla BCE per calmare i mercati e svela pienamente le contrapposte correnti che dilaniano la massima istituzione monetaria europea, forse l'unica istituzione UE dotata di un vero e tangibile potere sulle scelte politiche degli Stati membri.

Da più parti si sono in realtà già esaminati gli effetti finanziari delle dimissioni di Stark sulla stabilità dei Paesi maggiormente a rischio, e su come l'esponente tedesco della BCE non potesse essere inconsapevole delle conseguenze del suo gesto senza precedenti nella pur breve storia dell'istituzione.
L'articolo del FAZ, contrariamente a gran parte di quanto apparso sulla stampa italiana, affronta invece senza pudori il tema del risiko che si gioca nella Banca Centrale Europea e getta una luce sul modo in cui gli altri Stati dell'area Euro vivono l'attuale crisi dei cosiddetti PIIGS.

Con un "grazie" al finanziamento statale non autorizzato, il governo Berlusconi ha ammorbidito la sua austerità.

I fronti del nord e del sud sono uno di fronte all'altro. I rappresentanti del nord, orientati alla stabilità, vogliono tenere la spesa dei peccatori del debito sotto controllo. I rappresentanti sudisti vogliono il fallimento della politica di bilancio. L'opposizione della Bundesbank e della Banca centrale olandese sono state spazzate via. Poiché il numero di paesi economicamente potenti si restringe e le fila dei peccatori debito crescono, il Sud si aggiudica i voti, e il Nord paga.

Il prossimo presidente della BCE, Mario Draghi, è italiano, il vicepresidente del Portogallo. Come si può fermare questo twin tip di acquistare titoli di Stato da Italia e Portogallo? Il paese più forte economicamente dovrebbe essere rappresentato da due voti nella BCE e la Bundesbank non può essere isolata all'interno del Consiglio.

Queste sono le parole che compaiono nell'articolo, questi i toni degli esponenti del rigore monetario della Bundesbank, questo il modo in cui vedono la BCE dalla Bundesbank.
Non devono stupire i toni - che ricordano indubbiamente e ironicamente quelli usati dalla Lega degli origini verso i "terroni" o da quella di oggi verso gli extracomunitari - che i tedeschi usano nei confronti nostri e degli altri Paesi a rischio: l'acquisto dei titoli di stato italianiu, spagnoli, irlandesi, greci e portoghesi viene finanziato dalle economie più stabili, ed in primis proprio la Germania.
Un simile acquisto viene visto, erroneamente dal punto di vista formale ma non senza torti da quello sostanziale, come un vero e proprio aiuto di stato, un espediente utilizzato per non intraprendere le riforme necessarie al contenimento della spesa vivendo alle spalle dei membri più virtuosi della UE.
I tedeschi vedono nela BCE l'esistenza di due blocchi contrapposti, quello dei Paesi virtuosi e quello dei Paesi indebitati, con i primi in costante riduzione di numero a causa dei contagi della crisi finanziaria; la politica della BCE risulta quindi sempre più in mano agli Stati indebitati, che la utilizzano per scaricare il proprio debito sulle spalle degli Stati con i conti in ordine.
E se fino ad ora alla presidenza della BCE vi erano stati esponenti della linea del rigore, prima l'olandese Duisemberg (1998 - 2002) e poi il francese Trichet (2003 - 2010), da ottobre 2011 siederà a capo della Banca Centrale l'italiano Mario Draghi, per giunta con un vicepresidente portoghese: i massimi vertici economici europei in mano a due esponenti dei PIIGS. Sono molti e profondi i dubbi che i tedeschi si pongono sull'indirizzo che Draghi e Constâncio daranno alla BCE.
Le recenti notizie di immissione di liquidità da parte delle principali banche nazionali del mondo, dall'America al Giappone, e di una prossima possibile riduzione dei tassi di interesse nell'Eurozona mostrano in effetti come i timori dei tedeschi non siano del tutto infondati e di come la politica monetaria della BCE sia sempre più lontana dai bisogni e dalle esigenze di Berlino.

La sensazione che emerge dalla lettura dell'articolo del FAZ è in generale quella di una Germania irritata non tanto - o comunque non solo - per il danno economico che le azioni passate ed in certi casi presenti dei PIIGS apportano all'Euro e alla UE in generale, ma per motivazioni che si possono definire "di pancia": la rabbia tedesca - ed è chiaro che il tema è corresponsabile delle sconfitte in serie di Angela Merkel e della sua politica filoeuropeista alle elezioni regionali tenutesi nel corso del 2011 - è rivolta verso "gli approfittatori", gli Stati che pagano politiche di mantenimento di privilegi, sprecone e spenderecce con il proprio debito, debito che con il controllo della BCE ricadrebbe poi su tutta l'Unione Monetaria ed in prima fila sulla Germania.
Il senso di frustrazione della Germania è del tutto comprensibile, e proprio per questo le uscite di alcuni esponenti politici italiani appaiono non solo fuori luogo, ma estremamente pericolose per il nostro Paese.

Credo che insisteremo perché la Bce continui la sua politica molto saggia tesa a supportare gli sforzi degli Stati come Italia e Spagna.

L'affermazione, riportata dall'agenzia di stampa Adnkronos questo 3 settembre, è del Ministro degli Esteri, Franco Frattini (PdL).
L'arroganza e la furberia dell'affermazione, pur se contornata nel discorso del Ministro da richiami ai "fatti" che il Governo avrebbe messo in campo con la manovra economica, sono del tutto evidenti, e non fanno che gettare benzina sul fuoco di coloro che vedono i PIIGS come Stati che vogliono vivere sulle spalle delle economie solide, arrivando alla lunga a contagiarle e deprimerle.

Così come i rapporti di fiducia e credibilità sono - salvo casi di attacchi speculativi - la base della stabilità in Borsa di società e Stati, allo stesso modo devono essere coltivati i rapporti tra i partner della UE. La differenza tra i casi di Italia e Spagna, con la seconda che ha recentemente superato in affidabilità la prima dopo diversi anni in cui il nostro Paese aveva uno spread inferiore a quello iberico, è eclatante: indipendentemente dai contenuti delle manovre approvate dai due Stati, i percorsi che hanno portato all'approvazione (rapida e condivisa quella spagnola, rimaneggiata mille volte quella italiana) danno adeguatamente l'idea dell'affidabilità delle compagini governative; unire, come fanno certi esponenti politici italiani, il danno alla beffa è qualcosa che non ci possiamo proprio permettere.

lunedì 12 settembre 2011

Radiografia della Legge Levi

Ricardo Franco Levi (PD)

Il 27 luglio 2011 è stato approvata in via definitiva dopo un doppio iter in Camera e Senato la Legge 128/2011, a firma del deputato PD Ricardo Franco Levi, intitolata Nuova disciplina del prezzo dei libri.
L'entrata in vigore non è stata tuttavia immediata: secondo quanto recita l'art. 3 comma 1, i suoi effetti hanno iniziato a farsi sentire solo dal 1 settembre.

Il corpo della legge è contenuto nell'art. 2:

Art. 2 - Disciplina del prezzo dei libri
1. Il prezzo al consumatore finale dei libri venduti sul territorio nazionale è liberamente fissato dall'editore o dall'importatore ed è da questo apposto, comprensivo di imposta sul valore aggiunto, su ciascun esemplare o su apposito allegato.
2. È consentita la vendita dei libri ai consumatori finali, da chiunque e con qualsiasi modalità effettuata, compresa la vendita per corrispondenza anche nel caso in cui abbia luogo mediante attività di commercio elettronico, con uno sconto fino ad una percentuale massima del 15 per cento sul prezzo fissato ai sensi del comma 1.
3. Ad esclusione del mese di dicembre, agli editori è consentita la possibilità di realizzare campagne promozionali distinte tra loro, non reiterabili nel corso dell'anno solare e di durata non superiore a un mese, con sconti sul prezzo fissato ai sensi del comma 1 che eccedano il limite indicato al comma 2 purchè non superiori a un quarto del prezzo fissato ai sensi del predetto comma 1. È comunque fatta salva la facoltà dei venditori al dettaglio, che devono in ogni caso essere informati e messi in grado di partecipare alle medesime condizioni, di non aderire a tali campagne promozionali.
4. La vendita di libri ai consumatori finali è consentita con sconti fino ad una percentuale massima del 20 per cento sul prezzo fissato ai sensi del comma 1:
a) in occasione di manifestazioni di particolare rilevanza internazionale, nazionale, regionale e locale, ai sensi degli articoli 40 e 41 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112;
b) in favore di organizzazioni non lucrative di utilità sociale, centri di formazione legalmente riconosciuti, istituzioni o centri con finalità scientifiche o di ricerca, biblioteche, archivi e musei pubblici, istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, educative e università.
5. I commi 1 e 2 non si applicano per i seguenti prodotti:
a) libri per bibliofili, intesi come quelli pubblicati a tiratura limitata per un ambito ristretto e di elevata qualità formale e tipografica;
b) libri d'arte, intesi come quelli stampati, anche parzialmente, con metodi artigianali per la riproduzione delle opere artistiche, quelli con illustrazioni eseguite direttamente a mano e quelli che sono rilegati in forma artigianale;
c) libri antichi e di edizioni esaurite;
d) libri usati;
e) libri posti fuori catalogo dall'editore;
f) libri pubblicati da almeno venti mesi e dopo che siano trascorsi almeno sei mesi dall'ultimo acquisto effettuato dalla libreria o da altro venditore al dettaglio;
g) edizioni destinate in via prioritaria ad essere cedute nell'ambito di rapporti associativi.
6. Il prezzo complessivo di collane, collezioni complete, grandi opere, fissato in via preventiva ai sensi del comma 1, può essere diverso dalla somma dei prezzi dei singoli volumi che le compongono.
7. Alla vendita dei libri non si applicano le norme in materia di vendite promozionali, di saldi di fine stagione e di disciplina del settore della distribuzione commerciale di cui ai commi 1, lettere e) e f), 3 e 4 dell'articolo 3 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.
8. La vendita di libri, effettuata in difformità dalle disposizioni del presente articolo, comporta l'applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 22, comma 3, e 29, commi 2 e 3, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114.
9. Il comune vigila sul rispetto delle disposizioni del presente articolo e provvede all'accertamento e all'irrogazione delle sanzioni previste al comma 8; i relativi proventi sono attribuiti al comune nel quale le violazioni hanno avuto luogo.

La nuova legge, quindi, impedisce sconti superiori al 15% sul prezzo di copertina (20% in determinate occasioni) sulla maggior parte dei libri sul mercato, togliendo di fatto ai rivenditori forse la principale arma di mercato che al momento hanno.
In realtà, nell'art. 3, è previsto un monitoraggio sui dati di vendita dei libri da tenersi dopo un anno dall'approvazione della legge in modo da poterne valutare gli effetti.

La nuova legge ha scatenato reazioni diametralmente opposte: esultano i piccoli editori e librai, non in grado di affrontare economicamente la concorrenza delle grandi case editrici e delle grosse catene di distribuzione, mentre sono i consumatori in prima linea ad opporsi ad un provvedimento, affermano, ridimensiona le capacità di accesso alla cultura.

Levi è intervenuto con una lettera ad una delle istituzioni in prima linea contro la legge, l'Istituto Bruno Leoni, in cui rivendica la bontà del provvedimento.

In primo luogo viene fatto notare come i limiti imposti dalla legge (15% e 20%) non siano inferiori rispetto a quanto si può abitualmente trovare nelle librerie. Lo sconto "standard" sui libri è infatti del 10%, quindi la legge da questo punto di vista non appare punitiva. In realtà le parole di Levi possono essere vere in situazioni normali, ma - essendo una legge valida in ogni momento - regolano anche situazioni che normali non possono essere: l'ultimo giorno di una fiera una bancarella non può scontare i propri libri del 50% per tentare di piazzare tutti gli invenduti, ma è obbligata a mantenere al massimo il 15%. E che dire soprattutto dei canali di distribuzione telematici? Poiché il prezzo di copertina è fissato dall'editore, spesso il distributore - soprattutto se piccolo e non dispone di adeguati locali e attrezzature - riesce a limare margine e quote di mercato proponendo la vendita on-line.
Perché limitare gli sconti in queste situazioni? Da questo punto di vista la Legge Levi appare incapace di cogliere le mille sfumature della produzione e della distribuzione dei libri, imponendo un appiattimento sicuramente deleterio.

Un altro punto sollevato da Levi riguarda le corde a disposizione degli editori, ovvero sconti fino al 25%, nuovamente valori molto simili a quelli attuali... se però non si contano ancora una volta le distribuzioni on-line!
D'altro canto rischia di passare inosservata una postilla riguardante gli sconti degli editori, ovvero che tali sconti devono essere equivalenti per tutti i canali di distribuzione. Nel panorava italiano, in cui gli editori sono a loro volta strettamente interconnessi con la grande distribuzione e privilegiare le librerie di proprietà diventa estremamente facile, si tratta di un paletto non da poco.

Levi insiste successivamente sul fatto che la rincorsa agli sconti ha come effetto la risalita dei prezzi di copertina - in quanto gli editori devono essere in grado di mantenere il loro margine di profitto - penalizzando ulteriormente chi non è in grado di applicare poi tali sconti; la legge, invece consente alle case editrici di farsi concorrenza proprio attraverso il prezzo di copertina.
Dal punto di vista teorico il ragionamento del deputato democratico appare scorretto per il fatto che in ogni caso viene rimossa una leva commerciale: ora si può agire su prezzo di copertina e sconti, domani solo sul prezzo di copertina; in realtà i fatti tendono a mostrare come in realtà la guerra si giochi proprio solo sugli sconti, ovvero su uno strumento che di fatto penalizza la piccola editoria e la piccola distribuzione.

Chi tutela e chi penalizza quindi questa legge?
Sicuramente sono colpite le biblioteche: anche se per i libri acquistati da tali enti si prefigura la casistica di sconto del 20%, si tratta di un valore molto più basso dell'attuale. Non è chiaro perché la legge debba andare a vincolare enti di diffusione gratuita della lettura e della cultura come le biblioteche a maggiori oneri finanziari: in tempi di crisi come quelli attuali puntare sulle biblioteche come strumenti per aiutare i lettori sembrerebbe un'ovvietà.
La penalizzazione dei normali consumatori è invece un aspetto molto più delicato. Il danno economico si può quantificare, più che nell'acquisto di tutti i giorni, nella mancata possibilità di usufruire di vere offerte speciali, con sconti elevati, specialmente con acquisti tramite internet. Si tratta di una penalizzazione in grado di affossare il già traballante mercato editoriale italiano? Sicuramente qualche impatto è da attendersi, ma di certo non dovrebbe essere qualcosa di catastrofico.
Chi, almeno nelle intenzioni, dovrebbe risultare protetto da questa legge sono coloro che non possono permettersi simili sconti, ovvero le piccole case editrici e le piccole librerie. Nella visione del legislatore, tali piccoli enti sono una formidabile matrice di cultura, un collante che consente a nuovi autori esordienti di farsi pubblicare, che consente anche a chi non vive nelle grandi città di avere a disposizione piccole librerie, ed in generale a preservare un ambiente familiare e quasi intimo di libreria che in altri settori - basti pensare a quello discografico - è ormai quasi completamente scomparso. Levi si rifà sostanzialmente all'esperienza francese, dove una legge molto più rigida (sconti massimi del 5%) ha consentito la conservazione di un substrato di produzione e diffusione del libro di tutto rispetto, a fronte di panorami come quello inglese o belga ormai monopolio di pochi rinomati brand.

E tuttavia la Legge Levi, che pure nelle intenzioni pare essere nata con uno scopo nobile, non è e non può essere al passo con i tempi, perché difende una visione romantica del libro e della libreria che - per semplice selezione naturale - verrà inevitabilmente spazzata via dal tempo.
Coerentemente con la legislazione italiana che vede gli e-book come software e non come libri (IVA al 20% e non al 4%), i libri elettronici paiono essere rimasti fuori dalla legge.
E proprio questa dimenticanza mostra tutti i limiti non tanto della legge quanto del legislatore e della classe politica in generale, che paiono incapaci di cogliere le reali direzioni in cui si sta muovendo l'editoria. La realtà, nel bene o nel male, è che le piccole case editrici e le piccole librerie così come le conosciamo sono retaggi del passato e non hanno posto nella società di oggi e di domani. In futuro un autore potrà autopromuoversi pubblicando i propri libri e racconti su internet. In futuro una casa editrice sarà una vetrina che metterà a disposizione il proprio sito, il proprio nome ed il proprio marchio sui racconti ed i romanzi degli autori che avrà sotto contratto. In futuro non servirà più ordinare un volume in libreria così come non servirà più ordinarlo su internet, perché si potrà comodamente scaricare l'e-book desiderato sul proprio PC, tablet o e-reader.

Se la legge francese, approvata una trentina di anni fa, è stata una scelta lungimirante per la conservazione e la promozione del patrimonio librario, questa scopiazzatura italiana, più che giusta o sbagliata, appare sostanzialmente inutile.

giovedì 8 settembre 2011

IVA al 21%, ecco cosa significa

IVA, Imposta sul Valore Aggiunto

Anche se la manovra economica di questo travagliato 2011 italiano pare scritta sulla sabbia e non si possono trarre considerazioni certe fino alla sua approvazione definitiva - e forse nemmeno in quel momento - l'incremento di un punto dell'IVA è sicuramente uno dei temi che merita maggiore approfondimento, sia in termini generali sia perché costituisce una delle principali voci di entrata della versione attuale della legge.

L'IVA, acronimo per Imposta sul Valore Aggiunto, è un'imposta disciplinata dalla legge italiana con il Decreto del Presidente della Repubblica 633/1972 e a livello europeo dalla Direttiva 2006/112/EC in materia fiscale.
L'Imposta sul Valore Aggiunto si configura nel panorama fiscale come un'imposta sui consumi che va a colpire l'incremento di valore di un bene o servizio nelle sue differenti fasi di lavorazione. Dalla definizione si deduce in maniera evidente che laddove tale catena di fasi si interrompe, generalmente al consumatore finale, si individua il reale pagatore dell'imposta.

Esempio di ricarico dell'IVA

Lo schema riportato mostra un esempipo di funzionamento dell'IVA. Come si vede, per ciascun passaggio del ciclo l'importo da versare allo Stato consiste unicamente nell'aliquota sulla differenza di valore tra acquisto e vendita.
Se però si guarda alla provenienza di tutti questi soldi, si vede come ciascun anello della catena faccia di fatto pagare la propria IVA a quello successivo, fino al consumatore finale, i cui 60 € di fatto coprono i 20 € del produttore, i 16 € del primo intermediario ed i 24 € del secondo intermediario, per i quali l'IVA costituisce quindi un esborso temporaneo tra il momento della produzione o dell'acquisto e quello della vendita.

Le considerazioni che si possono trarre da questo esempio sono molteplici, soprattutto se legate all'attuale situazione economica del Paese.

L'aliquota dell'IVA è legata unicamente al prodotto; attualmente in Italia sono in vigore tre aliquote:
  • 4% (aliquota minima), prevista per i generi di prima necessità, come alimentari e stampa
  • 10% (aliquota ridotta), prevista per i servizi turistici, alcuni generi alimentari ed alcune tipologie di operazioni edilizie
  • 20% (aliquota ordinaria), prevista per tutto quanto non ricade nelle due precedenti categorie
L'aliquota IVA è quindi dipendente unicamente dal prodotto venduto o dal servizio erogato, mentre il reddito o la ricchezza di chi la deve pagare non sono considerati elementi rilevanti ai fini del calcolo dell'imposta.
L'IVA è dunque un'imposta regressiva, perché se è vero che colpisce in maniera assoluta tutti i cittadini nel medesimo modo, dal punto di vista percentuale penalizza le fasce più povere della popolazione in maniera più pesante rispetto a quelle più ricche.
L'incremento dell'IVA di un punto percentuale, in special modo sull'aliquota del 20% non legata ai beni di prima necessità, comporterà quindi con buone probabilità una non irrilevante contrazione dei consumi: seguendo il semplice ragionamento che dieci impiegati comprano dieci televisori e un dirigente ne compra uno, incidere sul potere d'acquisto dei ceti più esposti deprimerà il mercato in maniera maggiore di un'incisione sul potere d'acquisto dei ceti più abbienti.

In seconda battuta, le norme europee sull'IVA lasciano liberi i singoli Stati di imporre la propria aliquota, purché compresa tra il 15% ed il 25%.
L'incremento di un punto percentuale dell'IVA in Italia, ad aliquote invariate all'estero, renderà in generale la nostra filiera produttiva e di trasformazione meno appetibile e meno competitiva rispetto a quella di altri Stati.
Un'azienda sceglierà con meno facilità un fornitore italiano rispetto ad uno straniero, se dovrà corrispondere una quota di IVA maggiore; al tempo stesso un'azienda italiana avrà maggiori difficoltà a produrre un prezzo competitivo rispetto ad una straniera, se all'interno di quel prezzo sarà contenuto un punto percentuale di IVA in più.

Proprio per questi effetti depressivi sulla capacità di acquisto dei consumatori e per la perdita di competitività delle imprese rischia di venir meno - sia pure in maniera indiretta - il caposaldo di un'imposta della tipologia dell'IVA, ovvero la sua trasparenza per le aziende.
Un'azienda, di fatto, recupera l'IVA quando vende un prodotto o eroga un servizio; se, per via della contrazione dei consumi, prodotti e servizi restano invenduti l'azienda si trasforma di fatto nel consumatore finale, e come tale pagatore finale dell'IVA.
Il rallentamento del ciclo economico si tradurrebbe quindi in un onere per le imprese anche da questo punto di vista, con ulteriore effetto depressivo sull'azienda medesima.

Infine, è da tenere in conto il fenomeno dell'evasione e dell'elusione fiscale. Dal momento che l'IVA viene applicata al pagamento di una prestazione, e che tali prestazioni vengono genericamente tracciate unicamente tramite scontrini, ricevute e fatture, ne consegue che questa imposta è estremamente facile da evadere. Un incremento dell'aliquota senza adeguate contromisure dal punto di vista della lotta all'evasione rischia quindi di trasformarsi in un incentivo verso l'evasione. Poiché tuttavia l'IVA generalmente si evade nell'ambito di un'evasione della tassa sul reddito (IRPEF, IRES o IRAP), il danno provocato all'erario ne risulta enormemente amplificato.

Se dunque l'incremento dell'aliquota IVA dal 20% al 21% non pare avere effetti benefici per l'economia del Paese, quali sono i razionali che hanno voluto tale provvedimento nella legge finanziaria?
La crisi italiana appare scomponibile in due fattori: il primo riguarda naturalmente la parte prettamente finanziaria, lo spread, i tassi d'interesse e il nostro debito a livelli apocalittici. A questa difficile situazione finanziaria si somma però una pesante crisi dell'economia reale, caratterizzata da stagnazione dei consumi, difficoltà di accesso al credito da parte delle aziende, famiglie che vedono ridursi progressivamente il potere d'acquisto a causa dei blocchi agli scatti dei contratti.
Una manovra destinata a fare cassa immediata come quella dell'innalzamento dell'aliquota IVA fa fronte - per un po', almeno - al primo aspetto della crisi, ma non risolve e anzi aggrava il secondo.

Potevano tuttavia esserci alternative? Misure in grado di fare cassa senza incidere sui consumi?
Un primo ragionamento può venire da articoli come quelli apparsi su La Repubblica o Il Tempo sulle differenze di reddito tra operai e dirigenti: differenze molto maggiori di quelle legate alla tassazione. Adeguare quindi la proporzione tra i regimi fiscali a quella sui redditi sarebbe una prima operazione per colpire grandi concentrazioni di reddito ricavando discrete quantità di introiti colpendo una fascia pressoché minima della popolazione. In parte il governo ha seguito questa strada con il contributo di solidarietà, una misura però troppo timida per essere qualcosa di più che mera propaganda.
In secondo luogo colpire l'accumulo di capitale, favorendone la mobilità e l'investimento: anche se il termine patrimoniale suona brutto ed evoca l'immagine di uno Stato vampiro che succhia al cittadino contribuente quanto questi ha messo via in una vita di risparmi, i patrimoni immobiliari di grandi società, banche e assicurazioni - per non dimenticare la Chiesa - potrebbero essere una fonte non indifferente di introito per lo Stato, se tenuti bloccati... oppure potrebbero dare respiro ad esempio ad un mercato immobiliare che non vuole saperne di venire incontro ai consumatori in caso di loro ingresso sul mercato, in entrambi i casi con vantaggi per l'economia.
Infine, considerata l'origine finanziaria della crisi, un intervento fiscale legato proprio alle operazioni di mercato avrebbe avuto il duplice effetto di rendere meno convenienti gli attacchi speculativi e l'impatto mediatico di una sorta di giustizia sociale.
Il tutto senza citare gli interventi sull'evasione e sull'elusione fiscale, che difficilmente vengono presi in considerazione dagli organismi internazionali in termini di cassa in quanto non possono garantire rientri certi.

Come si vede, quindi, alternative possibili e preferibili ce n'erano, ma il Governo italiano ha preferito la strada dell'aumento dell'IVA.
È plausibile ritenere che siano state ragioni meno legate alla salute del Paese quelle che hanno mosso burocrati e politici del Ministero, ragioni forse più legate a strategie elettorali e al tentativo di non scontentare segmenti di popolazione storicamente e socialmente amici alle forze di maggioranza.
Una politica ancora una volta quindi poco lungimirante, interessata al potere e alla conservazione del potere più che alla reale ripresa dell'economia e alla stabilità dei conti dello Stato sul lungo termine. Una politica che però un'Italia ormai schiacciata da interessi sul debito troppo elevati e un'economia stagnante non si può proprio permettere.

lunedì 5 settembre 2011

La Merkel perde ancora

Erwin Sellering (SPD), riconfermato alla guida
del Mecklenburg-Vorpommen

L'appuntamento elettorale del Mecklenburg-Vorpommern, sesta elezione regionale in Germania in questo 2011, conferma Erwin Sellering (SPD) alla guida della regione, regala l'ennesima sconfitta alla coalizione di Angela Merkel e alla sua politica berlinese.
Malgrado un'elezione regionale sia generalmente vinta o persa sulla base di tematiche locali, è indubbio che i giudizi del popolo tedesco sulla gestione della crisi economica mondiale ed il ruolo della Germania all'interno dell'unione monetaria europea hanno giocato una parte determinante nel sancire la disfatta elettorale del centrodestra tedesco.

Esito delle elezioni amministrative 2011
nel land del Mecklenburg-Vorpommen

Distribuzione dei voti alle elezioni amministrative 2011
nel land del Mecklenburg-Vorpommen

Il dato dell'affluenza si presenta fortemente negativo, attestandosi al 51,2% contro il 59,1% delle precedenti consultazioni. Si tratta del calo più corposo di questa tornata 2011, e sicuramente un segnale negativo per l'intero quadro politico del land e del Paese, segno di uno smarrimento che evidenzia che se la linea politica della Merkel non piace ai tedeschi, non vi sono particolari segni di fiducia verso le forze di centrosinistra attualmente all'opposizione.

L'esito del voto procede nel solco delle precedenti elezioni, evidenziando le stesse tematiche forte già riscontrate negli altri appuntamenti dell'anno: arretramento del centrodestra, avanzata del centrosinistra, liberali fuori dal parlamento regionale, ecologisti in crescita; le specificità del land derivano dalle proporzioni con cui si sono verificati questi fenomeni.

La coalizione di governo CDU-FDP lascia sul campo oltre il 12%, passando da poco meno del 39% del 2006 ad appena il 26%. Sono poco meno di sei punti quelli persi dalla CDU, che se nelle precedenti consultazioni tallonava la SPD per il posto di primo partito della regione adesso si vede affondata ad un valore inferiore alla soglia del 25%: di gran lunga il peggior risultato per i democristiani da quando si tengono le elezioni regionali in questo land della ex Germania orientale.
Peggio ancora riescono a fare i liberali della FDP, che perdono quasi il 7% e scendono dal 9,5% al 2,8%; si ritrovano così al di sotto della soglia minima del 5% necessaria per avere rappresentanza al Parlamento regionale. Per questa formazione si tratta del risultato peggiore dal 1998.
Dal punto di vista dei seggi il bilancio è ancora più pesante: si passa infatti da 29 (22 CDU e 7 FDP) ad appena 18 (tutti della CDU), con un calo netto di oltre il 15%.

A dimostrazione che sono tutte le forze di destra a perdere, è particolarmente rilevante il caso del partito estremista NPD, di chiara ispirazione neonazista. Seppure infatti questa formazione riesca a inviare esponenti al parlamento regionale per la seconda volta consecutiva, i suoi consensi appaiono in calo di oltre un punto percentuale, dal 7,3% al 6,0%, differenza che costa un seggio - da 7 a 6 - nel parlamento regionale.

Tutte le forze di sinistra invece esultano; pur arretrando infatti in termini di numero assoluto di consensi, in termini percentuali SPD, Linke e Grünen mostrano tutti un segno positivo rispetto al 2006, e nel caso delle due formazioni di centrosinistra, socialdemocratici ed ecologisti, si tratta di incrementi superiori ai cinque punti percentuali.
La SPD si conferma primo partito del land per la quarta elezione consecutiva, ed avrà quindi diritto ad esprimere ancora una volta il presidente della regione, nella persona dell'uscente Sellering. Il partito perde circa 8.000 voti rispetto al 2006, ma questa contrazione si traduce a livello percentuale in un incremento del 5,5%. Il contestuale calo della CDU porta la differenza tra le due formazioni ad oltre il 12%. La SPD incrementa la propria delegazione al parlamento regionale di 5 unità, passando da 23 a 28 seggi.
I Grünen entrano per la prima volta nel parlamento regionale superando la soglia del 5%, superano NPD e FDP diventando quarta forza politica del land: con un incremento di circa 5 punti percentuale sfiorano l'8,4% e conquistano 6 seggi.
Anche la Linke, la formazione di estrema sinistra, appare in crescita, anche se in misura più contenuta rispetto alle altre formazioni: passa infatti dal 16,8% al 18,4%, incrementando anch'essa la propria delegazione in parlamento, da 13 a 14 seggi.

Separando quindi tra destra e sinistra in maniera forse poco corretta ma indicativa delle tendenze generali dell'elettorato si osserva come le forze conservatrici passano dal 45,67% e dai 35 seggi del 2006 al 31,84% e ai 23 seggi del 2011; quelle progressiste passano dal 50,39% e dai 36 seggi del 2006 al 62,56% e ai 48 seggi del 2011.
Si tratta di uno spostamento notevole dell'esito del voto, determinato principalmente - ma non in maniera esclusiva - dalla progressiva disaffezione dell'elettorato moderato per la Merkel e soprattutto per i suoi alleati liberali.

Composizione del parlamento regionale del
Mecklenburg-Vorpommen dopo le elezioni amministrative 2011

Se la situazione in termini di voti non lascia adito a dubbi, il numero di seggi conseguiti da ciascuna formazione rende invece la situazione ancora piuttosto aperta.
Il numero totale di seggi nella coalizione è 71, la maggioranza necessaria a governare è 36.
Le possibili combinazioni sono quindi:
  • SPD + CDU (46 seggi)
  • SPD + Linke (42 seggi)
  • CDU + Linke + Grünen (38 seggi)
  • CDU + Linke + NPD (37 seggi)

Come si vede, quindi, è impossibile in questo land l'edizione della coalizione rosso-verde che costituisce il centrosinistra classico in Germania. Derubricando la terza e la quarta ipotesi a mere notazioni matematiche senza alcun riscontro politico, le uniche due opzioni che restano in gioco sono una riedizione della Große Koalition rosso-nera che ha governato il land negli ultimi cinque anni oppure un governo rosso-rosso di SPD e Linke, eventualmente con l'ingresso dei Grünen come terza forza non influente.

L'attuale composizione del Bundesrat vede 25 membri favorevoli al governo, 30 contrari e 14 neutrali, tra cui i tre eletti nel Mecklenburg-Vorpommern. In caso di Große Koalition i numeri resteranno invariati, mentre se la SPD sceglierà l'alleanza con la Linke i rapporti di forza saranno 25 - 33 - 11, con l'opposizione a quel punto ad un passo dal controllo della maggioranza assoluta del Bundesrat.
In realtà l'obiettivo non pare così determinante da raggiungere, quantomeno non al punto da sopire le vecchie ruggini che ci sono tra i due partiti di sinistra: la Große Koalition rosso-nera pare quindi al momento la soluzione più probabile.

Dopo sei votazioni il governo federale tedesco porta a casa la sesta batosta elettorale in termini di consensi, ed un secondo - non certo ma probabile - pareggio dopo quello in Sachser-Anhalt e quattro sconfitte tra cui quella bruciante in Baden-Württemberg.
L'appuntamento tra due settimane nella capitale lascia presagire una sfida tutta a sinistra, con democristiani e liberali alla finestra a fare da spettatori: non certo un bel segnale per Angela Merkel.
È infatti indubbio che la questione della crisi economica europea e gli attacchi ai debiti sovrani sia il filo conduttore della serie di sconfitte subite dalla cancelliera: la sua politica, oscillante tra rigore e solidarietà, tra difesa degli interessi della Germania e necessità di salvaguardia dell'euro, si è dimostrata incapace di appassionare e convincere la popolazione tedesca.
È quindi più che plausibile attendersi un cambio di rotta, e formule quali le dimissioni o una sostituzioni della FDP con i Grünen non paiono più un tabu. E intanto le borse e l'Europa tutta guardano a Berlino con il fiato sospeso...

giovedì 1 settembre 2011

Dietrologie sulla lettera di Penati al PD

Filippo Luigi Penati (PD)

Il terremoto scatenato dalla vicenda Penati rischia di essere - molto più che il caso Tedesco, addirittura più dell'ormai storico "abbiamo una banca" di Fassino nel 2005 - una ferita mortale ad uno dei capisaldi della politica identitaria del Partito Democratico, la pretesa di diversità morale rispetto al Popolo della Libertà dei Milanese, dei Dell'Utri e dei Previti.
Filippo Luigi Penati non è solo una delle figure più in vista del PD - ex sindaco di Sesto San Giovanni, ex Presidente della Provincia di Milano - ma occupa ruoli di rilievo nell'organigramma del partito, essendo stato, come si legge nel suo sito, coordinatore della mozione Bersani in occasione delle elezioni primarie 2009 e successivamente responsabile della segreteria politica del nuovo segretario. Proprio la vicinanza a Pierluigi Bersani è un altro fattore di allarme ed inquietudine: se i reati contestati a Penati fossero confermati da un processo e da una sentenza di colpevolezza, sarebbe infatti estremamente difficile pensare che il segretario nazionale del partito possa essere a sua volta così estraneo ai fatti.

La lettera che Penati ha scritto alla direzione provinciale di Milano del PD, in cui il politico lombardo afferma di non volersi avvalere della prescrizione in caso di rinvio a giudizio, è quindi da considerarsi una vera e propria boccata d'ossigeno per l'immagine del partito; lo stesso Bersani ha già applaudito alla scelta di Penati, come riporta l'agenzia di stampa TMNews: [Penati] ha fatto tutti i passi indietro che poteva fare, si legge infatti nelle dichiarazioni del segretario PD, che approfitta dell'occasione anche per ribattere sul tema della diversità tra destra e sinistra sul tema della questione morale: Spero che prima o poi quanlcuno di questi commentatori che seguano la vicenda chiedano anche a Berlusconi, Verdini, Scajola, Milanese... come si stanno comportando? Stanno facendo dei passi indietro? Credo che noi abbiamo un altro modo.

La lettera di Penati assolve dunque allo scopo di vetrina per il rilancio del tema della questione morale da parte del Partito Democratico, in un momento in cui il caso dell'ex presidente della provincia di Milano aveva letteralmente oscurato - dal punto di vista mediatico - analoghe vicende giudiziarie in campo pidiellino, vedi i casi Scajola e Milanese; in seconda battuta, la concomitanza temporale delle indagini su Penati con quelle degli esponenti del PdL consente di mettere in evidenza e comparazione le differenti reazioni dei politici indagati, e in questo contesto la lettera costituisce quasi una sfida a tutti gli indagati del PdL a fare lo stesso; infine le dichiarazioni rese da Penati placano almeno in parte i malumori di una base sempre più scoraggiata e tacitano i commenti dell'area più intransigente del panorama politico del Paese ascrivibile al MoVimento 5 Stelle o a Il Fatto Quotidiano relativi al classico mantra del "pidimenoelle". Un colpo mediatico non indifferente, quindi, anche se poi dovrà essere messo alla prova dei fatti.

Tuttavia, la lettera di Penati non è un semplice pro-forma, e non assolve al solo scopo di togliere il PD dalle strette in cui si trovava e ridare linfa alle sue argomentazioni sul tema della questione morale. L'ex presidente della provincia di Milano nel suo intervento racconta infatti anche la propria verità, e fa emergere alcuni aspetti che fanno pensare, se non all'usurato concetto di giustizia ad orologeria, quantomeno ad angoli ancora oscuri nella vicenda.

Tag cloud della lettera di Penati

Il tag cloud della lettera mette in evidenza i termini maggiormente utilizzati da Penati, e se è vero che la retorica - gli "anni" passati da amministratore, il richiamo alla "politica" e ai "fatti" - pare dominare il messaggio, le parole legate alla sua avventura giudiziaria non sono certo assenti dall'immagine: "Sesto", "Pasini", "indagine", "sindaco", "Falck" e "processo" evidenziamo come il testo di Penati non possa essere liquidato come mera retorica e meriti invece un'analisi dal punto di vista del contenuto.

La prima metà della lettera consiste in una dichiarazione di valori da parte dell'esponente PD ed in una breve cronistoria della sua carriera politica e amministrativa; da un lato c'è naturalmente l'escamotage psicologico di generare fiducia nel lettore, dall'altro si tratta invece di una contestualizzazione necessaria per affrontare il tema giudiziario, relativo agli anni in cui Penati era sindaco di Sesto San Giovanni.
Nella seconda parte della lettera Penati si dedica invece ad una sorta di difesa nel merito dalle accuse che gli sono state rivolte, evidenziando di fatto quali saranno, nel caso si arrivasse a processo, le proprie linee-guida, ovvero le incongruenze temporali dei fatti su cui sarebbero state pagate le tangenti.
Ma la lettera contiene anche una serie di dettagli che, magari irrilevanti in un'aula di tribunale, non possono non suscitare interrogativi: perché Pasini ha aspettato oltre dieci anni a denunciare l'illecito di cui sarebbe stato vittima? È un caso che lo abbia fatto proprio ai limiti della prescrizione (prescrizione che, anche per il reato originale di concussione, non sarebbe stata comunque lontana)? È un caso che lo stesso Pasini sia stato candidato sindaco a Sesto San Giovanni per il centrodestra?
Infine, Penati risponde alle pesanti critiche di lo vede come un altro prescritto eccellente, facendo passare quello che è il messaggio più forte della lettera: il rifiuto della prescrizione, se mai si arriverà ad un processo. A tale proposito riporta un precedente processo alla fine degli anni '90 in cui venne assolto, ma l'esempio, pur lodevole, non è corretto in quanto non era ipotizzabile in quel caso l'utilizzo della prescrizione.

La lettera di Penati è olio sul mare in tempesta in cui si agitava il PD negli ultimi giorni, e di fatto ha avuto il potere di placare e sedare le polemiche più vigorose; ma l'elettorato di sinistra non dimentica facilmente, e le nuove tecnologie di comunicazione sempre più spesso sono in grado di mettere i politici dinanzi alle loro affermazioni: se Filippo Penati, anche a distanza di anni, si nasconderà dietro alla prescrizione è molto facile che quell'olio che oggi calma le acque si trasformi in un incendio...
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