venerdì 29 aprile 2011

Bologna, candidati a confronto

Palazzo d'Accursio, sede del Comune di Bologna

Settima città italiana per popolazione e quarta tra quelle coinvolte nelle operazioni di voto il 15 e 16 maggio 2011, Bologna presenta una sfida elettorale senza alcun dubbio molto affascinante, soprattutto analizzando i candidati e le liste che si fronteggiano.
Anche se da molte parti emerge la critica al capoluogo emiliano di aver perso la propria vocazione all'avanguardia politica ed alla sperimentazione, è tuttavia ancora possibile trovare diversi elementi di novità che con ogni probabilità costituiranno i semi della politica di domani.
Il primo tema è naturalmente la presenza di un candidato leghista: a fronte di un PdL letteralmente paralizzato, ed incapace di capitalizzare lo scandalo Delbono, la formazione di Umberto Bossi ha saputo proporre un proprio esponente come candidato alla carica di Sindaco, imponendolo di fatto all'intera coalizione berlusconiana.
Il secondo elemento da tenere sott'occhio è la presenza di un candidato civico centrista autorevole ed in grado potenzialmente di calamitare molti consensi: rispetto ad altre città, dove il Terzo Polo si dimostra una forza nettamente minoritaria fino ai limiti dell'ininfluenza in un contesto fortemente bipolare, Bologna sperimenta in queste elezioni una competizione che rischia di essere realmente multipolare.
Il terzo elemento è naturalmente la forza del MoVimento 5 Stelle, la lista civica sponsorizzata dal comico Grillo. A Bologna ed in Emilia Romagna il MoVimento ha saputo costruire il proprio seguito in maniera molto organica e strutturata, riuscendo a calamitare molti consensi fino a diventare una forza determinante per l'esito finale delle consultazioni.
Infine, all'interno del centrosinistra, spicca la liason tra SEL e l'ala prodiana del Partito Democratico, uniti nel nome di Amelia Frascaroli, una combinazione che potrebbe avere impatti rilevanti nel determinare i futuri assetti della coalizione progressista dell'intero Paese.

Sono nove, in totale, i candidati alla corsa a Palazzo d'Accursio, sostenuti da diciassette liste che si sfideranno a loro volta per la conquista del Consiglio Comunale. Questa consultazione vede quindi una semplificazione del quadro politico rispetto al 2009, quando a sfidarsi erano tredici candidati e ventitré liste.

Michele Terra (PCL)
Il primo candidato che compare sulla scheda è Michele Terra, sostenuto dal Partito Comunista dei Lavoratori. Terra si ripresenta di nuovo dopo l'esperienza del 2009 che lo vide totalizzare lo 0,40% delle preferenze. Nato a Bologna, 37 anni, un passato nella Lega Comunista Rivoluzionaria e poi in Democrazia Proletaria, fa parte di Rifondazione Comunista fino al 2006, anno in cui il partito di Bertinotti entra a far parte del Governo Prodi II. In quell'anno, assieme a Marco Ferrando, lascia il partito per fondare il Partito Comunista dei Lavoratori, di cui è membro dell'esecutivo nazionale. Terra ha aperto un blog - ancora molto incompleto, dal momento che mancano all'appello le informazioni biografiche ed il programma elettorale - appositamente per questo appuntamento, congiuntamente ad una pagina Facebook.

Anna Montella
(La Destra)
Con un salto dall'estrema sinistra all'estrema destra, il secondo candidato sorteggiato è Anna Montella, sostenuta dalla lista La Destra - Storace. La Montella, nata a Bologna nel 1955 e coordinatrice dell'Emilia Romagna del partito di Storace, raccoglie il testimone di Alessandro Mazzanti, candidato con la Fiamma Tricolore nel 2009 ed in grado di raccogliere lo 0,32% dei voti. Non risultano disponibili siti o pagine dedicate alla sua corsa alla carica di Sindaco di Bologna, mentre è disponibile la sua pagina Facebook.

Elisabetta Avanzi (FN)
Il terzo candidato è l'altro esponente di estrema destra, Elisabetta Avanzi, appoggiata da Forza Nuova. 36 anni, ex-AN di area finiana, la Avanzi poggia la propria proposta politica su pochi temi, ma di grande impatto: no al Civis, edilizia sociale, acqua pubblica, voucher comunali per l'aiuto alle famiglie in difficoltà, e naturalmente il tema della sicurezza. Anche nel 2009 Forza Nuova correva da sola, appoggiando Giulio Tam, e raccolse appena lo 0,20% delle preferenze. Non sembra essere presente un sito di sostegno alla Avanzi, ma Forza Nuova ha aperto una pagina Facebook dedicata all'appuntamento elettorale.

Daniele Corticelli
Daniele Corticelli è il primo candidato ad essere appoggiato da più di una lista; in particolare sono quattro le formazioni che lo sostengono: Bologna Capitale, Agire insieme civicamente, I Popolari di Italia domani ed il Partito Repubblicano Italiano. Corticelli è anche il primo candidato per il quale non è possibile effettuare un vero e proprio confronto con il 2009, in quanto l'insieme delle liste che lo sostengono non è direttamente riconducibile ad alcuna delle formazioni in corsa quell'anno. Nato nel 1973, ingegnere, storicamente di area centrodestra, ha appoggiato Cazzola nel 2009 come capolista del movimento civico in suo sostegno, salvo poi tentare la corsa in solitaria in questo nuovo appuntamento elettorale. Sul suo sito ha pubblicato, tra le altre informazioni, il suo programma, incentrato sui temi della mobilità, del welfare, dell'integrazione e dei confini cittadini. Oltre al sito ufficiale, sono disponibili anche una pagina Facebook aggiornata con una certa frequenza ed un canale YouTube.

Angelo Maria Carcano
Quinto estratto è stato Angelo Maria Carcano, sostenuto dalla lista civica Nettuno. Nato a Roma nel 1947, residente a Bologna dal 1965, avvocato, è passato agli onori della cronaca principalmente per aver accolto come capolista Cinzia Cracchi, l'ex fidanzata di Delbono che costrinse l'allora sindaco alle dimissioni. Il sito della Lista Nettuno risulta attualmente non attivo, mentre attive sono la pagina Facebook personale di Carcano e la relativa fan page.

Stefano Aldrovandi
Stefano Aldovrandi, il civico sostenuto anche dal Terzo Polo, è il candidato numero sei. Per lui una sola lista, Stefano Aldrovandi Sindaco, che racchiude personalità provenienti dalla società civile come dai partiti che hanno deciso di appoggiarlo. Nato a Bologna nel 1948, ingegnere, è stato dal 1999 al 2005 amministratore delegato di Hera, la municipalizzata bolognese che si occupa di gas, energia elettrica e smaltimento rifiuti. Sul sito ufficiale è disponibile il programma elettorale, strutturato sui temi del lavoro, dell'ambiente, della solidarietà e della cultura. Assieme al sito ufficiale è anche attiva una pagina Facebook. Obiettivo di Aldrovandi è naturalmente il sorpasso sul candidato del centrodestra e l'approdo al ballottaggio.

Massimo Bugani (M5S)
Massimo Bugani, numero sette, è il candidato del MoVimento 5 Stelle. Facebook, Twitter e naturalmente il blog di Grillo sono la principale cassa di risonanza del giovane candidato del MoVimento, classe '78 e fotografo di professione. Il programma del partito, presentato tra l'altro sulla fan page di Facebook, è articolato in cinque punti principali: scuola/lavoro, mobilità, partecipazione, economia e salute/rifiuti/energia. A Bugani spetta il difficile compito di replicare lo straordinario successo di Favia alle regionali, quando i grillini ottennero circa l'8% nel comune di Bologna, ma è indubbio che il MoVimento sogni la doppia cifra, un successo senza precedenti che catapulterebbe la formazione nel gotha della politica cittadina.

Manes Bernardini
(Lega)
Penultimo è Manes Bernardini, il candidato ufficiale del centrodestra. Leghista, è sostenuto da PdL - Berlusconi per Bologna e dalla Lega Nord. Originario di Casalecchio di Reno, trentottenne, attualmente membro del Consiglio Regionale dell'Emilia Romagna in quota Lega Nord, è stato letteralmente imposto dal partito di Bossi alla coalizione, costringendo il PdL a seguirlo o a puntare su un'incerta corsa in solitaria. Sul sito ufficiale della sua corsa a Sindaco non è presente un programma strutturato, ma un insieme di proposte più o meno mirate che spaziano dalla sicurezza all'ambiente, passando per la tutela della PMI e la digitalizzazione della città. È inoltre attiva una pagina pagina Facebook dedicata alla candidatura. L'obiettivo più probabile alla portata di Bernardini è il ballottaggio: difficile il sorpasso sul centrosinistra, mentre sono buone le chance di tenere dietro Aldrovandi - al netto di un boicottaggio da parte del PdL, che non ha mai mostrato di amare particolarmente la candidatura leghista. La coalizione si presenta rimpicciolita rispetto al 2009 quando Cazzola ottenne il 29,10% dei voti: non vi sono liste civiche e nel PdL si deve scontare la separazione di FLI; malgrado ciò ci si aspetta un vero e proprio exploit della Lega Nord, che dovrebbe compensare l'atteso calo del PdL e mantenere la coalizione su un livello stabile se non anche in lieve ascesa.

Virginio Merola (PD)
Sito e pagina Facebook sono messi a disposizione anche da Virginio Merola, ultimo estratto in termini di composizione della scheda elettorale ma sicuramente il favorito della competizione. Italia dei Valori, Sinistra per Bologna, Con Amelia per Bologna con Vendola, PD Merola Sindaco e Socialisti Laici Riformisti saranno le liste in sostegno al candidato del centrosinistra a Palazzo d'Accursio, una coalizione molto simile a quella che nel 2009 sostenne Delbono e che arrivò al 49,40%. Bologna città metropolitana, cultura, ecologia, welfare, innovazione e diritti sono i cardini del programma di Merola. Il candidato del centrosinistra non nasconde le speranze di una vittoria al primo turno, ma di certo lo scenario risulta molto complesso - anche a causa di alcune sue recenti gaffe - e l'obiettivo difficilmente sarà raggiunto. Sicuramente certa invece la presenza di Merola all'eventuale ballottaggio, ma in quel caso sarà l'avversario a determinare le reali chance del candidato del centrosinistra: se fosse Bernardini Merola potrebbe contare sull'appoggio del centro moderato; in caso contrario il centrosinistra si ritroverebbe tutti contro e la partita sarebbe decisamente più ardua.

martedì 26 aprile 2011

In Ungheria la Costituzione di ultradestra

Il Primo Ministro ungherese Viktor Orbán (Fidesz)

Nell'aprile del 2010 si sono tenute le elezioni politiche in Ungheria per il rinnovo del Parlamento. Ribaltando ina maniera violentissima l'esito delle consultazioni del 2006, l'alleanza di centrodestra formata dal Fidesz e dal KNDP è riuscita ad ottenere il 52,73% dei voti, tornando al governo dopo due legislature passate all'opposizione.
A causa dei meccanismi della legge elettorale ungherese, che comporta l'assegnazione di una quota di seggi tramite i risultati a livello nazionale ed una attraverso i risultati ottenuti nelle singole regioni, la maggioranza di centrodestra si è ritrovata a contare su 263 seggi a fronte dei 386 complessivi a disposizione in Parlamento, ovvero il 68,13% del totale.
Una maggioranza in grado quindi di affrontare in piena autonomia non soltanto la legislazione ordinaria, ma anche quella costituzionale.

Ed il 18 aprile del 2011, a circa un anno dall'insediamento del Governo presieduto da Viktor Orbán, il Parlamento di Budapest ha approvato con la maggioranza qualificata dei due terzi una nuova, controversa, Costituzione (qui una traduzione non ufficiale in lingua inglese), che ha fatto suonare più di un campanello di allarme nell'intera Unione Europea.
Questa Costituzione, la cui firma è stata apposta dal Presidente della Repubblica Pál Schmitt in data 25 aprile e che diventerà effettiva a partire dal 1 gennaio 2012, è stata infatti definita da più fonti un esempio di intolleranza e retorica nazionalista se non, come afferma il leader dell'opposizione socialista Attila Mesterhazy, un tentativo di istituzionalizzare un regime dittatoriale.

La nuova Costituzione dell'Ungheria, prima degli articoli di legge espressamente detti, si apre con un preambolo in forma di "atto di fede", dove vengono presentati i valori morali che hanno guidato i legislatori nella stesura della Carta.
Tra questi spiccano il Cristianesimo, l'identità etnica ungherese e la lingua magiara come elementi fondanti della nazione, e la famiglia e lo Stato come reti relazionali primarie della comunità nazionale. Vi è naturalmente molto altro - il rispetto per la dignità dell'uomo, il dovere morale di solidarietà per i membri più deboli della società, l'apertura alle relazioni internazionali ed in particolare alla UE - ma è evidente come tra gli scopi primari, se non il principale addirittura, di questo atto di fede vi sia una solida e monolitica definizione dell'"ungheresità", ottenuta sia attraverso il richiamo a valori storici fondativi sia tramite la definizione di elementi sociali ed antropologici. Proprio questi ultimi sono visti con estrema preoccupazione dalla comunità internzionale, in quanto tendono ad identificare lo Stato politico con un lo Stato etnico: non è realmente Ungherese chi vive in Ungheria rispettandone le leggi, ma chi è di sangue ungherese, parla ungherese ed è di religinoe cristiana. La definizione dell'entità politica sulla base dell'etnia residente nella zona non può che richiamare alla mente i nazionalismi imperanti in Europa nella prima metà del XX secolo, se non addirittura i terribili conflitti etnico-tribali che hanno insanguinato ed ancora insanguinano il continente africano.

La Costituzione è organizzata in tre parti: "principi fondamentali", "diritti e doveri" e "lo Stato"; scorrendone gli articoli le impressioni ricavate dalla lettura del preambolo non possono che enfatizzarsi.
L'articolo D della sezione "principi fondamentali" riprende ad esempio il tema dell'identità nazionale ungherese, specificando il dovere da parte dello Stato ungherese di preoccuparsi della vita dei suoi cittadini che vivono all'estero, contribuendo alla loro sopravvivenza e benessere, con particolari riferimenti alla preservazione della loro identità nazionale ungherese. Di fatto un articolo del genere è del tutto coerente per una Costituzione riferita ad uno Stato etnico inserito in un contesto di nazioni definite dal punto di vista geografico, ma costituisce un fattore di certa ingerenza nelle politiche nazionali degli Stati con minoranze etniche magiare, come ad esempio la Slovacchia o la Romania.
L'articolo K inserisce la famiglia, intesa come legittima unione tra uomo e donna, tra i principi fondamentali dello Stato, definendola addirittura "basilare per la sopravvivenza della nazione". Di fatto attraverso questo articolo, situato nella parte più importante della Carta, l'intero mondo LGBT è fuori dalla tutela della legge ungherese, costituendo per di più la base giuridica per una eventuale messa fuorilegge dell'omosessualità nel medesimo stile dei più rigidi Paesi confessionali islamici.
L'articolo E costituisce infine lo scudo attraverso il quale l'Ungheria tenta di mettersi al riparo dagli enti internazionali come la UE o la NATO, potenzialmente in grado di interferire con la politica locale su temi economici, militari o relativi ai diritti civili: il recepimento dei trattati internazionali richiederà infatti la maggioranza qualificata dei due terzi del Parlamento. Con questo articolo l'Ungheria manifesta un fortissimo spirito di stampo nazionalista, rifiutando di fatto una comunicazione degna di questo nome con gli enti sovranazionali ed in particolare con l'Unione Europea.

La seconda parte della Costituzione, quella che tratta di diritti e doveri dei cittadini ungheresi, si apre subito con un articolo veramente emblematico: l'Ungheria riconosce i diritti dell'uomo, ma li subordina ai valori descritti nella prima parte della Costituzione. In tal modo, con un'acrobazia giuridica, si chiude ad esempio definitivamente la porta ad eventuali interventi internazionale sul tema dei diritti civili.
Al tempo stesso, nell'articolo II, viene sbarrata per via costituzionale la porta all'aborto ed al trattamento di fine vita, esplicitando l'inviolabilità del diritto alla vita e specificando come il feto debba essere protetto dal momento del concepimento e non da quello della nascita.
Negli articoli V e VIII vengono poi poste le basi per il controllo dei media, attraverso l'istituzione di apposite commissioni - nominate del potere politico - destinate sostanzialmente alla valutazione della protezione della privacy e dell'operato generale dei media sulla base di una legislazione considerata tra le più restrittive dell'Unione Europea in tal senso.

Se la seconda parte della Costituzione, incentrata sui cittadini, può dare l'impressione di uno Stato etico, la terza parte, dedicata all'ordinamento dello Stato, mostra come in Ungheria vacilli la direttiva illuministra della seperazione dei poteri, a favore di un controllo stringente del potere politico su quello giudiziario, su quello economico e sul mondo dell'informazione.
È infatti già nell'articolo 1 l'indicazione dei poteri del Parlamento, tra cui figurano l'elezione diretta, tra gli altri, del Presidente della Corte Costituzionale, del Presidente della Curia - l'equivalente della Corte di Cassazione italiana - e del Procuratore Capo, sia pure con la maggioranza qualificata dei due terzi.
Nell'articolo 12 viene poi sviscerato il passaggio relativo alla Corte Costituzionale: non solo il Presidente, ma l'intera Corte, formata da 11 membri, è eletta dal potere politico per un mandato della durata di dodici anni, senza alcuna possibile interferenza da parte di quello giudiziario.
nell'articolo 41 si esplicita poi il controllo politico sul sistema economico, attraverso le limitazioni imposte all'attività operativa del Presidente della Banca Nazionale d'Ungheria, le verifiche parlamentari a cui è sottoposto il suo operato e dell'insolita semplicità per la rimozione di chiunque si trovi tale ruolo.

Dalla lettura della Costituzione ungherese emerge quindi una concezione autoritaria dello Stato, simile per molti aspetti ai regimi nazionalisti della prima metà del XX secolo; uno Stato fondato su presupposti etnici ed etici, che fonda la propria identità sull'esclusione del diverso e come tale si dota di leggi anche pesantemente discriminatorie. Una pagina veramente buia per l'Europa, che deve ormai fare i conti con le formazioni di estrema destra pressoché in ogni nazione e che ora vede nell'Ungheria un assaggio della strada che l'intero continente potrebbe intraprendere in un futuro nemmeno troppo lontano se questa incarnazione della destra non verrà rapidamente ricondotta in posizione minoritaria dalle forze conservatrici più moderate.

sabato 23 aprile 2011

Intervista a Cristiano Bottone

Panorama di Monteveglio (BO)

Le Transition Towns sono un movimento, che forse ricondurre al termine "ecologista" può apparire riduttivo, sviluppatosi nell'ultimo lustro nei paesi anglosassoni e rapidamente diffusosi nel mondo.
L'obiettivo del movimento è preparare e guidare le comunità negli inevitabili mutamenti sociali, economici e culturali provocati dal riscaldamento globale e dal progressivo innalzamento dei prezzi delle fonti energetiche fossili. Questo obiettivo viene raggiunto attraverso campagne di sensibilizzazione e stesure di documenti programmatici di ambito multidisciplinare (edilizia, agricoltura, sanità, istruzione...) in grado di guidare le comunità locali, ciascuna con le proprie peculiarità e le proprie caratteristiche, lungo un percorso di decrescita energetica a basso impatto.
Anche in Italia il movimento è in rapida espansione, con alcune comunità in cui la politica locale ha fatto proprie le idee del movimento realizzando quella sinergia che è la Città di Transizione vera e propria, e molte altre realtà che lentamente si stanno avvicinando a questo obiettivo. L'Emilia Romagna si è dimostrata il terreno più fertile per il movimento, con movimenti locali che spaziano dai piccoli comuni ai capoluoghi come Reggio Emilia o Ferrara, fino ad arrivare alla stessa Bologna; al di fuori dei confini regionali, spiccano realtà come Lucca, L'Aquila o Torino.
Siamo onorati di avere ospite di Città Democratica Cristiano Bottone, tra i fondatori del movimento a Monteveglio (BO), la prima Transition Town italiana e certamente il modello di riferimento per tutti i gruppi formatisi in seguito.

Cristiano Bottone, vuole spiegare cosa vi ha spinti alla creazione del movimento a Monteveglio?
Quando ti rendi conto della situazione effettiva del mondo in cui viviamo capisci che bisogna subito fare qualcosa. Ci sono però due problemi, non è facile arrivare a "rendersi conto" perché viviamo in una società estremamente complessa in cui capire cosa accade davvero e in modo oggettivo è paradossalmente davvero difficile. Serve il tempo di reperire i dati, l'abilità di scovarli e poi serve la forza per credere che siano veri. Così si scopre che è finita l'era del petrolio a basso prezzo e cosa questo significherà per le nostre economie e i nostri stili di vita. Si scopre che stiamo modificando il clima in modo irreversibile, distruggendo la biodiversità, inquinando talmente tanto che i nostri figli nascono già programmati per ammalarsi, producendo un debito mondiale incolmabile, aumentando il livello di paura ansia e infelicità nel mondo invece di ridurlo, ecc.
I dati parlano chiaro e fanno paura ma, se arrivi a conoscerli, poi ti guardi intorno e pensi che non puoi restare con le mani in mano. Qui nasce il secondo problema: che fare in una situazione così difficile? Mentre ero alla ricerca della risposta ho scoperto Rob Hopkins e le attività del Movimento delle Transition Towns. Ho colto la straordinaria novità che rappresentava e subito pensato che potevamo farlo anche noi in Italia, almeno potevamo provare. Io vivo a Monteveglio e ho iniziato da lì, con la fortuna di incontrare altri nella mia comunità interessati a sperimentare questo percorso.


Quali sono state le tappe più significative del processo?
Tutto parte dal comprendere la realtà, dal diventare consapevoli, dall'arrivare a capire che un cambiamento è necessario e non può che portarci grandi benefici. Quello che si fa in una iniziativa di Transizione è creare un piccolo gruppo di persone disposte ad agire come facilitatori del processo (il concetto di facilitazione è poco conosciuto in Italia, ma molto diffuso nei paesi anglosassoni). Il loro compito è creare le condizioni perché il resto della comunità possa partecipare alla riprogettazione collettiva del proprio modo di vivere.
Grazie alle prime sperimentazioni avvenute all'interno del movimento, abbiamo capito che ci sono una serie di passaggi cruciali che aiutano il processo, vengono normalmente chiamati i 12 passi e permettono al Gruppo Guida di procedere con una certa sicurezza nelle prime fasi di lavoro.
Si parte sempre dalla consapevolezza, dal mettere a disposizioni di tutti i dati necessari a comprendere la realtà in cui viviamo. Si cerca inoltre di ricucire le relazioni all'interno della comunità. Può trattarsi di un piccolo centro (come Monteveglio) o di una strada di Roma o Milano, in ogni caso si scopre subito che tra le persone non ci sono più relazioni, canali di comunicazione, familiarità, solidarietà, rapporti. Questo è il secondo compito del Gruppo Guida, fare da ponte tra i tanti attori della comunità. Quando queste condizioni cominciano a realizzarsi, il resto viene quasi da solo, le persone scoprono la voglia di "fare qualcosa" e trovano altre persone con cui farlo, il processo è partito, ora va solo facilitato.


Quali sono state le principali difficoltà nel processo di sensibilizzazione della popolazione locale?
Bisogna sapere che il lavoro di ricucitura che descrivevo prima sarà quasi sicuramente lento e progressivo. All'inizio si procede anche con una persona alla volta, ma va benissimo così. Si scoprirà poi che si tratta di un processo esponenziale e quindi, arrivato a un certo punto comincerà ad accelerare in modo naturale.
Il vero problema è che se non si è preparati a questo ci si potrebbe demoralizzare nelle fasi iniziali e smettere di fare le cose nel modo giusto. L'attuale sistema ci spinge a organizzare cose inutili, come riempire sale da 300 persone per vedere un bel documentario sul riscaldamento globale. In questo modo ci sembra di fare prima, di arrivare a tante persone, ma non è così. L'effetto che si ottiene lavorando su piccoli gruppi, direttamente a casa delle persone è infinitamente più potente, in quella condizione le persone possono davvero pensare e interrogarsi. L'altra accortezza è nel lasciare spazio a ogni tipo di reazione. A noi interessa fornire le informazioni, non soluzioni preconfezionate. Non giudichiamo nessuno, non dividiamo il mondo in buoni e cattivi. Non proponiamo dogmi o ricette o buone pratiche. È grazie a questo atteggiamento che le persone, quando si sentono pronte, cominciano a modificare pezzetti della propria vita. È così quindi che la realtà delle cose comincia a cambiare.


In quali sottogruppi risulta attualmente strutturato il movimento a Monteveglio?
A Monteveglio non ci sono sottogruppi molto strutturati e la cosa sinceramente mi fa molto piacere. Certo c'è chi preferisce impegnarsi in attività agricole, nell'autoproduzione, nell'insegnamento, negli aspetti tecnologici, ma alla fine notiamo una bellissima trasversalità. È naturale che sia così. Non si può parlare di agricoltura senza parlare di energia, di educazione, di edilizia e di tutto il resto. Non esistono tematiche isolate, ogni cosa dipende da tutte le altre. E quindi, anche chi è appassionato di pannelli fotovoltaici è facile che voglia fare il pane, scoprire l'alimentazione sostenibile, partecipare al PiediBus, ecc.

Vuole illustrare brevemente le road map definite dal movimento per la comunità?
Questa domanda è molto utile. L'idea comune è che ci sia qualcuno, "il movimento" ad esempio, che definisce la road map della comunità. Quello che noi facciamo è lavorare perché sia la comunità a definire la road map della comunità: una bella rivoluzione quindi.

Vista da fuori, forse con un pizzico di ignoranza e pregiudizio, una Transition Town può essere vista come una versione riveduta e aggiornata di una comune hippy. Vuole dare invece un'immagine più concreta e veritiera di cosa significhi vivere in una Città di Transizione?
Una Città di Transizione non è una "comunità volontaria", ma esattamente l'opposto. In una comunità volontaria tante persone che si sentono affini tra loro, magari perché condividono una certa religione o un certo modo di interpretare la vita, si separano da tutti gli altri in modo da fare quello che vogliono senza interferenze.
L'idea della Transizione è che le persone che già condividono uno spazio fisico perché vivono tutte nella stessa zona di una città, o in un piccolo centro, possono trovare il modo di rispondere collettivamente alle sfide del presente conservando la loro identità e libertà. Anzi, a dire il vero, la nostra idea è che libertà, responsabilità e consapevolezza siano enormemente accresciute da questo processo, permettendo al gruppo di immaginare le proprie strategie per il futuro.
Nella Transizione non c'è proprio nulla di naïf, tutto si basa sulle più avanzate consapevolezze scientifiche e sociologiche di cui disponiamo come razza umana. I contributi a questo processo sono arrivati e continuano ad arrivare dalla scienza sistemica, dalla ecopsicologia, dai fisici, dai climatologi, dagli psicologi delle dipendenze, dal marketing, dall'ambito della facilitazione. La Transizione può assomigliare, osservata da lontano, ad altre cose che abbiamo già visto, ma è assolutamente diversa da tutto. È per questo che molti credono, stanno cominciando a crederci anche istituzioni e politici, che sia l'esperimento più in interessante in corso al momento.


Affinché un Comune possa diventare realmente una Città di Transizione, vi deve essere, immagino, un recepimento della vostra road map a livello legislativo locale. Come sono i rapporti con il Comune di Monteveglio?
Anche questa domanda è sintomatica. Per quel che ci riguarda, si diventa Città di Transizione quando nasce il Gruppo Guida, ovvero quando qualcuno avvia il processo nel proprio contesto sociale. Non può farlo un comune o una istituzione formale. Non si può diventare Città di Transizione per delibera.
Quello che le pubbliche amministrazioni possono invece fare è supportare il processo, o anche facilitarne la nascita diffondendo informazioni, organizzando incontri divulgativi, fornendo spazi, risorse, ecc.
Monteveglio è un caso un po' speciale, al momento viene citato in tutto il mondo come l'esempio più interessante di collaborazione tra iniziativa di transizione e amministrazione locale. La nostra giunta ha infatti deliberato una partnership strategica con l'associazione Monteveglio Città di Transizione, dichiarando di condividerne visione e obiettivi e impegnandosi ufficialmente a fare la propria parte nel processo in corso.


Quali sono i principali provvedimenti presi dal Comune tra quelli da voi proposti?
Con il Comune si cerca di lavorare in gruppo, quando si individua l'energia nella comunità per affrontare un certo tema, ognuno cerca di fare la propria parte per facilitare il processo. Facciamo un esempio? Quando è nato il gruppo di acquisto di impianti fotovoltaici i facilitatori della transizione (il Gruppo Guida) si sono occupati delle parti informative, divulgative e del lavoro di gruppo necessario a prendere le decisioni, analizzare le offerte dei potenziali fornitori ecc. Il Comune si è preoccupato di semplificare il regolamento comunale per l'installazione e ha fatto in modo che l'ufficio ambiente fornisse alle persone interessate le modalità di ingresso nel Gruppo di Acquisto, ha partecipato agli incontri divulgativi per sostenere l'iniziativa.

Le tematiche ambientali, in Italia, costituiscono un punto di scontro politico. Vi sono state difficoltà particolari nell'avvicinare la gente al vostro movimento legate a questo problema? Avete mai rischiato di apparire come politicamente schierati, o di essere strumentalizzati da una parte politica?
A noi si avvicina chi si vuole avvicinare, e chi non si vuole avvicinare ha tutto il diritto di non farlo. Non c'è altro modo, se si vuole rispettare la liberà di ognuno. Per quanto riguarda il rischio di strumentalizzazione è chiaro che i tentativi ci sono e il rischio è sempre presente. C'è però da dire che la politica o i partiti non sono minimamente attrezzati per gestire un processo di questo tipo, quindi i tentativi visti fino ad ora sono stati piuttosto goffi e a volte si risolvono in piccoli boomerang per chi li pratica.
Anche il rischio di apparire schierati è sempre presente, soprattutto per chi osserva da lontano, rimanendo un po' esterno, per chi non approfondisce. In alcuni casi, sia in Italia che all'estero, è invece il Gruppo Guida stesso che finisce per schierarsi è lì il processo finisce o si trasforma in altro. Può capitare ed è già capitato.


Affinché i risultati ottenuti nel tempo non vadano persi al primo cambio di legislatura, occorre che l'intero mondo politico locale sia convinto della bontà delle vostre ragioni. Realmente la transizione è ormai nel DNA dell'intera comunità, o la sopravvivenza di Monteveglio come Transition Town dipende dal colore del sindaco?
No, questo non è un gioco. Il petrolio non smetterà di esaurirsi al prossimo cambio di sindaco, non importa di che colore sia. Lo stesso vale per il cambiamento climatico, la sicurezza alimentare ecc. Non c'è alcuna volontà di politico locale in grado di alterare le leggi della termodinamica o di fermare l'entropia. Agli atomi che compongono questo pianeta non interessa cosa pensiamo, loro fanno gli atomi e basta. Se il rame finisce, non telefona prima ai partiti per chiedere se può esaurirsi o se la cosa può causare disturbo.
La transizione non dipende dal sindaco, o dai politici o dai capi di stato. La transizione è già in corso, ci siamo tutti dentro, quello che si può cercare di fare è di guidarla invece che subirla, di sfruttarla come occasione per progredire e stare meglio invece che crollare nel caos. La Transizione non si diffonde perché noi siamo bravi o perché conosciamo qualche trucco, si diffonde perché quando le persone aprono gli occhi capiscono che devono intervenire in ciò che accade.


Monteveglio si può considerare la capostipite, il riferimento delle Transition Towns italiane. In che modo avete contribuito alla diffusione del movimento nel nostro Paese?
Sin dall'inizio abbiamo creato anche Transition Italia, che ha sede a Monteveglio e si occupa delle attività di facilitazione e formazione a livello nazionale e anche europeo, perché siamo stati i primi a partire nell'Europa continentale. Alcuni dei nostri facilitatori stanno aiutando il lavoro anche in Austria, Germania e Francia.
Più in generale Transition Italia si occupa anche di mantenere attive tutte le relazioni con il network internazionale.


Un'ultima domanda: come immagina la Monteveglio del futuro, e, con un pizzico di ambizione, l'Italia del futuro?
Immagino un luogo davvero magnifico, circondato da boschi e coltivazioni sostenibili gestite da una fitta rete di produttori locali. Gran parte del cibo e delle risorse necessarie alla vita della comunità proverrà dal territorio. Il patrimonio edilizio sarà progressivamente riconvertito in modo da non richiedere l'uso di energia fossile e non produrre emissioni dannose. Una rete stradale più leggera permetterà gli spostamenti necessari verso le comunità vicine e l'accesso alla rete ferroviaria per gli spostamenti più lunghi.
L'economia locale sarà nuovamente prospera e la ricchezza prodotta dagli abitanti servirà di nuovo a creare valore lì dove vivono. La vita delle persona sarà più connessa e sensata, piena di significato, la disoccupazione sconosciuta. Avremo molto più tempo per vivere, tanto capitale naturale e tanta resilienza su cui fare affidamento. Scuole di tipo completamente nuovo e in grado di trasmettere e espandere la cultura dell'equilibrio e dell'equità invece che quella della competizione, il pensiero sistemico si affiancherà stabilmente alla capacità di approfondimento un po' miope che ora domina la scena culturale.
La maggior parte dell'energia necessaria arriverà da un mix di fonti geotermiche e eolico di alta quota. La vita culturale e la ricerca saranno enormemente favorite dall'apertura a una grande rete mondiale di comunità simili e similmente aperte allo scambio e all'interazione, vicine, lontane, lontanissime.
Immaginate poi un'Italia, con tutte le sue ricchezze naturali e culturali, popolata di tante cellule di organizzazione sociale come questa ed ecco che il nostro paese risulterà uno dei luoghi più belli della Terra. Questa riorganizzazione permetterebbe infine alle aree del mondo che ancora non vedono risposta nemmeno ai problemi primari dell'uomo di svilupparsi in equilibrio con le proprie risorse.
Suona di utopia, ma sappiamo che si può fare.


Ringraziamo ancora il dottor Bottone per la cortesia e la disponibilità, e rinnoviamo i nostri migliori auguri per questa iniziativa che, grazie anche al suo impegno, è diventata ormai un esempio da imitare nell'intero Stivale.
Per saperne di più, rimandiamo al blog ufficiale Monteveglio Città di Transizione, una vera miniera di informazioni per tutti gli interessati, e a Transition Italia per informazioni generali sul movimento.

L'intervista è disponibile in formato .pdf a questo link.

mercoledì 20 aprile 2011

Il PdL: no all'antifascismo

Cristiano De Eccher (PdL)

Il 19 aprile 1945 si può dire che inizi il compimento della Guerra di Liberazione italiana, con l'ordine, arrivato dai vertici del CLN, dell'attacco generale. I partigiani scesero dalle montagne nei centri cittadini del nord del Paese, occuparono le fabbriche e le sedi dei giornali, mentre i nazifascisti battevano ovunque in ritirata. Il 21 aprile venne liberata Bologna, a Modena toccò il 22, Reggio Emilia e Genova il 24, Parma, Milano e Torino il 25 aprile.
Il 27 aprile Benito Mussolini venne catturato a Dongo, e impiccato il giorno seguente.
Il 29 aprile, finalmente, la resa dell'esercito tedesco: il CLN assunse tutti i poteri civili e militari. La guerra, sul suolo italiano, era terminata.
Infine il 2 maggio, a due settimane circa dall'inizio dell'attacco finale, la Resistenza italiana ebbe termine, almeno nei campi di battaglia: il generale britannico Alexander ordinò infatto la smobilitazione delle forze partigiane e la consegna delle armi.

A monito di quei momenti, con il Decreto Legislativo Luogotenenziale 185/1946, prima ancora della nascita della Repubblica, veniva individuato il 25 aprile, giorno della liberazione delle maggiori città del nord dell'Italia, come data dedicata al festeggiamento dell'Anniversario della Liberazione.

Da allora sono passati 66 anni, ma quest'anno, nel 2011, vi sarà un motivo in più per ricordare questa data ed i valori che ha rappresentato e rappresenta ancora.
Uno dei pilastri fondanti della Repubblica Italiana è il rifiuto dei valori del fascismo, l'imposizione della volontà della maggioranza, l'antidemocraticità, l'intolleranza. I padri costituenti, al momento della scrittura della Carta Costituzionale, inclusero un riferimento esplicito al ventennio mussoliniano, nella XII disposizione transitoria e finale.

È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.
In deroga all'articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dall'entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista.

Sulla base si questo principio è stata approvata la Legge 645/1952, la cosiddetta "Legge Scelba", pilastro della legislazione italiana in materia di antifascismo.

Proprio questo pilastro è oggi in pericolo, minato alle sue basi: il 29 marzo 2011 è stata infatti depositato al Senato l'Atto 2651, una proposta di legge costituzionale volta proprio all'abolizione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione. Senza di essa, naturalmente, la Legge Scelba si troverebbe senza alcun sostegno giuridico e anzi in aperto conflitto con altri articoli della Carta, e destinata quindi a sua volta ad una sua rapida abrogazione.
I firmatari della proposta sono stati quattro esponenti del PdL (Bevilacqua, De Eccher, Di Stefano e Totaro) ed uno di FLI (Digilio). Quest'ultimo ha poi ritirato il proprio supporto alla proposta di legge, mentre il senatore Bornacin (PdL) ha in seguito aggiunto il proprio sostegno aggiungendosi ai firmatari dell'atto.
Malgrado lo sdegno e l'opposizione che la presentazione dell'atto hanno suscitato in tutti gli schieramenti politici, PdL compreso, la proposta di legge non è stata ritirata, e giace in attesa dell'assegnazione alla I Commissione del Senato, pronta ad essere brandita come una clava politica all'occorrenza.

Le motivazioni formali che hanno provocato la presentazione della proposta di legge, reperibili nella relazione associata al progetto di legge, sono il risultato di un ragionamento basato su due fondamenta: la prima riguarda la "transitorietà" della disposizione, ormai in vigore da oltre sessant'anni e quindi con un carattere che di transitorio ha ormai ben poco; la seconda concerne invece il termine "disciolto", utilizzato in tal senso per stabilire che i padri costituenti si riferivano espressamente al partito fascista mussoliniano, quello attivo fino alla II Guerra Mondiale. Poiché, ragionano i promotori della legge, al giorno d'oggi esistono ben poche possibilità che appaia sulla scena politica un partito con le caratteristiche del PNF, la XII disposizione non ha più senso di restare in vigore.
Secondo i promotori dell'atto, la stessa interpretazione della disposizione offerta dalla Legge Scelba risulta quindi essere eccessivamente restrittiva, in quanto considera riconducibili al fascismo atti e ideologie non direttamente associabili al partito mussoliniano.

Per tentare di valutare in maniera oggettiva la proposta di legge, occorre affrontare la questione da tutte le angolazioni possibili.
La prima domanda, naturalmente, è cui prodest? A chi gioverebbe l'abolizione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, e con essa della legge Scelba? La risposta è evidente: a chi ha interesse a fondare gruppi e associazioni di stampo fascista, magari sotto altro nome. A tale proposito è emblematica la figura del primo firmatario della proposta di legge, il senatore Cristiano De Eccher.
Trentino di origine, De Eccher è stato responsabile del Triveneto dell'organizzazione di estrema destra di ispirazione nazionalsocialista Avanguardia Nazionale, fondata nel 1960 da Stefano Delle Chiaie e poi disciolta nel 1976. Amico di Franco Freda, organizzatore della strage di Piazza Fontana secondo la sentenza del 2004 ma improcessabile in quanto precedentemente assolto in via definitiva per il medesimo crimine, a stretto contatto con i servizi segreti - la notizia della perquisizione nella sua dimora raggiunse direttamente il numero due del SID, il generale Maletti - De Eccher, secondo le testimonianze non verificate dei pentiti Izzo e Calore depositate alla Procura di Milano, sarebbe stato nientemeno che il custode dei timer delle bombe di Piazza Fontana, il terribile attentato nel cuore di Milano del dicembre 1969 che costò la vita a diciassette persone.
Dopo Piazza Fontana De Eccher venne sospettato di coinvolgimento in altri attentati riconducibili al terrorismo nero nel 1971 e 1972, fino poi ad essere arrestato nel 1973, per un ennesimo tentato attentato, e ancora nel 1975 come organizzatore di attività eversive in seno ad Avanguardia Nazionale. Nel 1992, dinanzi al giudice Salvini, dirà: Sono già condannato per oltraggio a pubblico ufficiale e a due anni di reclusione per ricostituzione del disciolto partito fascista.
Ed ecco come l'Atto 2651 improvvisamente può essere visto come il coronamento delle cupe ambizioni di un uomo, o per meglio dire di un gruppo di uomini, di ottenere per vie legali ciò che non riuscirono ad avere con le bombe ed il sangue.

In seconda analisi, naturalmente, si può provare a capire se e quanto l'interpretazione della Costituzione offerta dai promotori della proposta in analisi sia plausibile e corretta.
Il primo ragionamento esposto da De Eccher e dagli altri firmatari non è di fatto consistente: essi pongono l'accento sul termine "transitoria" del capo di cui fa parte l'articolo, ma l'insieme delle disposizioni è definito nella Carta come "transitorie e finali". I padri costituenti erano quindi ben decisi a inserire a margine della Costituzione degli articoli senza particolari scadenze temporali accanto a quelli con valenza solo temporanea. In particolare, sono stati i padri costituenti stessi a specificare quali disposizioni fossero transitorie e quali fossero finali esplicitando all'interno di ciascun articolo la sua eventuale durata temporale. Il fatto che tale accorgimento non sia stato usato per la XII disposizione la rende automaticamente appartenente all'insieme delle finali, e non a quello delle transitorie. Lamentare la sua permanenza del tempo adducendo a motivazione il termine "transitorio" è dunque semplicemente non corretto.
I promotori dell'Atto 2651 sostengono poi che il divieto di ricostituzione fosse circostanziato al PNF mussoliniano. In realtà l'intera nostra Costituzione è permeata dei valori dell'antifascismo, ed è pertanto naturale far discendere da questo - come ha recepito la Legge Scelba - che siano i valori del fascismo quelli da vietare e combattere, e non la costruzione di un'entità politica ben limitata storicamente. Questa lettura permette anche di capire il perché questo articolo sia stato inserito tra le disposizioni e non all'interno della Carta vera e propria: di fatto costituisce un'eccezione ai principi descritti nella Costituzione, un'eccezione motivata dalla necessità di escludere tutte le forze estranee ed avversarie ai valori contenuti nella Carta stessa. La Costituzione è scontrata quindi con la necessità logica di violare le regole che rappresenta per impedire rappresentanza politica a chi osteggia e combatte quei medesimi valori, e ha risolto l'impasse in maniera sufficientemente elegante posizionando tale articolo non all'interno della Carta stessa, ma in una sua appendice, ovvero un elemento esterno dotato però del medesimo valore legale.
Una simile lettura, valoriale anziché letterale, appare quindi - oltre che più elegante dal punto di vista formale - sia maggiormente vicina al senso comune, sia avallata dal contenuto della Legge Scelba, legge non per nulla osteggiata dai promotori dell'Atto 2651.

La necessità di proteggere la struttura democratica della legge italiana da violazioni di stampo dittatoriale e autoritario è la base dell'obiezione che si può muovere ad un terzo tipo di critica, ovvero che la XII disposizione costituisca una violazione della libertà di pensiero e di espressione e come tale sia un grave errore compiuto dai costituenti.
Senza alcun dubbio il fascismo fu un movimento popolare con un vasto seguito, rappresentativo di un'idea politica e sociale e di un certo modello di società. Tuttavia tale modello risulta incompatibile con la sopravvivenza delle istituzioni di tipo democratico. Il rifiuto di ammettere il fascismo - inteso in senso lato, come persecuzione delle opposizioni, come autoritarismo, come accentramento dei poteri in pochissime mani, se non una soltanto - nella vita politica del Paese deve quindi essere visto come il rifiuto di ammettere ideologie distruttive per la convivenza civile e democratica del Paese; non quindi privazione della libertà di espressione, ma anticorpo indispensabile per la sopravvivenza dello Stato democratico quale noi lo conosciamo.

Quest'anno, il 25 aprile ha veramente un motivo in più di essere festeggiato.

lunedì 18 aprile 2011

Dati AGCom marzo 2011

Logo dell'AGCom

Sono stati resi disponibili, sul sito dell'AGCom, i dati relativi al pluralismo politico ed istituzionale relativi al mese di marzo 2011, l'ultimo prima che l'apertura della campagna elettorale in vista delle amministrative primaverili dia uno stretto giro di vite alle norme sulla par condicio.
In questo mese, che ha visto alla ribalta temi di grande rilevanza internazionale - la crisi libica, il disastro nucleare in Giappone, la disfatta elettorale della Merkel in Germania - le ore che i telegiornali hanno dedicato alla politica e ai politici del nostro Paese sono state circa 168, in forte calo dalle 201 di febbraio e in numero inferiore anche rispetto alle 188 di gennaio.

Dati AGCom marzo 2011

Rispetto a gennaio e febbraio il trend di assoluto predominio governativo nei telegiornali italiani subisce una vera e propria impennata, a scapito questa volta non solo della maggioranza ma anche dell'opposizione, riducendo in maniera determinante il pluralismo delle voci. In particolare, come si può vedere dalla tabella, è il Governo (Presidente del Consiglio escluso) a dominare la scena, con quasi il 28% del tempo complessivo. Per fare un paragone, il partito più presente nei telegiornali, il PD, è stato accreditato del 12% del tempo di antenna, meno della metà.

Dati AGCom marzo 2011 aggregati per
Istituzioni - Maggioranza - Opposizione

Come mostra il grafico, il tempo istituzionale supera in media il 60% del tempo complessivo, in crescita del 6% sul mese precedente. È da notare come nei due telegiornali più visti, TG1 e TG5, il valore sia ben superiore a tale cifra: sono testate meno note ad abbassare la media. In particolare, solo in due telegiornali - TG4 e MTVFlash - il tempo dedicato alle istituzioni cala al di sotto del 50%. I picchi più alti, almeno tra i TG che offrono un congruo tempo complessivo, sono costituiti da Studio Aperto e proprio dal TG1 minzoliano, che si dimostra quindi un vero e proprio megafono delle parole del Governo. All'interno del tempo istituzionale è in netta crescita il Presidente della Repubblica, più volte chiamato al suo ruolo di guardiano della Costituzione, ma mentre Berlusconi appare lievemente defilarsi dalla scena (15%, -6% dal mese di febbraio), è il Governo a dominare la scena telegiornalistica in maniera assoluta, con il 28% del tempo complessivo (+6% dal mese di febbraio).

Dati AGCom 2011 aggregati per
Istituzioni - Maggioranza - Opposizione

Sia la maggioranza che l'opposizione soffrono lo strapotere istituzionale nei telegiornali, ma mentre la prima resta sostanzialmente stabile rispetto al mese scorso, la seconda scende bruscamente dal 31% al 24%. Se, quindi, nel mese di febbraio la distonia mediatica era tutta interna al centrodestra, marzo apre un nuovo vulnus nella qualità dei telegiornali italiani, danneggiando in maniera molto rilevante anche l'opposizione.

Dati AGCom marzo 2011 aggregati per
area politico-culturale

Togliendo dal conteggio il tempo istituzionale e suddividendo il residuo per schieramento politico, si vede come il centrosinistra torni ad essere lo schieramento prevalente in questo particolare conteggio temporale, anche se tale risultato è ottenuto solo perché la Lega Nord è stata inserita nel gruppo "destra" e non "centrodestra". Il TG4 ed il TG La7 sono le testate che danno il maggior spazio all'area moderata, mentre TG5 e Rainews si sono invece rivelate questo mese le testate che hanno offerto maggiore risalta al fronte progressita dell'agone politico.

Dati AGCom 2011 aggregati per
area politico-culturale

Dal confronto con i mesi precedenti si nota un certo effetto elastico rispetto a febbraio: le formazioni centriste e la Lega Nord si riportano su valori analoghi a quelli di gennaio, mentre è degno di nota il fatto che la sinistra cosiddetta radicali, pur tenuta ai margini della vita mediatica del Paese, sia riuscita ad avvicinarsi all punto percentuale del tempo disponibile.

Dati AGCom 2011 aggregati per mese

Il calo del centrodestra rispetto al mese di febbraio può essere imputato senza alcun dubbio al forte ridimensionamento di FLI: la formazione finiana è infatti scesa dal 9% del mese precedente al 2,8% di marzo. I due principali partiti appaiono anch'essi in calo, più modesto quello del PdL, più sostanzioso quello del PD che resta però la formazione politica predominante nei TG italiani. Gli altri partiti appaiono generalmente stabili, anche se è possibile individuare un lento e costante trend di discesa dell'UdC di Casini; nel mese di marzo le tre formazioni principali del Terzo Polo - UdC, FLI e ApI - hanno totalizzato un 5,4% complessivo, a fronte del 12,1% di febbraio: di certo non lo slancio giusto per iniziare al meglio la campagna elettorale per le amministrative.

Esaminando infine il comportamento dei telegiornali, la distorsione portata dal predominio mediatico del Governo premia i telegiornali che tendono a limitare questo effetto: sono quindi TG4 e MTVFlash le testate giornalistiche più virtuose da questo punto di vista, seguite a distanza dal TG3. Le più rispettose delle prerogative dell'opposizione, che si avvicinano maggiormente alla percentuale del 33% che le spetterebbe da par condicio, sono invece MTVFlash, Rainews e TG3.
Il mese di marzo costituisce in generale un severo campanello di allarme per la qualità dell'informazione televisiva: il superamento della soglia psicologica del 60% da parte di una qualsiasi delle tre componenti che normalmente si dividono equamente lo spazio mediatico, unito al fatto che entrambe le principali testate telegiornalistiche presentano tale parametro al di sopra della media, è un chiaro indice di come i telegiornali italiani siano sempre meno in grado di fare informazione equilibrata e di qualità. Un pessimo auspicio per l'apertura della campagna elettorale, dove al contrario di sarebbe bisogno del massimo rigore nell'applicazione delle regole.

venerdì 15 aprile 2011

Economia, proposte di destra e di sinistra

Pierluigi Bersani (PD) ed il Ministro Giulio Tremonti (PdL)

Il 13 aprile 2011, nel corso della seduta 136 del Consiglio dei Ministri, è stato approvato il Documento di Economia e Finanza Pubblica, il piano di bilancio che l'Italia deve annualmente presentare all'Unione Europea.

Tale documento è composto da tre parti: un programma di stabilità, un'analisi delle tendenze della finanza pubblica, e per finire un Programma Nazionale per le Riforme, contenente i principali punti in cui la politica deve concentrarsi in campo economico per seguire il rilancio e la crescita del Paese e accompagnarlo all'uscita della crisi economica.
Proprio su quest'ultimo punto si gioca uno scontro - per una volta veramente politico - tra maggioranza ed opposizione, perché il Partito Democratico ha pubblicato sul proprio sito un contro-PNR, presentando a sua volta la propria ricetta economica.

L'analisi e la comparazione dei due documenti è quindi una rara e preziosa occasione per misurare le proposte dei due principali schieramenti italiani su un tema vitale della vita del Paese.

Per confrontare le opposte visioni politiche del governo e dell'opposizione le due proposte verranno scomposte in aree tematiche, analizzate poi singolarmente.


Lavoro e occupazione


Le proposte del Partito Democratico sono incentrate sulla lotta alla precarietà: introduzione del salario minimo garantito e degli ammortizzatori sociali, detassazione dei contratti a tempo indeterminato e maggiori tasse sui contrari flessibili, in maniera da renderli economicamente equivalenti per i datori di lavoro.
La priorità del governo è invece incentrata sul'incremento del livello di occupazione, specie nel Mezzogiorno, da ottenersi principalmente attraverso il potenziamento del contratto di apprendistato.

I due schieramenti, su questo punto, appaiono sostanzialmente concordi a livello di intenti. Il Partito Democratico si mostra maggiormente propositivo, specificanto tre proposte concrete, laddove la proposta del governo ha più l'aria di una generica dichiarazione di intenti a cui devono ancora fare seguito le definizioni degli interventi specifici.


Fisco


Per il centrodestra la priorità è ridurre il numero delle imposte, che attualmente si aggira sulle 400 unità, con una generale semplificazione del quadro normativo vigente. Il centrosinistra privilegia invece ulteriori strumenti di raffinamento del calcolo delle imposte - in particolare l'IRPEF - in modo da arrivare a livelli di tassazione sempre più personalizzati, con l'obiettivo ultimo di eliminare le ingiustizie sociali legate alle una tantum.
Il centrodestra propone uno spostamento progressivo del carico fiscale dalle imposte dirette a quelle indirette, quindi dalla produzione al consumo di ricchezza; il centrosinistra risponde invece proponendo un trasferimento del carico fiscale dalla produzione all'immagazzinamento della ricchezza, con l'aliquota al 20% sui redditi da capitale - titoli di Stato esclusi.
Entrambi gli schieramenti auspicano poi un taglio delle tasse; il centrosinistra, in questo ambito, specifica chiaramente anche quantità e direzione, proponendo l'abbassamento al 20% dell'aliquota IRPEF oggi al 23%.
Il Partito Democratico individua poi nel sostegno familiare tramite detrazioni al lavoro femminile e nel bonus bebé un punto chiave della propria politica fiscale; introduce inoltre il meccanismo dell'imposta negativa, nella forma di credito verso lo Stato, per evitare gli effetti distorsivi della no tax area tali per cui una persona poco al di sopra di tale area finisce con il pagare di meno di una che vi rientra.

Sul tema fiscale, forse più che in ogni altro punto del PNR, emergono le differenze di fondo tra i pensieri di destra e di sinistra.
Da un lato la semplificazione del sistema impositivo, un effettivo aiuto per il cittadino nel capire il suo rapporto tributario con lo Stato; all'altro un calcolo pressoché ad personam, magari di difficile comprensione ma in grado di far fronte al maggior numero possibile di casistiche particolari, che un sistema più semplice metterebbe in un unico calderone. Su queste proposte pesa in maniera evidente il differente rapporto tra lo Stato ed i cittadini nelle due differenti ideologie: se per il centrodestra conta la chiarezza e la semplicità, il centrosinistra punta tutto su un rapporto basato sulla giustizia sociale. Da notare che il garante di tale rapporto, vista la complessità del sistema di tassazione proposto, sarebbe lo Stato; il rapporto di fiducia della cittadinanza verso le istituzioni, d'altra parte, è da sempre nel DNA della sinistra italiana.
Anche il punto in cui eseguire la tassazione è particolarmente indicativo delle due differenti ideologie: il centrosinistra predilige la produzione e l'utilizzo del denaro, intervenendo sostanzialmente sull'accumulo, sulla parte finanziaria e patrimoniale della ricchezza. Il centrodestra, dal canto suo, punta su produzione e accumulo operando sull'utilizzo del denaro.


Pubblica amministrazione


Così come per il fisco, anche nella concezione della pubblica amministrazione emergono le sostanziali differenze tra destra e sinistra.
Priorità del governo è infatti lo snellimento della burocrazia, laddove per l'opposizione è opportuno potenziare la macchina statale dotandola degli strumenti di analisi necessari a scoprire l'annidamento delle rendite e delle inefficienze.

La differente concezione dello Stato - meccanica, quella della destra, quasi olistica quella della sinistra - emerge ancora prepotentemente in questo passaggio. Di fatto, il centrodestra considera la macchina statale quasi uno strumento doloroso ma obbligatorio per la convivenza civile, puntando ove possibile a semplificarla, renderla snella e trasparente. Per il centrosinistra lo Stato deve essere invece un'entità attiva, che interviene con il proprio potere regolatore nella vita quotidiana dei cittadini, costituendo una sorta di sistema immunitario della collettività.


Sviluppo economico


Sul tema dello sviluppo economico da entrambe le parti pare mancare un quadro complessivo, una visione d'insieme che permetta di dare spinta giusta al sistema Italia nel suo complesso. Su entrambi i PNR appaiono invece proposte mirate e altamente specifiche, che se da un lato possono trovare semplice e pratica applicazione, dall'altro evidenziano l'impotenza della politica dinanzi a fattori macroeconomici ben più forti di questo o quel governo.
Il centrodestra punta sulla realizzazione di infrastrutture, con particolare riferimento ad opere di irrigazione nel meridione, credito d'imposta per ricerca e sviluppo, semplificazioni burocratiche e rilancio dell'edilizia privata.
Il centrosinistra risponde con il ripristino degli incentivi fiscali sulle energie rinnovabili così come presentato dal Governo Prodi, e con la ripresa del processo di liberalizzazioni avviato dall'allora Ministro dello Sviluppo Economico Pierluigi Bersani. A tale proposito, nel PD è attualmente in fase di realizzazione una lenzuolata di quarantuno proposte di liberalizzazioni, da presentare in Parlamento come controproposta alla modifica dell'articolo 41 della Costituzione voluto da Berlusconi.

Sicuramente nel PNR del PD spicca l'assenza di richiami alle infrastrutture, spia del contrasto che ancora vige nel partito sulla realizzazione di alcune opere controverse come la TAV; d'altra parte nel centrodestra l'assenza di qualsiasi politica volta a favorire la concorrenza induce serie riflessioni sulla reale portata liberale dell'opera di governo della compagine berlusconiana.
In entrambi i casi sono indubbiamente le esigenze di bilancio a ridurre drasticamente l'ambito di azione delle proposte di riforma, pertanto è da ritenersi corretta una lettura che vede nelle proposte elencate solo le priorità dell'azione riformatrice e non il completo elenco delle proposte di intervento.


Istruzione


Qui è solo il governo a dedicare una voce specifica, articolata in un piano per l'edilizia scolastica, un sistema di premi per i docenti più meritevoli ed una rete di prestiti a lunga durata e basso interesse per gli studenti più dotati.

Se da un lato è vero che il PD ha presentato a sua volta documenti specifici sul tema della scuola e dell'istruzione, l'assenza di una voce specifica nel suo PNR ne evidenzia una mentalità troppo a compartimenti stagni, incapace di vedere la necessaria compenetrazione tra i vari ambiti della vita del Paese e il loro apporto al suo sviluppo economico.


Europa


In quest'ultimo caso è invece il Governo ad essere colpevolmente assente.
Il Partito Democratico elenca una lista puntuale di proposte da sottoporre alla UE: la creazione di obbligazioni europee, garantite da tutti gli Stati, da utilizzarsi sia come fonte di finanziamento in modo da svincolare finanziariamente l'Unione dalle economie statali, sia come sistema di difesa contro gli attacchi speculativi alle economie nazionali; la definizione di uno standard retributivo europeo tra salari e produttività, in modo da allineare su questo punto i paesi della UE e limitare i fenomeni di delocalizzazione; piani europei per occupazione, ambiente e innovazione, finanziate attraverso gli eurobond e quindi con reale possibilità di applicazione indipendentemente dalla volontà dei singoli Stati.

L'assenza di proposte a livello europeo dal piano del Governo è ovviamente motivata dal fatto che si tratta di proposte che non hanno alcuna garanzia di essere messe in atto e su cui il Governo Italiano ha naturalmente poco controllo; diventano tuttavia molto interessanti nell'ottica di comprendere la posizione sul tema delle forze politiche, in questo caso del solo centrosinistra.
Come sempre, l'ala progressita del Paese si mostra fortemente europeista, e la proposta di dotare la UE di strumenti finanziari sovranazionali va nella direzione di indebolire la rete di veti e interessi delle entità nazionali che troppo spesso legano l'azione dell'Unione.


I due piani si presentano quindi in massima parte antitetici, e riflettono chiaramente le differenti vedute tra conservatori e progressisti in campo economico e ruolo dello Stato. Destra e sinistra, in Italia, paiono quindi ancora voler dire due cose realmente differenti, a scapito di chi lamenta un'irrefrenabile degenerazione della nostra classe politica verso un modello unico di riferimento, con scontri alimentati ad arte al solo scopo della conservazione del potere.

martedì 12 aprile 2011

Italia, razzismo e xenofobia

Una vignetta sul razzismo di Staino

Human Rights Watch è una ONG internazionale, con sede a New York, attiva nel campo dei diritti umani; la sua principale attività consiste nella produzione e nella pubblicazione di ricerche e studi sulle violazioni della Dichiarazione Universale dei diritti umani.

Il 21 marzo 2011 è stato pubblicato un rapporto di 81 pagine riguardante l'Italia (disponibile anche in formato .pdf) dal titolo L'INTOLLERANZA QUOTODIANA.
La ricerca è stata condotta da un lato valutando la situazione giuridica in Italia in termini di razzismo e xenofobia e giudicando gli interventi della politica in materia, e dall'altro attraverso testimonianze dirette, degli immigrati, delle forze dell'ordine e dei rappresentanti di varie ONG e associazioni operanti nel nostro paese, arrivando a collezionare oltre cinquanta testimonianze in grado, con riferimenti precisi e circostanziati, di gettare luce sul rispetto dei diritti umani nel nostro Paese.

Il risultato, non del tutto inaspettato, è tranchant: l'Italia è uno Stato sempre più xenofobo e razzista.

Il rapporto in primo luogo disegna lo stato attuale del Paese, utilizzando come fonte di partenza il Dossier Statistico Immigrazione Caritas-Migrantes 2010, di cui è disponibile sul sito della Caritas un abstract. Il quadro delineato risponde alle caratteristiche di un Paese meta dei migranti: nel 2010 erano quasi cinque milioni gli immigrati regolari - compresi i figli degli immigrati e i figli delle coppie miste - a cui sono da sommarsi circa un altro milione di irregolari.

Il secondo passaggio è la definizione della normativa vigente in tema di razzismo e xenofobia in Italia. Come spesso accade nel nostro Paese non sono le leggi a fare difetto, ma la loro applicazione. L'Italia, in effetti, ha una legislazione abbastanza esaustiva sul tema, sia attraverso la ratifica di documenti internazionali, sia attraverso la promulgazione di leggi statali.
Sotto l'egida delle Nazioni Unite l'Italia nel 1976 ha ratificato l'INTERNATIONAL CONVENTION OF THE ELIMINATION OF ALL FORMS OF RACIAL DISCRIMINATION e nel 1978 l'INTERNATIONAL COVENANT ON CIVIL AND POLITICAL RIGHTS. In entrambi i documenti viene ribadito il dovere di prevenzione dei reati di stampo razzista, quello di perseguimento e condanna dei colpevoli, ed in generale quello di dissociazione e distanza da atti razzisti di ogni genere.
In ambito europeo l'Italia nel 1955 ha ratificato la CONVENTION FOR THE PROTECTIONS OF HUMAN RIGHTS AND FUNDAMENTAL FREEDOMS1, che la vincola ad applicare i diritti previsti dalla Convenzione stessa senza alcuna limitazione basata - tra gli altri motivi - su razza, religione o nazionalità.
Il principale baluardo della legislazione italiana in tale ambito è tuttavia l'articolo 3 della Carta Costituzionale:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Il II Governo Berlusconi ha approvato in materia di razzismo e xenofobia il Decreto Legislativo 215 ed il Decreto Legislativo 216 in recepimento rispettivamente delle direttive europee 2000/43/EC e 2000/78/EC; tali decreti legislativi forniscono una cornice organica e complessiva della legislazione sul tema.
Il principale strumento di perseguimento penale è invece la Legge 205/1993, che consente al giudice di considerare un'aggravante la finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso. Per la legge italiana, l'applicazione di un'aggravante permette di aumentare la pena fino al 50% di quanto previsto dalla legge per il reato contestato. Inoltre, tale legge inserisce questo tipo di reati tra quelli che devono essere perseguiti d'ufficio, senza l'obbligo di una denuncia.
Dal 2005 è inoltre attivo in Italia l'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, uno sportello contro gli episodi di discriminazione, tra i cui compiti esiste espressamente il monitoraggio degli eventi discriminatori.

Con una simile base legislativa, dotata anche di strumenti concreti di azione, come è possibile che il nostro Paese sia definito razzista?

Human Rights Watch ha dato grande importanza al peso dato al tema della sicurezza durante la campagna elettorale del 2008, e alla progressiva identificazione tra gli eventi criminali e l'arrivo degli stranieri sul suolo italiano - sebbene studi indipendenti compiuti dalla Banca d'Italia non abbiano dato riscontri reali a questa visione.
Una serie di misure messe in atto dal IV Governo Berlusconi hanno poi gettato ulteriore benzina sul fuoco. I Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri 3676, 3677 e 3678 del 30 maggio 2008, nati a seguito del presunto tentativo di rapimento di una bambina da parte di un'adolescente di etnia rom e la successiva ritorsione della popolazione locale contro i campi nomadi hanno concesso poteri speciali alle amministrazioni locali, compreso quello dello smantellamento dei suddetti campi, il tutto senza far nulla per agevolare il sereno svolgimento dell'indagine - poi conclusasi con un nulla di fatto.
Con la Legge 94/2009 il Governo ha poi reso illegale il reato di immigrazione clandestina, compiendo un ulteriore passaggio logico: se prima lo stato di immigrato veniva associato alla delinquenza, adesso una parte degli immigrati viene resa delinquente per legge. Al tempo stesso la legge rende molto più difficile l'uscita dalla clandestinità, aumentando costi e requisiti per l'acquisizione di residenza e cittadinanza.

Non è poi da dimenticare l'utilizzo dei media in tal senso: in uno Stato dove la commissione tra potere politico e mezzi di informazione è quantomai stretta - non bisogna dimenticare come secondo Reporters sans frontières l'Italia non possa essere considerato un paese veramente libero dal punto di vista della libertà di stampa - spicca come, citando il report di HRW, durante la prima metà del 2008 è emerso che solo 26 delle notizie televisive 5.684 riguardanti immigrati non si riferiscono a questioni legate alla criminalità o alla sicurezza. La televisione è la principale fonte di notizie per l'80% della popolazione italiana. Un valore assolutamente sproporzionato e fuori linea con quello di qualsiasi altro Stato occidentale, che ha sollevato molti interrogativi presso i principali organismi internazionali.

Oltre ad un clima reso sfavorevole agli immigrati da esigenze elettorali, ed una legislazione orientata alla sommaria identificazione tra immigrati e criminali, sono stati svuotati di significato anche gli strumenti messi a disposizione dalla legge per l'osservanza dei diritti umani.
In primo luogo l'UNAR, per ben cinque anni, ha lavorato senza avere possibilità, nel proprio database, di specificare il razzismo tra le motivazioni delle discriminazioni. Questo significa, di fatto, che non esiste alcuna mappatura ufficiale dei casi di razzismo e xenofobia in Italia, lasciando buon gioco a chi tenta di stigmatizzare gli episodi più violenti a semplici episodi non indicativi di un clima nazionale. Solo nel settembre 2010 sono state finalmente apportate le necessarie modifiche.
La stessa Legge 205/1993, inoltre, è stata interpretata in maniera molto restrittiva. Complice una scrittura non chiarissima della legge, di fatto le aggravanti per razzismo vengono applicate solo quando il razzismo diventa la finalità ultima del reato, rimanendo quindi lettera morta nella stragrande maggioranza dei casi.

Secondo l'ONG americana, quindi, i passaggi in cui si costruisce la visione politica del governo nei confronti del problema del razzismo possono essere schematizzati nella seguente lista:
  • la minimizzazione del problema, la negazione di un crescente sentimento xenofobo e la riduzione degli episodi violenti a semplici casi isolati
  • una retorica anti-immigrazione sfruttata in chiave elettorale
  • la mancanza o in generale l'inadeguatezza dei dati oggettivi che possano far comprendere le reali dimensioni del fenomeno
  • gli scarsi investimenti sulla formazione specifica del personale poliziesco e giudiziario
  • la mancata assicurazione alla giustizia dei colpevoli di violenza motivata da odio razziale, e in generale l'atteggiamento di ammiccante simpatia che traspare dal governo per simili fenomeni
Intervistato a proposito da Human Rights Watch, Jean-Léonard Touadi (PD), primo e al momento unico deputato nero del parlamento italiano, prova a descrivere l'evoluzione del sentimento razzista in Italia, partendo dagli anni '90 e idenfiticando tre momenti focali del processo.
Da quell’estate [1991] il fenomeno immigratorio cominciò, e l'Italia iniziò a sentirsi invasa. I numeri erano bassi, ma si coltivò un sindrome d’invasione. E poi venne la crisi economica, e l'arrivo della Lega. Berlusconi arriva sullo scenario nel 1994 e trasforma la questione dell'immigrazione in una materia elettorale [...] e si inizia a enfatizzare i delitti compiuti da immigrati.
[...]
[Dopo l'11 settembre 2001] i musulmani sono amalgamati con la violenza e considerati il nemico dell'identità cristiana italiana. La Lega è protagonista ma partecipano grandi forze sociali quali cardinali, giornalisti e politici.
[...]
[Ora si stabilisce un] legame tra immigrazione e criminalità, e si fa confusione tra problemi sociali e problemi di ordine pubblico.
Le conclusioni tratte dal report sono quindi molto chiare. L'Italia è un paese in cui stanno crescendo sentimenti razzisti, alimentati ad arte in maniera da risultare del tutto sproporzionati alla situazione attuale del Paese. Nell'ideologia leghista, nella propaganda berlusconiana e nell'ignavia dell'opposizione HRW trova le principali cause - due attive ed una passiva - della deriva xenofova nello Stivale, e proprio per questa chiara identificazione delle responsabilità suonano quasi inutili i suggerimenti offerti al Governo e ai singoli Ministeri.
La situazione italiana appare particolarmente insidiosa proprio perché esiste una precisa e attiva volontà ad agire in senso contrario a quanto prescrive la Convenzione dei diritti umani, e quindi non vi sono reali tentativi di trovare una soluzione al problema. Un cambio di rotta, specie dopo gli ultimi schiaffi ricevuti dall'Europa in tema di immigrazione dopo la crisi libica, appare, ad oggi, solo una chimera.



1: la lista dei trattati dell'Unione Europea entra a far parte delle fonti del blog

sabato 9 aprile 2011

Caso Tedesco: qualcosa sta cambiando?

Alberto Tedesco (Misto)

Qualcosa sta cambiando nella classe politica italiana?
Nella tarda serata del 5 aprile la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato della Repubblica ha votato a maggioranza per l'arresto del senatore pugliese Alberto Tedesco (Misto, autosospesosi dal PD). I giochi non sono ancora fatti, la parola passa ora all'Aula, ma la notizia ha comunque un certo peso: dopo essere stati abituati dalle varie votazioni sui casi Cosentino, Caliendo o Berlusconi a vedere i politici approfittare dei privilegi derivanti dallo status di parlamentari, il rifiuto di negare l'arresto al senatore Tedesco spicca in maniera positiva, non per mero giustizialismo ma perché finalmente un membro della cosiddetta Casta verrà - se il voto sarà confermato dall'Assemblea - messo alla pari ad un cittadino comune nel suo rapporto con la legge.

Esaminando la composizione del voto in Giunta, tuttavia, si aprono ampi margini di considerazione e riflessione per come il voto è stato raggiunto.
Nella tabella che segue vengono riportati i dettagli della votazione della giunta; poiché la mozione - relatore Balboni (PdL) - riguardava il rifiuto all'arresto ed i voti sono riferiti al parere dei membri della giunta rispetto alla mozione stessa, i voti indicati come "favorevoli" sono da intendersi come contrari all'arresto di Tedesco e viceversa.


ContrariFavorevoliAstenutiAssenti
Adamo (PD)Balboni (PdL)Follini (PD)Izzo (PdL)
Casson (PD)Fazzone (PdL)Mazzatorta (LN)
D'Alia (UdC)Malan (PdL)Torri (LN)
Leddi (PD)Mugnai (PdL)
Legnini (PD)Orsi (PdL)
Li Gotti (IdV)Piscitelli (CN)
Lusi (PD)Saro (PdL)
Marinaro (PD)Sarro (PdL)
Mercatali (PD)Tancredi (PdL)
Sanna (PD)


Come si vede la vittoria del fronte dei contrari alla mozione è stata risicata, per 10 a 9, ed è stata possibile solo per la concomitanza di alcuni fattori fondamentali.
Da un lato l'opposizione ha dimostrato straordinaria compattezza: a parte Follini, presidente della giunta, tutto il PD ha votato compatto contro la mozione, e ai voti democratici si sono aggiunti quelli di tutta l'opposizione, IdV e UdC. Dall'altro lato la maggioranza si è spaccata tra un PdL che - a parte l'assente Izzo - ha votato a favore della mozione e una Lega Nord che al momento del voto ha abbandonato l'aula.

In realtà ogni gruppo parlamentare era pienamente consapevole del fatto che il voto sarebbe stato, proprio per le sue caratteristiche, un osservato speciale tra i più attenti analisti politici italiani, e aveva messo in atto strategie volte a capitalizzare il massimo consenso mediatico in una gara in cui il senatore Tedesco aveva ormai ben poco a che vedere.
L'attesa per la votazione era tutta per il Partito Democratico, chiamato ad una prova di coerenza verso il proprio elettorato e soprattutto verso i tanti delusi persi per strada: dopo essersi presentato come una formazione attenta ai temi della legalità nei casi Cosentino o Caliendo, era alta l'attenzione sull'atteggiamento che avrebbe tenuto il PD quando l'arresto era richiesto per un proprio rappresentante.

Proprio sulle indecisioni e sulle lacerazioni che i democratici avevano mostrato di avere nei giorni precedenti alle votazioni, presentando richieste di rinvii e audizioni di Tedesco, aveva puntato tutto il PdL: votando in maniera compatta a favore della mozione, sarebbero bastati pochi SI tra i democratici affinché la richiesta di arresto venisse respinta. In quella situazione, con un po' di enfasi mediatica, sarebbe stato facile mettere in evidenza le contraddizioni del Partito Democratico ed accusarlo di doppiogiochismo e moralismo a comando.

L'uscita dall'aula degli esponenti della Lega Nord - assieme ad Izzo - è stata forse la tattica migliore per gli esponenti del partito di Umberto Bossi. Come si vede dalla composizione della giunta, PdL, Lega e CN sono in grado di mettere assieme la maggioranza assoluta dei voti della commissione. Un voto coeso della maggioranza parlamentare sarebbe quindi in grado di far passare qualsiasi mozione, ma se la Lega avesse votato assieme al PdL contro l'arresto di Tedesco non sarebbe stato possibile per la maggioranza far ricadere alcuna responsabilità sui democratici, vanificando quindi la strategia messa a punto. Per i leghisti, alle prese con crescenti mal di pancia nella propria base elettorale a causa dell'appoggio alle leggi a favore della Casta se non smaccatamente ad personam del PdL, il non partecipare alla votazione è stato un modo per non avallare direttamente il salvataggio dell'ennesimo esponente della Casta e al tempo stesso partecipare alla trappola ordita dalla maggioranza.

La maggioranza si era quindi messa nella condizione di poter essere battuta - condizione necessaria per accusare l'opposizione di incoerenza - ma soltanto nel caso in cui la minoranza avesse dimostrato compattezza totale. Con una sola defezione la mozione sarebbe stata approvata e sarebbe stato espresso parere negativo sull'arresto di Tedesco.
Le tre forze di opposizione invece si sono dimostrate invece straordinariamente compatte: con l'eccezione del presidente della giunta Marco Follini (PD), astenuto come da prassi, tutti gli esponenti di PD, UdC e IdV hanno espresso parere contrario alla mozione, riuscendo a centrare quindi l'unico risultato utile per bocciarla e ritorcendo contro la maggioranza la trappola da questa ordita.

Naturalmente i giochi non sono ancora chiusi: la parola passa infatti adesso all'Aula del Senato, dove, almeno dalle prime dichiarazioni di Cicchitto, il PdL pare intenzionato a ripetere il gioco visto in giunta, probabilmente sperando che su numeri maggiori di persone coinvolte nel voto sia più facile trovare dei dissidenti nelle file democratiche.
Resta però dopo il risultato della votazione in giunta l'impressione che PD e PdL siano da oggi un po' meno uguali, e che il tema della legalità e dell'eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge possa aver attecchito anche nei fatti - e non solo negli slogan - nel DNA del Partito Democratico.
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