mercoledì 26 settembre 2012

Dati AGCom agosto 2012

Logo dell'AGCom

Che il mese di agosto costituisca un'anomalia nel panorama mediatico italiano non è certo una novità. Il mese vacanziero per eccellenza ha sempre mostrato un andamento piuttosto differente dal resto dell'anno; in particolare, negli ultimi anni, tali variazioni si sono manifestate in massima parte nella forma di un incremento del tempo offerto al centrosinistra, interpretato dai sostenitori di un controllo mediatico berlusconiano sul panorama televisivo italiano come un allentamento della sproporzione tra centrodestra e centrosinistra in occasione del periodo in cui le notizie politiche sono meno rilevanti e l'audience meno attenta.

In questo agosto 2012, tuttavia, le crescenti tensioni sull'andamento e la sostenibilità del bilancio dello Stato hanno tenuto costantemente acceso il dibattito politico, malgrado le 218 ore di informazione politica del mese di agosto 2012 secondo il consueto report pubblicato dall'AGCom siano il minimo da quando, a marzo, sono stati inseriti nel conteggio alcuni nuovi canali televisivi.

Dati AGCom agosto 2012

Come infatti emerge dalla tabella dei dati grezzi, è stato soprattutto il tempo dedicato ai partiti politici a ridursi sensibilmente, laddove quello dedicato alle istituzioni è sostanzialmente in linea con i mesi precedenti - pur distribuito diversamente.
Il dato è già di per sé indice di come, nella furia della crisi internazionale, sia a Monti e non alla politica a cui si guarda per delle risposte, lasciando pesanti interrogativi sul dopo-Monti.

Il Governo, con 65 ore complessive ed il 29% del tempo, ottiene la sua migliore prestazione tanto in termini assoluti quanto in percentuale, mentre il Presidente del Consiglio si mantiene sulle percentuali del mese precedente.
Le forze politiche appaiono tutte in calo con l'eccezione di SEL, UdC e M5S, ed è il centrodestra a sparire in maniera maggiore dal teleschermo, con un -8% per il PdL ed un -6% per la Lega Nord.

Dati AGCom agosto 2012 aggregati per
Istituzioni - Maggioranza - Opposizione

Dati AGCom 2012 aggregati per
Istituzioni - Maggioranza - Opposizione

Lo spaccato che mostra la suddivisione dei dati tra istituzioni, maggioranza e opposizione evidenzia quanto introdotto dai dati legati alle singole forze: le istituzioni superano il 60% del tempo complessivo, di gran lunga il valore più alto del 2012 con un aumento di oltre il 12% rispetto al mese precedente.
A farne le spese sono soprattutto i partiti che sostengono il Governo, che nel complesso si attestano poco al di sotto del 28%. L'opposizione, al contrario, appare solo in lieve discesa dal 12% all'11%.

A dare maggior credito al Governo sono TGCOM e SkyTG24, mentre le forze di maggioranza trovano maggiore rappresentatività su MTVFlash e TG4; l'opposizione, infine, hai i suoi riferimenti su Rainews e TG3.

Dati AGCom agosto 2012 aggregati per
area politico-culturale

Dati AGCom 2012 aggregati per
area politico-culturale

Togliendo dall'analisi il tempo istituzionale e scorporando quello politico per area, si nota come per la seconda volta nell'anno - ma per la prima in modo sostanzioso - il centrosinistra sia maggioritario negli spazi televisivi italiani, arrivando ad un 47% che sarebbe elevatissimo se non dovesse essere pesato su una parte in realtà molto minoritaria del tempo politico totale.
Vi è spazio anche per una crescita delle forze di centro e di sinistra radicale, il tutto a scapito di una destra e di un centrodestra sopiti, che collezionano quella che è di gran lunga la loro prestazione del 2012.

Esaminando lo spaccato per telegiornale, si vede come il centrosinistra abbia beneficiato di percentuali stratosferiche su Rainews e Rainews24, mentre il centrodestra ha ottenuto le sue migliori prestazioni su TG5 e SkyTG24.
La destra si è trovata maggiormente rappresentata su TGLa7 e TG3, mentre il centro moderato, infine, ha ottenuto le percentuali più elevate su TG2 e TG3.

Dati AGCom 2012 aggregati per mese

I dati agostani, proprio per la loro storica dissonanza dal resto dell'anno, difficilmente potranno essere indicativi di una tendenza a lungo periodo; sono tuttavia significativi proprio nella misura in cui si discostano dai dati del medesimo mese degli anni precedenti, evidenziando un valore nettamente sbilanciato tra politica e istituzioni laddove la ripartizione tra le varie aree politiche rispetta sostanzialmente i canoni degli ultimi anni.
Tale discrepanza nel tempo istituzionale, a fronte delle gravi minacce alla stabilità economica e finanziaria del Paese succedutesi durante l'estate, è forse la spia più evidente della reale irrilevanza di una classe politica che ormai non è nemmeno più chiamata al tentativo di risolvere i problemi del Paese che pretende di rappresentare.

venerdì 21 settembre 2012

La polpetta avvelenata di Berlusconi

Silvio Berlusconi (PdL) e Matteo Renzi (PD)

Da alcuni giorni la corsa alle primarie del centrosinistra ha un nuovo e ingombrante - pur indiretto - protagonista, nella persona dell'ex-Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Nel corso di un'intervista condotta dal direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti sulla nave Divina della MSC, infatti, Silvio Berlusconi ha infatti dichiarato:

Dall'altra parte si è verificato un fatto positivo... Renzi, che ha cominciato un giro d'Italia con degli interventi che sotto la sigla del Partito Democratico, invece portano avanti le nostre idee, esattamente le nostre idee. E questo ci fa piacere, perché se accadesse un miracolo, che cioè Renzi vincesse le primarie, e fosse lui il leader del Partito Democratico, si verificherebbe in Italia questo miracolo, che finalmente il Partito Comunista Italiano, che ha tante volte cmabiato nome ma non ha mai cambiato modo e concezione, diventerebbe un partito socialdemocratico; che è qualcosa che è avvenuto in Inghilterra, in Germania tanti anni fa e che purtroppo in Italia, invece, non è ancora avvenuto. Quindi, tanti auguri a Matteo Renzi.


Indipendentemente da quanto Renzi possa essere o meno ascrivibile all'ideologia socialdemocratica, è evidente che l'affermazione di Berlusconi non potrà non avere ripercussioni di vasta portata sulla percezione di Renzi sul cosiddetto popolo delle primarie, ed è altrettanto evidente che un esperto di comunicazione come l'ex-premier non possa non essere consapevole dell'effetto che le sue parole avrebbero prodotto.

Di primo acchito ci si ritrova di fronte ad un vero e proprio endorsement, o quantomeno ad una spassionata dichiarazione di tifo: Berlusconi si augura che vinca Renzi, per una serie di motivazioni spiegate nell'intervista. Berlusconi non sconfina - formalmente - nel campo avverso, non dichiara un appoggio diretto al sindaco di Firenze, ma si limita ad esprimere una legittima preferenza su chi vorrebbe vedere vincente alle primarie.
Silvio Berlusconi, tuttavia, non è un comune cittadino ed elettore di centrodestra: si tratta del leader de facto dello schieramento conservatore italiano, nonché possibile candidato ala Presidenza del Consiglio alle elezioni politiche del 2013, nonché, infine dell'uomo che è riuscito a spaccare ideologicamente l'Italia in due da ormai un ventennio.
Nell'ottica di questo duplice ruolo politico attivo e passivo, la preferenza per Renzi come deve essere intesa? Come la miglior persona di centrosinistra che un elettore di centrodestra possa trovarsi al Governo, o come la miglior persona che un candidato premier di centrodestra possa trovarsi di fronte in campagna elettorale?

L'appoggio di Berlusconi a Renzi, in effetti, ha molte caratteristiche della polpetta avvelenata: per un candidato alle primarie del centrosinistra parole di encomio da parte del "nemico storico" sono assolutamente deleterie, certamente non aiutano la campagna elettorale di Renzi alienandogli le simpatie di chi ora si ritrova a vederlo troppo vicino al centrodestra.

Poiché il motivo dell'augurio a Renzi raccontato nell'intervista a Sallusti non risulta quindi credibile, diventa interessante - anche ai fini della futura campagna elettorale - individuare le ragioni che si celano dietro le mosse di Berlusconi, ragioni che possono aiutare a svelarne le strategie ed evidenziarne i punti di forza e di debolezza.
Le parole di Berlusconi, espresse quindi con la consapevolezza di danneggiare Renzi presso l'elettorato storico del centrosinistra, possono rispondere ad una molteplicità di scopi, che seppure possano apparire spesso contrastanti tra loro rispondono tutte ad una medesima esigenza strategica.
È innegabile che Renzi sarebbe un avversario piuttosto pericoloso per Berlusconi in campagna elettorale: il sindaco di Firenze non solo è trent'anni più giovane del Cavaliere, ma - in un'ottica di un'affluenza alle urne in linea con i valori degli ultimi sondaggi - spostando a destra il baricentro della coalizione progressista invaderebbe il centro dello schieramento contendendo al centrodestra i voti moderati. A questo livello, quindi, non è difficile interpretare la mossa dell'ex-premier come una strategia elettorale per affossare il candidato di centrosinistra che ritiene più pericoloso.

Questo accenno di invasione di campo in una faccenda tutto sommato interna al centrosinistra, tuttavia, può avere implicazioni ancora più sottili e pregne di significato se si considera la preferenza di Berlusconi per Renzi come uno sconfinamento, non importa se figurato o effettivo, nell'agone delle primarie.
Semplicemente con le sue dichiarazioni, il Cavaliere è riuscito a far precipitare un dibattito che avrebbe potuto - e dovuto - essere incentrato sui programmi di governo verso il tema delle infiltrazioni dei votanti del PdL e delle regole sull'accesso alle primarie, giungendo in un certo qual modo a gettare un'ombra di sospetto sulla veridicità della competizione e conseguentemente su chiunque dovesse arrivare a prevalere.
Uno strumento democratico come le primarie, ancora tutto sommato nuovo per la politica italiana e poco regolamentato a livello istituzionale, si fonda per il proprio funzionamento sul tacito rispetto - o disinteresse - da parte del campo avverso. Anche senza arrivare a milioni di votanti PdL che invadono le primarie del centrosinistra influendo pesantemente sul'esito della consultazione, l'aver portato all'attenzione dei media la semplice possibilità di un appoggio a Renzi è una chiara mossa di attacco volta a indebolire la credibilità e la legittimazione di chiunque vinca le primarie presso lo stesso elettorato progressista, facendo passare l'immagine di un vincitore emerso da una competizione comunque falsata.

Questo effetto sarebbe massimo, naturalmente, se il vincitore fosse proprio Matteo Renzi, fatto che potrebbe portare ad una vera e propria esplosione della coalizione di centrosinistra sotto il pretesto delle primarie truccate, ma ad oggi questa eventualità non sembra avere molte possibilità di realizzazione.
I sondaggi, infatti, danno al segretario del PD Bersani ancora un consistente vantaggio su Renzi, il quale a sua volta conserva diverse lunghezze di vantaggio su Vendola.
Se tuttavia, come sembra, le primarie saranno strutturate con il meccanismo del doppio turno, ecco che la strategia di Berlusconi troverebbe terreno fertile: un passaggio di Renzi al ballottaggio, magari con un vantaggio risicato su Vendola, aprirebbe la strada a mille polemiche sulle infiltrazioni e sul voto di destra, andando a trasformare quello che dovrebbe essere un momento di partecipazione e aggregazione del popolo di centrosinistra in un vespaio di polemiche e sospetti.

La campagna elettorale, per Berlusconi, è già iniziata, ed è come sempre iniziata all'attacco. Matteo Renzi, in realtà, si è rivelato essere un sempice grimaldello attraverso il quale il Cavaliere sta puntando alla delegittimazione delle primarie, l'unica vera arma del centrosinistra che il PdL non ha mai potuto emulare.
Per combattere le mosse di un avversario ancora così abile in termini di strategie mediatiche, il centrosinistra ha la necessità di fissare delle regole per le primarie che siano al tempo stesso fedeli al precetto di apertura e universalità che le ha viste nascere, consentano di esprimere la volontà di un popolo comunque di centrosinistra e soprattutto siano condivise da tutti i contententi, pena arrivare in campagna elettorale con un candidato bruciato in partenza. Non sarà una strada facile.

lunedì 17 settembre 2012

Spread, i sacrifici erano necessari?

Sede della Banca Centrale Europea

La BCE scende in campo e lo spread cala. Ad una decina di giorni dall'ormai storica conferenza stampa di Mario Draghi in cui è stato varato il piano di acquisto illimitato di titoli di stato sul mercato secondario, e a pochi giorni di distanza dall'altrettanto significativa sentenza della Bundesverfassungsgericht sulla legittimità dell'ESM, il differenziale tra i titoli italiani a 10 anni e l'analogo titolo emesso dalla Germania è sceso di più di cento punti base, oltre l'1% di interesse, attestandosi al valore più basso dal 2 aprile.

Andamento dello spread BTP-BUND decennali a 30 gg
(aggiornato al 14/09/2012)

Come mostra il grafico dei dati Bloomberg, lo spread italiano è passato dal recente picco locale di 451 punti del 31 agosto ai 331 punti del 14 settembre.

Questa discesa importante così importante, soprattutto tenendo conto di quanto effimere siano stati gli analoghi cali del differenziale avvenuti in concomitanza con l'approvazione delle più dolorose tra le riforme operate dal Governo, ha fatto sorgere alcuni seri interrogativi: se era sufficiente una conferenza stampa di Draghi per generare un simile effetto, erano veramente necessarie le manovre lacrime e sangue approvate dall'esecutivo? Era necessaria una stretta tremenda alle pensioni? Era necessaria l'IMU? La riforma del mercato del lavoro?

Su questo tema i partiti politici, in vista della campagna elettorale, hanno colto la palla al balzo, con risultati a volte in linea con le proprie posizioni politica ma talvolta persino paradossali.

Sicuramente hanno alzato la voce le forze di opposizione al Governo, che hanno avuto terreno fertile nell'attaccare l'operato del Governo Monti tacciandolo nel migliore dei casi di inutilità e nel peggiore - nel solco delle svariate teorie complottiste - come un emissario di un qualche potere mondiale volto a togliere ogni forma di ricchezza e potere rimasta nelle mani del popolo. Lega Nord, Italia dei Valori e MoVimento 5 Stelle si sono contraddistinti per questa linea intransigente e anche provocatoria verso l'operato del Governo, portando ulteriormente avanti il ragionamento e ponendo l'accendo sulla perdita di sovranità del Paese, incapace con i propri sforzi di ottenere risultati apprezzabili ed in balia del potere di un'istituzione esterna come la BCE.
Per ragioni simili eppure opposte esulta il PdL, che dalla - presunta - impotenza delle istituzioni italiane trae la definitiva assoluzione dell'operato di Silvio Berlusconi come Presidente del Consiglio, scagionato dalle accuse di aver operato una pessima politica economica e aver fornito un'altrettanto pessima credibilità internazionale al Paese in quanto l'andamento dello spread si pone al di fuori del potere di un Governo.

Ma si tratta di un ragionamento corretto?

L'assunto di fondo di chi propugna una simile tesi è che Draghi - e con lui la BCE - avrebbe potuto prendere la sua decisione e pronunciare quelle fatidiche parole in qualsiasi momento, risparmiando agli Stati manovre depressive e destabilizzanti. La semplice cronaca della faticosa trattativa necessaria per arrivare ad un simile risultato evidenzia tuttavia come Draghi non sarebbe mai potuto arrivare ad un simile risultato se i Paesi poco virtuosi non avessero iniziato politiche incisive di risanamento economico: se Italia e Spagna non avessero intrapreso, con riforme anche dolorose, quei passi necessari al contenimento della spesa e del debito, a votare contro il progetto di Draghi non ci sarebbe stata solo la Germania, ma un intero gruppo - sicuramente maggioritario - di Paesi virtuosi che a quel punto avrebbe avuto ragione a rifiutarsi di finanziare il debito di Paesi non solo spendaccioni, ma persino incapaci di ravvedersi con politiche adeguate.
Non è quindi vero che qualsiasi azione operata dall'esecutivo italiano sarebbe stata priva di impatti nella determinazione delle politiche europee; così come sarebbe impossibile pensare che la credibilità dei singoli Stati non abbia influenze quando si tratta di verificare la capacità di mantenere gli impegni. Sicuramente è corretto affermare che il vento è cambiato dopo l'elezione di Hollande in Francia, ma è altrettanto vero che l'atteggiamento verso i l'Italia da parte dei principali partner europei ha subito un profondo mutamento con il cambio di governo nel Paese.

Vertice europeo Francia - Germania (23/10/2011)
Vertice europeo Francia - Germania - Italia (24/11/2011)

La forza contrattuale di Draghi, nel momento in cui si è schierato per l'integrità dell'area Euro in difesa dei Paesi più deboli, è stata sicuramente ingigantita dal cambio di governo avvenuto nel nostro Paese, sia in termini di credibilità e prestigio, sia in termini di scelte politiche effettuate, o per essere più precisi dei saldi contabili a cui conducono tali scelte: le istituzioni europee, infatti, non entrano nel merito di come vengano reperite le risorse, ma si preoccupano di come queste vengano utilizzate per garantire la sostenibilità a lungo termine dello Stato.

Il comportamento di chi, osservando meramente il grafico dello spread degli ultimi giorni, si lancia in accuse complottiste o in peana assolutori, si pone ben oltre il limite della faciloneria in buona fede. Può essere vero che una parola di Draghi abbia il potere di abbattere o innalzare lo spread di decine o centinaia di punti base, ma il lavoro politico necessario per mettere Draghi nella condizione di poter dire quella parola, e ancora di più per far seguire alle parole le azioni, è stato assolutamente indispensabile.

La reale riflessione da mettere in campo riguarda invece un altro aspetto fondamentale: come mai le politiche intraprese dal Governo non hanno avuto impatti duraturi sui mercati? Perché si è reso necessario un intervento diretto della BCE?
La risposta a questa domanda è duplice. In primo luogo è necessario rendersi conto che i mercati globali ragionano ormai su dimensioni ben più ampie di quelle statali, e che un singolo Paese non ha più l'inerzia necessaria a deviare un andamento di mercato; il quesito precedente deve quindi essere riscritto pensando a come mai ad un intervento statale non è seguito automaticamente un recepimento da parte della BCE.
E qui i colpevoli sono ancora una volta i politici, incapaci, nel decennio di tranquillità economica seguito all'introduzione dell'Euro, di premunirsi contro i periodi di crisi, incapaci di pensare a strategie automatiche di difesa contro la speculazioni, incapaci, infine, di rinunciare ad una parte della sovranità economica nazionale per costruire il piano successivo della costruzione europea.
La politica nazionale non è ininfluente su scala europea, e non è rinunciandovi e richiudendosi in recinti separati che si potrà uscire dalla crisi. Al contrario, l'Europa è ormai l'interlocutore con cui i mercati si aspettano di avere a che fare, e l'Europa, intesa tanto come politica sovranazionale quanto come somma delle politiche nazionali, ha il dovere di non farsi trovare mai più impreparata come accaduto in questi mesi di fuoco.

giovedì 13 settembre 2012

Dati Terna 2011

Logo della Terna

È uno scenario a luci ed ombre quello che emerge dal nuovo rapporto Terna sul dettaglio dell'energia elettrica prodotta e consumata dal Paese nel corso del 2011, pubblicato nella sezione dei dati statistici.

Tali dati consentono di individuare e valutare il comportamento a livello regionale sul delicatissimo tema energetico, soprattutto in termini di autosufficienza - quindi aspetto economico - e di diffusione e utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili - quindi tema ecologico.
A questo link è disponibile la serie storica dei dati a partire dall'anno 1997, il primo per cui Terna ha pubblicato questa tipologia di report.

Fabbisogno energetico percentuale 1997 - 2012
(Italia e macroregioni)

Come emerge in maniera piuttosto chiara dal grafico, l'Italia è un Paese importatore di energia, con un consumo che eccede di circa il 15% la produzione, un dato sostanzialmente in linea con la serie storica.
È tuttavia evidente come il valore nazionale sia ottenuto attraverso la fusione si situazioni regionali - e macroregionali - estremamente diverse tra loro e soprattutto con tratti evolutivi decisamente marcati, che mostrano andamenti piuttosto variabili nel tempo.
  • Il nord-ovest negli anni '90 era di gran lunga l'area con il passivo peggiore, conun fabbisogno energetico di una volta e mezza la produzione. A partire dal 2004 la situazione è tuttavia mutata radicalmente avviando un processo di drastico calo del deficit energetico che ha portato la zona ad assestarsi intorno ad un debito energetico del 22%. Il risultato del 2011, pur in miglioramento rispetto all'anno precedente, non è tuttavia tra i migliori degli ultimi anni.
  • Il nord-est del Paese, pur non essendo l'area a con il peggiore deficit, è comunque l'area più critica, in quanto mostra un trend di costante e sensibile peggioramento solo confermato dal pessimo valore del 2011, il peggiore della serie storica.
  • Il centro, fino al 2003 una zona in sostanziale pareggio energetico, a partire dal 2004 ha visto una rapidissima degenerazione del proprio bilancio energetico che lo ha portato a toccare un picco negativo nel 2009, con inversione di tendenza nel 2010. Il dato 2011 prosegue sulla falsariga dell'anno precedente, lasciando intendere un trend positivo che dovrà tuttavia essere confermato dalle rilevazioni dei prossimi anni.
  • Il sud, negli anni '90 con un bilancio energetico fortemente negativo, ha avviato politiche energetiche in grado di renderlo la vera riserva di energia elettrica del Paese; nel 2011 per la prima volta il trend positivo pare tuttavia arrestarsi, e sarà interessante capire se si tratta di un'inversione di tendenza oppure di un assestamento temporaneo.
  • Le isole sono l'area sostanzialmente più stabile, in un netto e consolidato attivo dell'ordine dei 5 punti percentuale. Il dato del 2011 non spicca a livello assoluto, ma si situa all'interno di un percorso di progressivo miglioramento che si protrae ormai dal 2008 e si tratta in ogni caso del valore più elevato dal 2005.
Il fatto che un sistema composto da elementi così variabili nel tempo arrivi a fornire un totale sostanzialmente così stabile nel tempo è un chiaro segnale di volontà politica: è quindi per precisa scelta che l'Italia mantenga il proprio livello produttivo intorno all'85% del fabbisogno, aumentando o calando la produzione in diverse zone geografiche di anno in anno - anche per un normale fattore di manutenzione - senza che mai avvenga che tutti gli impianti produttivi siano spinti al massimo. Considerando, in maniera puramente ipotetica, i massimi produttivi della serie storica per ciascuna macrozona si arriverebbe ad una produzione di energia elettrica pari al 97% dei consumi.

Cartogramma del bilancio energetico 2011
a livello regionale

Il cartogramma riportato mostra in maniera visivamente molto chiara come le regioni con il maggior surplus energetico percentuale siano quelle prettamente montuose come Liguria, Valle d'Aosta e Trentino-Alto Adige ed il sud Italia; al contrario le regioni peggiori sono Veneto, Marche e Campania.
In termini assoluti è però la Lombardia ad avere il deficit maggiore, seguita dal Veneto, mentre la regione maggiormente produttiva diventa invece la Puglia, seguita dalla Calabria. Il sud del Paese si rivela quindi il vero motore energetico dell'Italia, laddove il nord ed il centro costituiscono invece la parte energivora che porta in rosso la bilancia energetica.

Composizione della produzione energetica 2011
(Italia e macroregioni)

L'istogramma che evidenzia, a livello nazionale e macroregionale, la suddivisione della produzione energetica, offre alcuni interessanti spunti di riflessione.
In primo luogo emerge come l'Italia sia un Paese ancora ancorato al termoelettrico tradizionale, stragrande maggioranza dell'energia prodotta su tutto il territorio con i maggiori picchi nelle regioni meridionali, dove viene a mancare il contributo dell'energia idroelettrica nelle modalità e quantità che solo l'arco alpino può - per il momento - garantire.
Il secondo dato rilevante è la crescita continua dell'energia elettrica prodotta da eolico e fotovoltaico, sia pure con andamenti differenti: il primo, infatti, dopo il boom degli anni precedenti, ha vissuto nel 2011 una fase di stallo, con un aumento intorno all'8% contro le ripide salite a due cifre degli anni precedenti. Al contrario il fotovoltaico ha avuto proprio nel 2011 il suo anno d'oro, quintuplicando la produzione energetica e superando proprio l'eolico come terza fonte di approvigionamento del Paese. Sommando anche il geotermico emerge come le rinnovabili siano ormai quasi il 9% della produzione energetica del Paese contro il 5,5% del 2010, un incremento notevole pari a circa 10.000 GWh. L'incremento è diffuso in tutto il Paese, ma con incidenza differente: in termini percentuali si è infatti rivelato minimo al nord-ovest (+1,82%) e massimo al sud (+4,43%). In termini di GWh prodotti invece il miglioramento meno sensibile spetta alle isole (+1.010 GWh) mentre la palma del vincitore spetta ancora al sud (+3.103 GWh).
Se invece si desidera sommare anche l'idroelettrico alle fonti rinnovabili, nel 2011 viene sfondata la soglia psicologica del 25% di energia pulita, ma con un incremento più modesto rispetto al 2010 (+1,04%) e soprattutto caratterizzato da un andamento piuttosto diseguale nelle varie zone del Paese.

Di particolare importanza è il confronto con il 2010 in termini di diversificazione energetica: paragonando i valori percentuali si evince, a livello nazionale, un forte calo dell'utilizzo dell'idroelettrico (-2,26%) ed un calo moderato del termoelettrico (-0,86%), laddove le fonti alternative evidenziano tutte trend ascendenti: +0,09% per il geotermico, +0,25% per l'eolico, +3,02% per il fotovoltaico.

Cartogramma della produzione energetica
Idroelettrica - Termoelettrica - Fotovoltaica - Eolica

Il cartogramma, realizzato con Scape Toad, mostra in maniera evidente la distribuzione geografica dell'energia elettrica nelle regioni italiane.
Se la produzione di energia da fonti termoelettriche è in massima parte indipendente dal territorio e soggetta al più a ragioni economiche di trasporto della materia prima e dispacciamento dell'energia, per quanto riguarda invece l'idroelettrico, il fotovoltaico e l'eolico è possibile, da un'analisi comparata tra l'attuale produzione e la geografia del Paese, capire quali possono essere eventuali margini di miglioramento.

La produzione di energia idroelettrica è una tecnologia matura, e altrettanto maturo è il suo sfruttamento sul suolo italiano: si nota dalla mappa una netta predominanza delle regioni alpine e in subordine di quelle appenniniche, mentre i territori pianeggianti hanno valori molto bassi. In questi termini è difficile ipotizzare sviluppi degni di nota su questo fronte nei prossimi anni.
Il fotovoltaico, invece, appare maggiormente sviluppato nel nord Italia, con la virtuosa eccezione della Puglia. In questo caso è evidente che vi è un enorme potenziale nel Mezzogiorno ancora non sfruttato: se ad oggi la maggior parte della produzione annuale di energia solare proviene dalle nebbiose regioni padane, una semplice riproposizione del numero e della dimensione degli impianti nel sud del Paese potrebbe condurre ad un rapido e importante incremento dell'energia elettrica originata dal sole.
L'eolico, infine, appare quasi del tutto assente dal centronord; sicuramente a creare una mappa del Paese così distorta hanno contribuito i fondi distribuiti alle regioni del sud, che hanno permesso la realizzazione di vasti parchi eolici a costi sostanzialmente nulli. Anche in questo caso, tuttavia, è evidente come al nord, lungo le dorsali montuose, vi siano ampi spazi di intervento per migliorare la produzione di energia eolica.

Il nostro Paese, quindi, è assolutamente in grado di progredire con sforzi anche contenuti nell'incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili; venendo meno gli ostacoli naturali, la scelta si riduce alla politica, e purtroppo in tal senso il taglio degli incentivi voluto dal Ministro Clini si muove nella direzione opposta.
I dati Terna del 2012 saranno particolarmente interessanti, perché forse per la prima volta saranno in grado di fotografare l'andamento della produzione di energia elettrica in un mercato realmente libero o comunque meno drogato, e permetteranno di capire se eolico e fotovoltaico, abbandonati dallo scudo delle politiche ambientali, sono ormai fonti economicamente convenienti oppure se il loro sviluppo in Italia subirà una seria battuta di arresto.

venerdì 7 settembre 2012

Draghi, la tecnocrazia e la politica assente

Mario Draghi

La comunicazione di Mario Draghi, presidente in carica della Banca Centrale Europea, del 6 settembre 2012 segnerà senza alcun dubbio uno spartiacque nella storia della crisi economica internazionale che ormai da diversi anni attanaglia il mondo e in particolare il Vecchio Continente.
Per la prima volta, infatti, la BCE è stata in grado di offrire una risposta convincente e soprattutto efficace alle successive ondate speculative che, nel lungo termine, avrebbero rischiato di mettere al tappeto Paesi come Italia e Spagna, usandoli come grimaldello per una progressiva devastazione economica - e dunque sociale - dell'intera costruzione europea.

Mario Draghi, nel corso di una conferenza stampa tenutasi alla sede della BCE a Francoforte sul Meno alle ore 14:30, ha illustrato le mosse intraprese dalla Banca Centrale Europea per contrastare le manovre della speculazione finanziaria, e si tratta finalmente di un piano articolato, sufficientemente equilibrato da guadagnarsi l'approvazione, ma al tempo stesso in grado di dotare la BCE di quegli strumenti che il processo di unificazione dell'Europa era stato rapido nel togliere alle banche centrali nazionali ma non sufficientemente accorto da fornirli alla banca centrale.

La vera e reale novità della nuova linea BCE è l'acquisto diretto di titoli di stato, senza alcun limite quantitativo prefissato, dal mercato secondario; gli acquisti si concentreranno sui titoli a breve scadenza (massimo tre anni).
Non vi saranno meccanismi automatici di acquisto legati a soglie di tassi di interesse, ma dovranno essere i singoli Paesi interessati a presentare richiesta alla BCE.
La contropartita non sarà tuttavia esente da sacrifici: in cambio di un calmiere allo spread dovuto agli acquisti della BCE, il Paese richiedente dovrà impegnarsi a concordare - in termini di tempi e modalità - riforme istituzionali necessarie alla messa in sicurezza dei conti pubblici, pianificando una sorta di memorandum. Tale documento sarà vincolante, e la BCE avrà facoltà di interrompere la procedura di aiuti in casi di infrazioni.
Le decisioni relative all'avvio, alla gestione dell'intervento e al termine dell'azione di aiuto verranno prese dalla BCE in assoluta autonomia, ma l'Eurotower si avvarrà anche della consulenza del FMI, in special modo per la parte più prettamente politica - e quindi esterna al mandato della banca - relativa alla valutazione delle manovre politiche messe in campo dagli Stati per il riassetto dei conti pubblici.
I Paesi nordici hanno poi chiesto e ottenuto la sterilizzazione della liquidità del programma di aiuti; si tratta di una clausola non da poco, che prevede sostanzialmente che gli acquisti di titoli di stato siano fatti utilizzando la moneta esistente senza stamparne di nuova, in modo da preservare la base circolante e quindi evitare deprezzamenti e svalutazioni monetarie; inoltre il programma di aiuti scatterà solo in concomitanza con l'avvio del suo omologo (l'ESM) sul mercato primario.

La linea di Draghi è la linea dell'irreversibilità dell'euro, e soprattutto della preservazione dell'integrità della moneta unica, e tale linea ha prevalso - forse definitivamente - sui fautori della linea di una moneta a due velocità, teorizzata prevalentemente dalla Germania e che prevedeva sostanzialmente di abbandonare al proprio destino i Paesi poco virtuosi.

La vittoria di Mario Draghi non è tuttavia stata esente da polemiche: la votazione all'Eurotower non è infatti stata unanime, ma si è conclusa con il voto contrario - sebbene il Presidente della BCE non abbia fatto nomi - del presidente della Bundesbank Jens Weidmann, lo stesso che era arrivato non molti giorni fa a minacciare le proprie dimissioni se avesse prevalso la linea Draghi alla BCE.
La stampa tedesca si è scatenata, soprattutto a destra: il quotidiano conservatore Frankfurter Allgemeine Zeitung pubblica sull'edizione odierna un duro editoriale a firma del codirettore Holger Steltzner, in cui sostanzialmente si mette in guardia contro una "lirizzazione" dell'euro, si criticano con veemenza le politiche intraprese dalla BCE e si condannano i politici dell'intera Europa, quelli del Sud che potranno proseguire con le loro politiche spendaccione, e quelli del Nord che potranno ripararsi dietro lo scudo della BCE quando i loro elettori verranno a chiedere il conto dei soldi finiti nelle casse di Paesi meno virtuosi. Addirittura, poiché il nuovo programma della BCE avrà come prerequisito l'ESM, l'articolo arriva a sperare che la sentenza della Corte Costituzionale tedesca del 12 settembre affossi il fondo salva-stati, in modo da bloccare sul nascere questa nuova iniziativa.

L'articolo, naturalmente, è impregnato del dogmatismo monetario che ha sempre caratterizzato - talvolta anche in maniera ipocrita - la politica della Bundesbank, ma il punto forse più saliente si trova al momento dell'attacco alla classe politica, in cui sfiora senza però affrontare il nodo cruciale: Steltzner lamenta l'ignavia dei politici che potranno permettersi di giustificare i propri fallimenti dietro l'ombrello della BCE, ma non arriva a cogliere - o forse non considera un punto degno di nota - che tutte le manovre della BCE sono prevalentemente dovute all'assenza di una struttura politica degna di questo nome a livello continentale.
Ha ragione l'editorialista tedesco ad affermare che la BCE entrerà direttamente, con le novità degli ultimi giorni, nella politica fiscale dei singoli Paesi, ma non arriva a cogliere quanto sia anomalo che la detta politica fiscale (ed economica in generale) venga analizzata, valutata ed eventualmente premiata da enti per loro stessa natura non democratici come BCE e FMI.
È vero, e deve far riflettere, che i semi della governance economica europea stanno nascendo da un istituto prettamente tecnico e tecnocratico, ed è vero che l'UE si sta muovendo a rapidi passi verso una forma di governo privata, non democratica e sostanzialmente plutocratica; ma di questo nei giornali tedeschi non c'è traccia. Soprattutto non dice, ma forse non può dire, delle responsabilità di una simile situazione, che sono unicamente da imputare alla politica, a due decenni di immobilità nella costruzione degli Stati Uniti d'Europa dovuta al continuo gioco di veti e ripicche che i Paesi maggiori, che maggiormente ritenevano di avere da perdere dalla cessione delle proprie prerogative nazionali ad un organismo superiore, hanno imposto da ormai un ventennio. La Germania, in questo, è sempre stata in prima linea, e per questa ragione deve essere considerata responsabile della crisi al pari dei PIIGS: se questi infatti hanno prodotto la massa di debito che ora rischia di travolgere l'Europa, la Germania ha fatto sì che l'Europa fosse una capanna costruita sulla sabbia anziché un castello.

L'eccezionalità della situazione ha consentito a Draghi di spezzare questo circolo vizioso, con un magistrale salto del cavallo che, salvo brutte sorprese, consentirà quantomeno di superare l'attuale impasse con la sola valenza verbale di simili dichiarazioni, anche senza l'utilizzo effettivo degli strumenti messi in campo.
Anziché esortare i politici tedeschi a rifiutare le scelte di Draghi per non cadere nella tentazione di nascondersi dietro la BCE, Steltzner dovrebbe esortarli affinché la politica continentale, di cui la Germania giustamente deve essere capofila come maggiore potenza economica e demografica, prenda in mano gli strumenti nati sull'onda dell'emergenza, li normalizzi e li porti al controllo delle istituzioni democratiche.

La lezione di questi giorni evidenzia davvero come ormai l'Europa sia una necessità: solo quando la BCE ha dispiegato il proprio pieno potere i mercati paiono aver rallentato le proprie ondate erosive contro le periferie del continente. Una governance europea appare quindi ormai indispensabile, ed è emerso chiaramente che la politica, e con essa la democrazia, non sono indispensabili.
La chiamata, l'ennesima, alle istituzioni democratiche europee assomiglia questa volta ad un'ultima spiaggia per la salvaguardia della democrazia stessa contro una tecnocrazia nata e sviluppatasi, sull'onda di pur giustificabili necessità, dall'assenza di una volontà comune di integrazione. I nazionalismi, che si è soliti considerare un retaggio del XX secolo, sono ancora oggi i principali responsabili della difficile situazione che ci troviamo a vivere.

martedì 4 settembre 2012

Grillo tra Orwell e Berlusconi

Giuseppe Piero Grillo

Che il blog di Grillo salga spesso alla ribalta a causa dei suoi contenuti provocatori e delle sue affermazioni spesso volutamente iperboliche non è certamente una novità, ma con l'intervento del 2 settembre il comico genovese pare aver oltrepassato una linea di demarcazione importante nel suo percorso di progressiva politicizzazione, nel senso più completo - e per certi aspetti deteriore - del termine.
Il post sul blog si intitola "I Due Minuti d'Odio", e in massima parte riprende e parafrasa un celebre passaggio del 1984 orwelliano: i Two Minutes Hates, un periodo giornaliero in cui i membri del Partito, in Oceania, devono guardare un film che mostra i nemici della società - Goldstein ed i suoi seguaci - ed esprimere il loro odio verso di loro.
Grillo rielabora il passaggio dei Two Minutes Hate assegnando a sé stesso e al MoVimento 5 Stelle il ruolo di Goldstein, arrivando, nella chiosa conclusiva del suo intervento, a temere una vera e propria istigazione a delinquere finalizzata alla sua eliminazione:
E dopo? Cosa verrà dopo? Dal tiro al bersaglio metaforico, si passerà a quello reale? L'informazione sta sconfinando in molti casi in istigazione a delinquere come avvenne negli anni di piombo.
Sicuramente è legittimo per Grillo vedere sé stesso ed il MoVimento che rappresenta nel ruolo degli eroici avversari di un sistema oppressivo e autoreferenziale, anche se già in questo si coglie un certo passaggio di visione dalla semplice pars destruens verso "gli altri" alla celebrazione del "noi", ma ciò che stupisce è in qualche modo la conclusione del messaggio, il sentirsi direttamente minacciato come persona.

L'intervento di Grillo, malgrado alcune opinioni emerse su Il Fatto Quotidiano che vedrebbero il post come una sorta di sfogo del comico genovese, è sicuramente ben congegnato e ha una forte valenza propagandistica e in ultima analisi elettorale, ma nella sua metaforica violenza, quella evocata e quella verbale del messaggio, mette in mostra senza più coperture alcuni dei punti più controversi del complesso rapporto tra Grillo ed il MoVimento 5 Stelle.
È presente in effetti una vera e propria sovrapposizione tra il partito ed il suo leader e fondatore che, partendo dal passaggio sulla proprietà del simbolo, si snoda nel contenuto del messaggio sfruttando anche l'ardito paragone con Goldstein.
Grillo parte infatti dalla premessa che i media attaccano lui mentre dovrebbero discutere del programma del moVimento 5 Stelle, quindi in qualche modo il tono personalistico del messaggio è giustificato; ciò che lo è forse di meno sono le conseguenze che si traggono dal paragone usato. 1984 è un romanzo terribilmente pessimista, ed il finale non è certamente tra i più lieti, come sintetizza in maniera mirabile la scena del 2+2=5. La scelta di paragonarsi a Goldstein, e quindi di accettare implicitamente il mondo di 1984 come significativa rappresentazione di quello reale, ha due importanti implicazioni: la prima è che Grillo paragona sé stesso - e non il MoVimento - a oppositore della Casta e del pensiero unico; la seconda è che senza di lui ogni tentativo di riforma o rivoluzione è destinato a fallire. Grillo si ripropone quindi come elemento fondante, essenziale e inamovibile del MoVimento 5 Stelle, imponendo una volta di più la propria autorità e lanciando anche un messaggio di avvertimento a quei militanti che tendono a smarcarsi in maniera eccessiva dalla sua figura. Sebbene Grillo sia pronto a considerarsi e presentarsi come nulla più che un veicolo di idee e una figura di aggregazione di cittadini comuni, la scelta di ritagliare per sé stesso - e non per il movimento - la figura di Goldstein è estremamente chiara su quali siano i reali rapporti di forza all'interno del partito.

L'uscita del comico genovese è stata accolta, come era da aspettarsi, come un megalomane tentativo di accaparrarsi pubblicità e spazi mediatici, questo in maniera piuttosto trasversale all'arco politico e giornalistico, con una sola eccezione: Il Fatto Quotidiano. Il giornale di Padellaro e Travaglio, infatti, dedica un paio di articoli alla vicenda (reperibili a questo link e questo link) in cui sostanzialmente si schiera dalla parte del comico, evidenziando "la serie di attacchi durissimi" a cui il comico genovese è stato sottoposto nel corso dell'estate - ma dimenticando le altrettanto dure bordate da lui scagliate verso tutti i politici - e giustificandone in tal modo il ragionamento, anche se in maniera molto nebulosa quando si tratta del passaggio dall'attacco giornalistico e verbale a quello fisico.

Il post apparso sul blog di Grillo, oltre a ispirare riflessioni sul suo ruolo all'interno del MoVimento 5 Stelle, è però anche utile per comprendere l'atteggiamento di politici e giornalisti nei confronti di simili uscite, e smascherare preconcetti e ipocrisie.


Il 18 febbraio 2010 l'allora premier Silvio Berlusconi, come riporta ad esempio un servizio del TGLa7, rilasciava dichiarazioni in cui si definiva sotto assedio, e parlava di una costante minccia di eliminazione politica e fisica.
Seppure con mezzi e toni nettamente differenti - diretto e in qualche modo brutale Berlusconi, ricercato nella scelta della metafora Grillo; in TV Berlusconi, sul web Grillo - il concetto espresso è troppo simile per non far sorgere alcune domande.
Esistono motivi - anche slegati tra loro - per cui Berlusconi prima e Grillo poi dovessero temere per la propria incolumità?
Esistono motivi tali per cui si possa ritenere che uno solo dei due parlasse a ragion veduta?
Sono queste infatti le questioni che inevitabilmente ci si pongono nell'osservare l'atteggiamento da un lato del PdL e dall'altro de Il Fatto Quotidiano. Il partito di Berlusconi si è sempre contraddistinto infatti per una difesa a spada tratta delle affermazioni del proprio leader, mentre Il Fatto Quotidiano si è mostrato uno dei suoi critici più severi e intransigenti. Ora che il soggetto si è spostato da Berlusconi a Grillo i ruoli sono esattamente invertiti, ma non si evidenziano motivazioni che spieghino un simile cambio di logica, se non una simpatica politica a proprio che inficia in qualche modo la validità e l'attendibilità delle dichiarazioni riportate da simili fonti.

L'accostamento tra Berlusconi e Grillo mette in evidenza un ultimo e più importante aspetto del post di quest'ultimo sul suo blog. I principali studi elettorali sulle amministrative degli ultimi due anni hanno mostrato un flusso sempre crescente di elettori di centrodestra che, delusi da Berlusconi e Bossi, si sono rivolti a Grillo e al suo MoVimento 5 Stelle. Già con diverse uscite sui temi della moneta unica e dell'immigrazione il comico genovese aveva mostrato di aver preso atto del radicale mutamento del proprio elettorato, spostandosi su tematiche ed opinioni molto care alla destra italiana. Questo intervento evidenzia come Grillo abbia ripreso un altro tema proprio del berusconismo, ovvero la sindrome di Fort Alamo, la chiamata alle armi contro il fortino assediato, quel senso di minaccia incombente volto a riunire il popolo elettore intorno al leader; uno schema classico che tante volte ha funzionato per Berlusconi e con ogni probabilità funzionerà per un comunicatore ancora più abile di lui.
Ciò che si può dare per certo è il processo evolutivo del MoVimento 5 Stelle, che malgrado il proprio non-statuto e le proprie linee guida si configura sempre di più come una formazione leaderistica e personalistica, erede di quella fetta di elettorato più sensibile al fascino personale e alle doti comunicative di Berlusconi e di Bossi.
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