martedì 29 novembre 2011

Monti, e le province?

Logo dell'UPI

Il 5 dicembre il Governo Monti presenterà in Consiglio dei Ministri le prime misure contro la crisi economica, finanziaria e soprattutto di fiducia che attanaglia il nostro Paese; il cosiddetto "effetto Monti" ha bloccato la salita incontrollata dello spread che si era verificata negli ultimi tempi del Governo Berlusconi IV, ma non è stato sufficiente per ingenerare un meccanismo virtuoso di discesa in grado di calmierare interessi sul debito ormai insostenibile. È infatti chiaro che se il nostro PIL cresce di frazioni di punto percentuale ogni anno, ed il nostro debito a ritmi decine o di volte superiore il default per l'Italia sarà certamente una prospettiva inevitabile.

Nelle intenzioni del Governo rigore, crescita ed equità dovranno essere i tre pilastri su cui si baserà l'intera azione politica dell'esecutivo, come dichiarato dal nuovo Presidente del Consiglio nel suo discorso di insediamento al Senato della Repubblica.
Uno spazio rilevante di quel discorso di Monti era stato proprio dedicato all'equità, e all'interno di tale capitolo le riduzioni dei costi della politica costituivano un passaggio significativo del discorso del Presidente del Consiglio.

Ritengo inoltre necessario ridurre le sovrapposizioni tra i livelli decisionali e favorire la gestione integrata dei servizi per gli enti locali di minori dimensioni. Il riordino delle competenze delle Province può essere disposto con legge ordinaria. La prevista specifica modifica della Costituzione potrà completare il processo, consentendone la completa eliminazione, così come prevedono gli impegni presi con l'Europa.

Mario Monti ha quindi espressamente inserito l'eliminazione delle province - da ottenersi in due passaggi, prima con una riduzione con una legge ordinaria e successivamente una soprressione totale con legge costituzionale - nel suo programma di governo, eppure tra le mille indiscrezioni filtrate in attesa del Consiglio dei Ministri del 5 dicembre, non è apparso nulla del genere.
Una nuova riforma delle pensioni, una piccola patrimoniale, il ritorno dell'ICI... ma niente sulle province, ed in generale niente che possa essere ricondotto al tema della riduzione dei costi della politica, o, detto in altri termini, all'abbattimento dei privilegi della Casta.

Già in passato Città Democratica aveva tentato di offrire un metodo oggettivo e riproducibile per determinare quali sono le province superflue ed al contempo identificare un metodo semplice di aggregazione.
Il metodo è stato ad oggi ulteriormente raffinato, allo scopo di fornire una fotografia ancora più precisa - nonché aggiornata temporalmente - del quadro del Paese.

Lista delle province
italiane

La tabella sopra riportata mostra la lista delle province italiane, per le quali sono state riportate le informazioni relative a popolazione, superficie in km2 e prodotto interno lordo. La moltiplicazione di questi tre coefficienti è stata utilizzata per creare un coefficiente di merito, in cui svetta, staccando nettamente tutte le altre, la provincia di Roma. Infine, viene esplicitato un semplice rapporto percentuale tra i coefficienti, che evidenzia come tra la testa e la coda della classifica vi sia un rapporto di oltre 10.000.

Il processo di aggregazione si basa sui seguenti principi:
  • aggregare le province in maniera da ridurre di un fattore 10 il rapporto tra la provincia a coefficiente più alto e quella a coefficiente più basso
  • non unire province appartenenti a regioni differenti
  • unire una provincia alla provincia confinante con coefficiente più basso
  • non dividere i comuni appartenenti alla medesima provincia

Il risultato ottenuto può essere visualizzato nella seguente tabella.

Proposta di aggregazione
delle province italiane

Applicando le quattro semplici regole sopra esposte, è possibile in primo luogo ridurre le province italiane da 110 a 83, riportandole al valore più basso dal lontano 1926; sebbene si possa obiettare che rispetto a quel periodo la popolazione italiana è indubbiamente incrementata, è altrettanto innegabile che è aumentata la capacità e la velocità di fornire servizi, giustificando quindi il paragone.
Le regioni impattate dai cambiamenti sarebbero:
  • Abruzzo: da quattro a tre province
  • Basilicata: da due a una provincia
  • Calabria: da cinque a tre province
  • Campania: da cinque a quattro province
  • Emilia Romagna: da nove a otto province
  • Friuli Venezia Giulia: da quattro a due province
  • Lazio: da cinque a quattro province
  • Liguria: da quattro a due province
  • Lombardia: da dodici a dieci province
  • Marche: da cinque a quattro province
  • Molise: da due a una provincia
  • Piemonte: da otto a cinque province
  • Sardegna: otto a quattro province
  • Sicilia: da nove a sette province
  • Toscana: da dieci a otto province
  • Umbria: da due a una provincia
In tre casi (Basilicata, Molise e Umbria) si arriva ad avere una sola provincia, le cui funzionalità potrebbero essere assorbite dalla regione portando a 80 il numero complessivo degli enti.

Sia dal punto di vista geografico che da quello di vista politico la manovra di taglio è sufficientemente bipartisan per evitare campanilismi; al contrario, è piuttosto chiaro che si tratta di una manovra in grado di unire la Casta contro di essa. Ma proprio per questa ragione, quando ancora l'utilità di Mario Monti per i partiti è elevata e la crisi è da combattere, una simile riforma sarebbe da attuare con urgenza. Maggiori saranno i ritardi, maggiore sarà l'opposizione che i partiti sapranno mettere in campo.
Se Monti vuole dare un vero segnale di discontinuità al Paese, questo è uno dei punti principali su cui battere, forse non così rilevante dal punto di vista finanziario, ma sicuramente vincente dal punto di vista dell'opinione pubblica.

giovedì 24 novembre 2011

Dati AGCom ottobre 2011

Logo dell'AGCom

Da pochi giorni sono disponibili sul sito dell'AGCom i dati relativi al pluralismo politico e istituzionale del mese di ottobre 2011. Si tratta di un mese particolarmente significativo, in quanto è l'ultimo del Governo Berlusconi IV, e quindi diventerà particolarmente importante confrontarne la fotografia con i mesi successivi, in cui è e sarà in carico il Governo Monti.

Nel mese che, tra manovre economiche, bacchettate della UE e lettere di intenti, ha visto l'esecutivo di centrodestra in crescente difficoltà l'informazione politica televisiva ha raggiunto le 195 ore complessive, il terzo valore da inizio anno. Malgrado si tratti di un numero molto alto, come già per il mese precedente la sensazione è che non sia in realtà abbastanza, in relazione all'importanza degli eventi che hanno scosso il nostro Paese, preparando al fine del Governo Berlusconi il 12 novembre 2011.
Dati AGCom ottobre 2011

Dalla tabella dei dati grezzi emergono alcuni highlights molto importanti: da un lato il ritrovato presenzialismo di Berlusconi e del suo Governo, che con il senno di poi può essere letto come un ultimo tentativo di lanciare per via mediatica quei messaggi e quella visione del mondo che sono stati la chiave del successo politico dell'imprenditore di Arcore; dall'altro il mantenimento su livelli relativamente elevati dello spazio dedicato all'Unione Europea, a riprova di quanto le sorti del Paese si giochino ormai in buona parte al di fuori dei nostri confini.
Rispetto al mese precedente, inoltre, emerge un calo del PdL che si può definire di fatto fisiologico se si considera la figura di Berlusconi come un jolly che salta di volta in volta dal ruolo politico a quello istituzionale e viceversa.
Proprio questi spostamenti sono tuttavia le basi per analizzare i dati AGCom di questo mese di ottobre.


Dati AGCom ottobre 2011 aggregati per
Istituzioni - Maggioranza - Opposizione

Dati AGCom 2011 aggregati per
Istituzioni - Maggioranza - Opposizione

L'istogramma che mostra la divisione temporale tra le aree di maggioranza, opposizione e istituzioni evidenzia, come accennato in precedenza, la ripresa di questa terza componente, ai suoi massimi da aprile e di nuovo alle soglie della maggioranza assoluta. Entrando nel dettaglio, si vede come rispetto al mese di settembre l'incremento sia da imputare in maniera quasi totale alla figura del Presidente del Consiglio Berlusconi, laddove le altre componenti non mostrano variazioni di rilievo.
La maggioranza evidenzia un calo del tempo ad esso dedicata di circa quattro punti sul mese precedente, imputabili sostanzialmente al PdL: un'ulteriore conferma di come Berlusconi sia in grado di sfruttare, a seconda delle esigenze, a piacimento profili maggiormente politici piuttosto che istituzionali.
L'opposizione, infine, si mantiene sui valori del mese precedente, ma un simile risultato è ottenuto attraverso significative modifiche interne: cresce infatti il ruolo del PD, di FLI e di SEL laddove appaiono piuttosto penalizzati IdV e UdC.

Tra le testate televisive spicca Studio Aperto per le posizioni filoistituzionali, mentre è il TG4 a fornire maggior spazio alle forze di maggioranza e RaiNews a quelle di opposizione.

Dati AGCon ottobre 2011 aggregati per
area politico-culturale

Dati AGCom 2011 aggregati per
area politico-culturale

Esaminando invece lo spaccato per area politica, gli effetti della ripresa del ruolo istituzionale da parte del premier si traducono in un calo del centrodestra rispetto al mese di settembre, a favore tanto del centrosinistra quanto - ed è importante rimarcarlo in virtù di quanto capitato a novembre con l'opposizione alla soluzione tecnica - della Lega Nord.
In generale, lo scenario mensile mostra i due poli principali molto equilibrati al 36-37%, ma il 13% appannaggio della Lega e di altre formazioni dichiaramente di destra rende di fatto lo scenario televisivo italiano decisamente spostato - come sempre - verso le ali conservatrici del panorama politico. Il Terzo Polo appare in contrazione, appena sopra il 7%, mentre la sinistra radicale risulta del tutto evanescente, scontando sempre più la prolungata assenza dalle aule parlamentari.

È il TG4 la testata più favorevole al centrodestra, mentre il centrosinistra trova maggiore sponta su Studio Aperto. Il Terzo Polo, e non per la prima volta, ha sponda nel TG2 e la Lega Nord su Rainews24. La sinistra estrema, infine, è maggiormente rappresentata sul TG3.

Dati AGCom 2011 aggregati per mese

Il dettaglio delle singole entità politiche evidenzia quanto emerso dai dati aggregati: lo spostamento dal PdL al Presidente del Consiglio, la ripresa del PD e di FLI - ai massimi da febbraio - sono i temi principali del mese di ottobre, uniti all'alto valore della UE, segnale della particolare attenzione che le istituzioni continentali pongono verso il nostro Paese.

Dal punto di vista dell'aderenza alla par condicio, spiccano in positivo i telegiornali di Telecom, MTVFlash e TGla7, uniti a Rainews, particolarmente vicini alle quote previste dalla legge. Particolarmente negativi invece i valori di TG5, Studio Aperto e TG2. Significativo inoltre è il valore del TG1, che risulta - sia pure in maniera qualitativamente differente - quantitativamente sbilanciato quanto il TG4: davvero una sorte indegna del telegiornale della rete ammiraglia della televisione pubblica.

Il mese di ottobre, in ultima analisi, mostra una situazione di netto stacco rispetto ai mesi precedenti, una sorta di riaffermazione diretta sulla scena da parte di Silvio Berlusconi, una presenza che, con il senno di poi, può essere vista come l'estremo tentativo di recuperare quel feeling mediatico ormai perduto con gli Italiani, un tentativo che, come dimostrano gli eventi di novembre e i sondaggi particolarmente punitivi con il centrodestra, si concluderà con il fallimento e la caduta del Governo.

sabato 19 novembre 2011

Il discorso di Monti al Senato

Il Presidente del Consiglio Mario Monti


Giovedì 17 novembre 2011 il Governo Monti ha ottenuto la fiducia al Senato della Repubblica, con 281 voti favorevoli, 25 contrari (tutti della Lega Nord), 1 presente non votante e 14 non partecipanti alla votazione.
Inizia così ufficialmente l'avventura del nuovo esecutivo, che nella giornata del 18 novembre chiederà la fiducia anche alla Camera dei Deputati per completare l'iter di insediamento.

L'Europa ed i mercati hanno accolto con favore il cambio di Governo italiano - prova ne siano le prestazioni dello spread sui titoli del nostro Paese degli ultimi giorni, nettamente migliori rispetto a quelli di Spagna o Francia - ma è chiaro che l'Italia non può uscire dalla crisi che la attanaglia con un semplice effetto placebo dovuto alla mera figura del nuovo Presidente del Consiglio. Il Paese è atteso alla prova dei fatti, ed il Governo dovrà essere in grado di proporre un programma al tempo stesso efficace e capace di passare le forche caudine dei passaggi parlamentari, dove una partitocrazia avvitata su sé stessa penserà più probabilmente agli interessi personali o di parte piuttosto che al bene del Paese.

Il discorso di Monti dinanzi all'Aula del Senato può essere considerato una prima dichiarazione programmatica, e come tale esaminato allo scopo di capire quali saranno le direttrici di azione dell'esecutivo nel tentativo di arginare e combattere la crisi economica del Paese.

Tag cloud del discorso di Monti al Senato

Il discorso è risultato piuttosto lungo e denso, come emerge anche dal tag coud.
Dall'analisi dei termini ricorrenti, oltre allo scontato "Italia", emerge un discorso fortemente improntato alla situazione attuale del Paese, di fatto libero da richiami a tematiche generali e a massimi sistemi ma proprio per questo più pregnante e significativo. Spicca innanzi tutto il termine "Europa", evidente richiamo ai doveri assunti dal nostro Paese verso l'Unione Europea in termini di vincoli di bilancio e controllo del debito.
È evidente poi l'importanza data ai verbi "dovere" e "fare", espressione da un lato all'obbligatorietà e anche alla durezza delle scelte da intraprendere e dall'altro della volontà e della necessità di iniziare un percorso di riforme.
Tra le altre parole-chiave del discorso di Monti spicca poi "crescita", e proprio il forte accento dato a questo aspetto individua la reale priorità del nuovo esecutivo rispetto al pur necessario rigore dei conti pubblici. Infine, l'enfasi data al "lavoro" nelle sue declinazioni mostra come proprio il mercato del lavoro, i temi dell'occupazione e della contrattazione, saranno al centro dell'agenda del nuovo esecutivo.
Rispetto ai discorsi di altri leader politici, tuttavia, le parole di contorno non si limitano ad essere meri riempitivi rispetto ai pochi concetti chiave, ma costituiscono a loro volta nuove tematiche, rendendo le parole di Monti ancora più importanti e degne di analisi. "Crisi", "finanza", "fisco" non sono meri passaggi che traghettano da un argomento all'altre, ma tematiche degnamente approfondite, sia pure a margine di un discorso più ampio.

Scendendo difatti nel dettaglio delle parole del nuovo premier, di può vedere come il suo discorso sia stato sapientemente strutturato in blocchi logici ben strutturati e strettamente correlati in modo da portare avanti un'unica, coerente, direzione di pensiero.
Dopo un preambolo quasi umile, fatto di saluti e ringraziamenti, Monti si toglie il guanto di velluto per iniziare letteralmente a stilettare il Parlamento, riuscendo ad evidenziare tutti i difetti e le storture della recente storia politica del Paese attraverso un'esaltazione del ruolo istituzionale del potere legislativo. Segue quindi una contestualizzazione della crisi, ed in particolare del ruolo dell'Italia nello scenario europeo, e proprio partendo dalla tesi delle mancanze della politica italiana e dall'antitesi di quanto l'Europa si aspetta da noi Monti riesce ad arrivare hegelianamente ad una sintesi - il suo programma - da una posizione di forza rispetto ai parlamentari che assembravano l'Aula.

Rigore, crescita ed equità sono gli ingredienti fondamentali della ricetta Monti per il Paese, e la seconda parte del discorso declina nel dettaglio questi tre punti.
Monti esordisce in questo secondo blocco del suo discorso mostrando l'intreccio di questi tre punti, evidenziando come solo con un adeguato equilibrio tra questi elementi sia possibile impostare un modello di sviluppo sostenibile per il Paese e sferrando un nuovo colpo di fioretto ad una classe politica troppo impegnata a dibattere riforme dall'immediato e discutibile effetto elettorale piuttosto che assumersi l'onere di impostare riforme di ampio respiro e lunga gittata.
Da un punto di vista temporale il Governo Monti si propone due linee di azione, una volta a combattere nell'immediato gli effetti della crisi economica, ed una invece dedicata a porre le basi di un progetto di modernizzazione complessiva del Paese, per evitare sostanzialmente il ripetersi di simili contingenze.

Il primo punto, afferma il neo Presidente del Consiglio, parte dal vincolo di bilancio in Costituzione per arrivare a fornire a ciascun livello di governo precisi vincoli di spesa e investimento per creare automatismi e regole generali che possano innescare meccanismi virtuosi di controllo della spesa pubblica, anche attraverso l'utilizzo di revisori e certificatori esterni come già avviene in diversi altri Paesi.
Monti passa poi ai costi della politica. Consapevole del generale malcontento che serpeggia nella popolazione italiana ed in generale del crescente sentimento antipolitico, il nuovo premier individua proprio nei costi della pubblica amministrazione uno dei punti di rapido intervento, partendo dalla riduzione delle province, dall'accorpamento degli enti pubblici ove possibile e dall'introduzione di procedure di spending review.
Il tema previdenziale è naturalmente presente nel discorso di Monti, ma dalle sue parole sembra per il momento escluso un ulteriore ritocco dell'età pensionabile dopo le numerose riforme che già hanno avuto luogo su questi temi, lasciando aperte ipotesi su passaggi più rapidi verso il sistema contributivo e al tentativo di colpire le numerose sacche di rendita e cumulo che una politica complice o impotente non ha mai intaccato.
Un passaggio, breve ma significativo, è poi dedicato alla lotta alla criminalità, con particolare riferimento all'evasione fiscale.
Monti non sfiora mai direttamente il tema patrimoniale, ma al contrario parla apertamente di reintroduzione dell'ICI, definendo l'attuale situazione italiana un'anomalia nel contesto europeo. Anche il concetto generale di tassazione entra nel programma del nuovo Governo, attraverso una progressiva rimodulazione delle impote volta a favorire il reddito e colpire l'accumulo di capitale ed i consumi; sono quindi da attendersi, se Monti terrà fede a quanto promesso dinanzi al Senato, sgravi sull'IRPEF e nuovi inasprimenti dell'IVA.
Si passa poi al tema delle dismissioni, per le quali Monti prevede di stilare un vero e proprio calendario e tramite le quali prevede di ricavare almeno 5 miliardi di euro in tre anni, secondo quanto prescritto dalla lettera di intenti inviata dall'allora Presidente del Consiglio Berlusconi all'Unione Europea.
Il tema del lavoro occupa un passaggio rilevante del discorso di Monti, un passaggio in cui tenta di non scontentare nessuna delle formazioni che si sono offerte di sostenere il suo esecutivo: se da un lato infatti viene promessa maggiore equità, e tutela per il precariato attraverso anche l'introduzione di adeguati ammortizzatori sociali, dall'altro si conferma lo spostamento delle contrattazioni verso il luogo di lavoro a discapito dei contratti nazionali, aprendo di fatto al metodo Marchionne su scala nazionale.

Nel discorso di Monti vi è molto altro, naturalmente: istruzione, politica estera, infrastrutture... ma tutto è finalizzato al conseguimento di concreti obiettivi di ambito economico, tutti gli sforzi e tutte le misure sono consacrati a quel programma di risanamento dello Stato che poi è il vero motivo per cui Mario Monti è stato chiamato al soglio di Palazzo Chigi.
Il programma del nuovo Governo è ambizioso, ma probabilmente appena sufficiente per affrontare il pesante stato di crisi in cui versa il Paese; i temi trattati sono effettivamente quelli su cui è necessario intervenire, e per quanto riguarda le direzioni da intraprendere Monti pare essere stato in grado di confezionare un progetto in grado di fungere da reale disegno del Paese e al tempo stesso districarsi tra i veti incrociati della politica.

La durata del Governo Monti è naturalmente vincolata al sostegno che i partiti vorranno offrirgli, ma il programma descritto nel discorso di insediamento di Monti al Senato non fa che risaltare la pochezza delle alternative di matrice politica, e la pesante responsabilità che cadrà sulle formazioni che decideranno, per usare un'espressione sgradita allo stesso premier, di staccare la spina.

mercoledì 16 novembre 2011

Governo tecnico o politico?

Il Presidente del Consiglio incaricato Mario Monti

Nella giornata odierna il Presidente del Consiglio incaricato, Mario Monti, scioglierà la riserva dinanzi al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e presenterà la sua squadra di Governo, per poi affrontare nei giorni successivi la votazione di fiducia nelle due aule del Parlamento.

Terminerà così una lunga settimana di illazioni, supposizioni e forse anche suggerimenti più o meno velati da parte di questo o quel settore della società sulla scelta dei ministri, ed in particolare sulla presenza di figure di stampo politico nella formazione di Governo.
Nel corso della convulsi giorni seguiti alle dimissioni di Silvio Berlusconi, si può ben dire che l'opinione pubblica e gli stessi organi di informazione abbiano seguito nel tempo tutta la possibile gamma di predisposizioni nei confronti della composizione del Governo, evidenziando di volta in volta questo o quel vantaggio ma di fatto senza arrivare a vere conclusioni su quale possa essere la scelta migliore per l'Italia.

I problemi dell'Italia possono essere riassunti in due parole: debito e sfiducia. La combinazione di questi due fattori è lo spread, ovvero il differenziale di interessi sul debito pubblico rispetto ai paesi virtuosi che dobbiamo sopportare per piazzare i nostri titoli di Stato.
Il primo problema è puramente interno: per decenni l'Italia ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità, contraendo debiti con il futuro... ed il futuro degli anni '80 è oggi; il secondo problema, che da adito a più o meno fantasiose teorie complottistiche, riguarda invece la credibilità dell'Italia sui mercati internazionali, e - presupponendo che non vi siano decisioni prese in qualche stanza dei bottoni che vogliono vedere l'Italia fallita a prescindere dai suoi comportamenti - questa deve essere conquistata attraverso dimostrazioni di stabilità e credibilità.
Partendo da queti presupposti, e utilizzando come contraltare il precedente Governo Berlusconi IV che non ha saputo fronteggiare nessuna delle due emergenze del Paese, i requisiti che si richiedono al Governo Monti sono principalmente la volontà e la predisposizione a fare le riforme necessarie per ridurre la spesa pubblica e la capacità di tenere fede agli impegni con l'UE.

Naturalmente una simile responsabiiltà non può essere delegata unicamente al potere esecutivo: la struttura istituzionale italiana classifica il nostro Paese come repubblica parlamentare. Ogni legge dovrà essere discussa e approvata in Parlamento, lo stesso Parlamento uscito dalle elezioni del 2008 e che ha condotto il Paese all'attuale situazione.
È tuttavia innegabile che la squadra di Governo fornirà impressioni di prima istanza molto importanti sia sulla serietà e competenza dello stesso, sia sulla volontà e la direzione delle riforme da intraprendere, sia infine sulla capacità delle forze politiche di sostenere l'esecutivo e per quanto tempo.
La diatriba sulla presenza di personalità tecniche o politiche all'interno della squadra di governo è da questo punto di vista assolutamente dirimente.

Al momento delle dimissioni di Berlusconi hanno prevalso, sia nell'opinione pubblica sia presso molti organi di informazione, sentimenti di totale rigetto verso la classe politica nel suo complesso: con Monti incoronato premier in pectore dalla brillante mossa politica di Giorgio Napolitano, le speranze dei più erano rivolte verso un governo di sole personalità tecniche, che escludesse personalità politiche sia per essere in grado di richiedere quei famosi tagli alla casta che vengono ormai trasversalmente considerati necessari, sia per fare in modo che le posizioni dei Ministri non fossero condizionate da logiche di partito.

Il progressivo rafforzamento della posizione di Mario Monti - dovuto anche al repentino calo dello spread nei giorni immediatamente successivi alle dimissioni di Berlusconi - hanno tuttavia iniziato a picconare questa visione.
I commentatori politici hanno progressivamente rivisto l'immagine di un Mario Monti debole, ostaggio dei partiti, per abbracciare quella di un Monti forte; anziché un governo "lacrime e sangue", un governo vincente, in grado di ridare lustro all'immagine dell'Italia all'estero. Inizialmente questo radicale mutamento di scenario non ha avuto impatti sulla diatriba tra governo tecnico e politico, e anzi nell'opinione pubblica era ancora più radicata l'idea di tenere i politici lontani dai posti ministeriali.

Anziché forzare la mano e presentare immediatamente una squadra di Governo, Monti ha tuttavia scelto la via classica e più istituzionale delle consultazioni con i gruppi parlamentari e le parti sociali, iniziando due giorni di incontri che hanno ancora una volta rimescolato le carte in tavola.
Come alcuni giornalisti hanno fatto notare (ad esempio Bracconi su La Repubblica o Gramellini su La Stampa), il bipolarismo italiano targato Porcellum ha prodotto l'esistenza di ventuno gruppi parlamentari, trasformando quindi le consultazioni di Monti in uno stillicidio di incontri con gruppi e gruppuscoli ciascuno dei quali - con la lodevole eccezione dei partiti del Terzo Polo - ha iniziato più o meno velatamente a porre condizioni e paletti al proprio sostegno al nascituro Governo.
Pur in un contesto di generale crisi europea a livello di credibilità in cui l'Italia ha fatto comunque meglio dei suoi partner europei (dall'8 al 15 novembre, in una sola settimana, lo spread del Belgio è passato da 249 punti base a 312, quello francese da 129 a 190, quello spagnolo da 383 a 455, raggiungendo in tutti e tre i casi i massimi dall'entrata in vigore dell'Euro, laddove l'Italia è passata da 496 a 529), la ripresa della salita dello spread nelle giornate del 14 e del 15 novembre ha rimesso fortemente in discussione le sensazioni dell'opinione pubblica.
La generale stima di cui gode il professor Monti, unita ai veti incrociati dei partiti politici e al contemporaneo - anche se non necessariamente correlato - aumento dello spread al di sopra della soglia psicologica dei 500 punti, ha fatto insorgere nei più l'idea che fosse a questo punto preferibile legare indissolubilmente le sorti della politica politicante a quella del Governo Monti, facendo entrare personalità partitiche anche di spicco nella squadra dei Ministri in modo da garantire in qualche modo la tenuta dell'esecutivo.

In pochi giorni, quindi, si è passati da un estremo all'altro, sulla spinta però più di sensazioni mediatiche ed eventi esogeni che di reali considerazioni tecniche. Se si riguardano infatti le motivazioni che spingevano per un governo di sole personalità tecniche piuttosto che per un esecutivo aperto ai partiti, si vede infatti che sono sempre tutte valide. Ciò che è di volta in volta è cambiato è stato il peso assegnato a ciascun pro e contro, a seconda delle reazioni del momento della politica e dei mercati.
Per capire la bontà di una scelta piuttosto che dell'altra non è quindi possibile affidarsi a scenari estemporanei che mutano di giorno in giorno, ma occorre individuare quali possono essere le tendenze in grado di prevalere sul lungo periodo.

L'unico punto realmente consolidato, al momento, riguarda la stima che Mario Monti è riuscito a raccogliere attorno alla propria figura. Tramite uno stile sobrio ed una chiarezza espositiva rari nel mondo politico è stato in grado ad un tempo di risaltare per contrasto rispetto al suo predecessore Berlusconi e contemporaneamente di dare l'impressione di essere un reale "uomo del fare", con idee e programmi precisi.
Anche se il Parlamento ha quindi il potere di sfiduciare Monti in qualsiasi istante, gli impatti previsti sull'opinione pubblica - salvo che la sfiducia arrivi su temi fortemente caratterizzanti un segmento elettorale - sono tali da considerare il potere esecutivo l'elemento forte rispetto a quello legislativo.
La presenza di politici nel Governo, quindi, e soprattutto di politici provenienti dall'attuale esperienza della XVI Legislatura, non pare essere un quid in grado di fornire particolari vantaggi in termini di stabilità e tenuta del governo. Al contrario, l'ingresso di politici nell'esecutivo aprirebbe una irresponsabile ma inevitabile serie di veti e imposizioni in cui ogni partito cercherebbe di accaparrarsi i posti migliori o quelli in cui vede interessi da difendere, per non parlare del fatto che l'apertura a personalità di spicco della ex maggioranza berlusconiana (che dovrebbero necessariamente essere presenti, per bilanciare l'ingresso di politici di opposizione in una sorta di "garanzia" partecipativa) non consentirebbe quel necessario stacco tra passato e futuro che i mercati si attendono dall'Italia.

Ben venga quindi un governo tecnico, sufficientemente svincolato da logiche di partito per essere realmente indipendente e al tempo stesso dotato del sufficiente appeal europeo ma soprattutto nazionale per tenere in scacco i giochetti della politica.

domenica 13 novembre 2011

Momo e il paradosso dell'insalata in busta

Una scena di MOMO ALLA CONQUISTA
DEL TEMPO (2001) di Enzo d'Alò


DISCLAIMER: nell'articolo che segue sono riportati e commentati passaggi del romanzo MOMO (1973) di Michael Ende

Tra i grandi scrittori del XX secolo trova sicuramente un posto d'onore il tedesco Michael Ende, autore del capolavoro del fantastico DIE UNENDLICHE GESCHICHTE del 1979, ma troppo spesso relegato ad un ruolo di autore solo per ragazzi che non rende giustizia alla profondità filosofica spesso profetica delle sue opere.

In termini di stretta aderenza ai generi letterari, in effetti, solo le sue opere più tarde, quali DER SPIEGEL IM SPIEGEL o DAS GEFÄGNIS DER FREIHEIT, possono essere ascritti alla letteratura per adulti; eppure tutte le sue opere nascondono livelli di lettura che, al di là della presunta semplicità della trama o delle tematiche care alla letteratura per ragazzi, le rendono in realtà molto profonde e vivide allegorie della società contemporanea.

Questa dicotomia tra il presunto destinatario dell'opera - bambini e ragazzi - e la profondità della chiave di lettura nascosta dall'autore è particolarmente evidente in MOMO, romanzo del 1973 che, premiato l'anno successivo, preparò la strada al DIE UNENDLICHE GESCHICHTE che consacrò Ende alla fama e al successo.
Tema portante dell'opera è il tempo: una città - senza nome, per poter essere nessuna città e qualsiasi città - subisce la progressiva invasione dei Signori Grigi e della loro Banca del Tempo; i Signori Grigi convincono i cittadini a risparmiare il loro tempo e depositarlo in questa banca, tempo che poi i Signori Grigi usano per perpetuarsi e restare in vita. Solo una bambina, Momo per l'appunto, dalle origini misteriose e rifugiata in un anfiteatro - simbolo di arte e intrattenimento - sarà in grado di sconfiggere gli antagonisti e riportare la normalità nella città.

Dalla lettura del libro risultano particolarmente interessante il modo ed il significato dell'agire dei Signori Grigi; costoro si recano presso i cittadini e li convincono a modificare il proprio modo di agire e rapportarsi con gli altri in maniera da limitare tutti gli sprechi di tempo. Per sprechi di tempo, nell'ottica dei Signori Grigi, si intendono tutti i momenti che distolgono dall'esecuzione meccanica dell'attività lavorativa.
Il tempo così risparmiato, nelle false promesse degli antagonisti del romanzo, verrà immagazzinato nella Banca del Tempo, per essere poi riscosso quando più se ne vorrà fare uso.

Per convincere i cittadini a donare il proprio tempo i Signori Grigi evidenziano, con sottrazioni successive riguardanti le voci più improbabili, come questi non abbiano del tempo a propria disposizione.
Prima che Momo, grazie all'aiuto di Mastro Hora e della tartaruga Cassiopea, risolva la trama del romanzo, quindi, la popolazione della cittadina si è trasformata in un perfetto esempio di nevrotizzante e nevrotizzata società contemporanea, in cui le relazioni sociali ed il gusto nello svolgere le proprie attività sono soffocati da una fretta compulsiva che porta questi vitali dettagli del vivere quotidiano ad essere relegati alla stregua di perdite di tempo.

Né il tempo così risparmiato viene messo a frutto in altre maniere. Come tratteggia magistralmente Ende nel romanzo, la vita delle persone della città diventa progressivamente sempre più vuota e frenetica, in un'ossessione senza fine di risparmio di un tempo che poi in realtà non verrà mai utilizzato.

La critica alla società portata avanti dall'autore è evidente, appena mascherata dai temi adolescenziali del romanzo. Attraverso un simbolismo di facile comprensione, Ende prende di petto i temi del consumismo e della frenesia - sarebbe improprio usare il termine alienazione, per quanto concettualmente si parli proprio di questo - propri dello stile di vita occidentale, e della conseguente perdita di vista della felicità dell'individuo. Felicità che, per Ende, si ritrova nel gusto e nel piacere del coltivare il rapporto con gli altri e nella gioia di eseguire il proprio lavoro. Come in DIE UNENDLICHE GESCHICHTE, Ende esalta il potere salvifico della fantasia e dell'immaginazione: non è un caso che Momo, bambina dalle misteriose origini, esterna alla città quanto i Signori Grigi a esaltare il suo ruolo simbolico, si sia rifugiata in un anfiteatro, simbolo di arte e cultura, ma anche di intrattenimento. E non è un caso che le virtù di Momo - che funzionano anche sui Signori Grigi - siano l'ascolto, la comprensione, l'immedesimazione e una buona dose di fantasia.

Si può ben dire che le tematiche di MOMO siano oggi più attuali che mai, e pervadano ogni livello del vivere comune.
Dalle alte costruzioni filosofiche che descrivono la società contemporanea ai piccoli episodi quotidiani il tempo, forse una delle poche frontiere del potere di controllo dell'uomo, è al tempo stesso oggetto del desiderio e nemico da combattere.
Il progresso tecnologico ci permette di svolgere ogni attività in un tempo minore rispetto al passato, eppure le ore di lavoro settimanali di un impiegato del XXI secolo superano quelle di un cacciatore/raccoglitore dell'epoca preistorica. Proprio questa discrasia tra le offerte della tecnologia ed i vantaggi che l'uomo poi ne riceve effettivamente costituisce la forza della visione di Ende: la continua evoluzione del nostro stile di vita non ci ha condotti in alcun modo ad un miglioramento - in termini esistenziali - della qualità della nostra vita e del nostro tasso di felicità.
E ci ritroviamo quindi in continua balia dei nostri personali Signori Grigi, sotto forma di continui modi per risparmiare tempo, modi che sfiorano quasi il grottesco ma che possono consentirci di far scattare nelle nostre teste un doveroso campanello di allarme.

Preparare un'insalata è un'operazione che richiede pochi minuti: lavare le foglie di insalata, tagliarle, condirle. Molto semplice, molto rapido. Eppure stanno avendo grande successo, in Italia e non solo, le confezioni di insalata già tagliata e spesso anche prelavata; semplici buste in cui le foglie di insalata sono state affettate e lavate prima di essere chiuse sotto vuoto. Esclusi ovviamente casi di necessità sporadici che possono condurre all'acquisto di un simile prodotto, e restringendo quindi il ragionamento ai casi in cui è la semplice comodità dell'utilizzo a guidare nella compera, una semplice analisi monetaria e qualitativa potrebbe portare facilmente a evidenziare l'assurdità di questa tipologia di prodotti.
Il risparmio realmente offerto, in termini di tempo, si aggira ragionevolmente attorno ai cinque minuti, trecento secondi. Un risparmio di tempo tutto sommato esiguo: un dodicesimo di ora, un duecentoottantesimo di giorno. Eppure un risparmio temporale pagato caro e salato: il costo di una busta di insalata pretagliata e prelavata si aggira intorno agli 11 €/kg, laddove l'insalata a ciuffi costa poco più di 1 €/kg. Paghiamo quindi senza battere ciglio circa 10 € un risparmio di cinque minuti, ovvero 120 € l'ora, che poi è una tariffa paragonabile al costo di una visita specialistica!
L'esempio, sebbene eclatante, è soltanto uno e forse non il più paradossale delle moderne logiche del mercato, in cui la creazione di nuovi bisogni procede di pari passo con la soluzione per affrontarli allo scopo di creare artificiosamente tassi alti di domanda sul mercato.

Per quanto non molti afferrino immediatamente il reale significato economico di scelte di acquisto spesso compiute sul momento e senza una adeguata valutazione delle conseguenze, vi è chi potrebbe ribattere che in fondo il tempo non ha prezzo, che avere a disposizione più tempo vale qualsiasi spesa.
Tale obiezione non fa però che scontrarsi con la realtà, e non denota altro che il prostrarsi definitivo alla logica dei Signori Grigi: in termini generali, infatti, il risparmio temporale non conduce necessariamente ad un miglioramento della qualità della vita, in quanto non garantisce su come verrà utilizzato il tempo così risparmiato, tempo che in effetti molto spesso viene a sua volta sprecato in attività di semplice riempitivo, frustranti perché non si riescono a completare e che richiedono quindi ulteriori risparmi di tempo. In un continuo circolo vizioso.

L'origine esogena di Momo, nell'omonimo romanzo, rispetto ai cittadini, potrebbe indurre all'erronea convinzione di attendere un rivoluzionario, un rinnovatore, un messia che consenta di spezzare quello che sembra ormai essere un radicato modo di vita. Nel romanzo, tuttavia, anche i Signori Grigi sono esterni alla città; forse un modo per dire che anche il problema è esterno a noi? Nulla di più errato. Se esiste una forza sociale potenzialmente autodistruttiva fatta di bisogni ingenerati e rincorse frenetiche è perché vi è chi vi si assoggetta, chi vi si piega e anche chi tenta di cavalcarla. Sono forze probabilmente al di là del pensiero cosciente, che si possono intuire senza afferrarle appieno, e nella medesima chiave di lettura deve essere intesa la figura di Momo.
Spetta quindi a ciascuno di noi, al proprio interno, trovare la forza di operare quel necessario cambio di paradigma che possa mettere al primo posto la felicità dell'individuo e la qualità della vita. Ed il primo passo consiste proprio nel sapere - anche tramite un approccio più immaginifico alla vita - come rivalutare il proprio tempo.
Affettare un ciuffo d'insalata, lavarlo, condirlo non è una mera azione meccanica volta al sostentamento. Si tratta invece di un - pur semplice - processo creativo, in cui un vegetale viene trasformato in una - pur altrettanto semplice - portata. Ritrovare il gusto per simili azioni implica un cambio di mentalità estremamente complesso, che rimette in discussioni scale di valori assodate e quindi deve essere frutto di un processo di maturazione interna. Si può cambiare reazione ad un evento da un momento all'altro, ma non si può farsi piacere qualcosa che prima non piaceva se non attraverso una reale conversione.

L'insegnamento della misteriosa Momo ci ricorda quindi che la cura e la difesa della nostra felicità passa in realtà solo da noi e dalle nostre convinzioni, e che noi stessi dobbiamo trovare il coraggio di mettere in pratica quei piccoli gesti quotidiani che - tutti assieme - rivoluzionerebbero la società. Magari iniziando ad affettare di persona l'insalata.

mercoledì 9 novembre 2011

Il colpo di coda del Caimano

Locandina del film IL CAIMANO (2006)

La votazione dell'8 novembre sul rendiconto finanziario dello Stato rischia di essere un terremoto in grado di scrivere la parola fine sulla II Repubblica e sulla figura politica di Silvio Berlusconi, l'uomo che ha dominato la scena italiana per ormai quasi un ventennio.

Con soli 308 voti a favore in una Camera dei Deputati completamente piena, la maggioranza parlamentare a sostegno del Governo si è trovata ben al di sotto della maggioranza assoluta necessaria per controllare l'Aula, evidenziando quindi un'impotenza politica - per usare le parole del segretario del PD Pierluigi Bersani - che ha condannato e sta condannado il Paese a un immobilismo legislativo di fatto.

Lo stesso Presidente del Consiglio pare aver tratto dal voto la conclusione del naufragio della sua maggioranza, e in un appuntamento al Quirinale ha dichiarato, in forma anche piuttosto irrituale, le proprie dimissioni a valle dell'approvazione della legge di stabilità economica, calendarizzata per la fine del mese di novembre e prevista in ogni caso entro la fine dell'anno.

Giornali e blog si sono scatenati nel celebrare la fine del berlusconismo, con prime pagine a tratti sensazionalistiche, ma a tutti gli effetti veramente avventate in questo momento del dibattito politico.

Prime pagine dei quotidiani
09/11/2011

L'enormità del concetto di dimissioni associato alla figura del Presidente Berlusconi ha occupato le prime pagine dei quotidiani, che però non hanno saputo approfondire né il modo in cui queste dimissioni potranno giungere a maturazione né gli scenari che si prospettano per il futuro, scenari che potrebbero vedere il Cavaliere ancora protagonista e mattatore della politica italiana.

La scelta che le opposizioni hanno preso di non votare per il rendiconto dello Stato, seppure ammantata di una coltre di parole sulla responsabilità istituzionale e sulla necessità di far passare un simile provvedimento, è in realtà una mossa che presenta connotazioni squisitamente politiche.
Omologando infatti il voto delle opposizioni a quello dei malpancisti della maggioranza, si è venuto a creare un blocco numerico di 321 astensioni (di cui 320 dettate dal non voto e una reale) che in realtà non corrisponde ad un vero voto politico.
Se vi fosse stata una mozione di sfiducia, è possibile supporre che tale cifra sarebbe stata raggiunta? Quante sarebbero state le astensioni e quanti i voti contrari? I voti contrari alla fiducia sarebbero stati almeno i 308 raggranellati dalla maggioranza?
Il voto dell'8 novembre prova che Berlusconi sia ormai alla guida di un Governo di minoranza, ma non è assolutamente in grado di dimostrare che il Cavaliere non abbia più la maggioranza relativa della Camera dei Deputati.

Berlusconi non è quindi stato formalmente sfiduciato e non ci sono nemmeno i presupposti per affermare che una mozione di sfiducia possa essere in grado di far cadere il Governo.

L'annuncio di queste dimissioni, non formalmente dovute e neppure così scontate alla vigilia, deve quindi essere letto per quello che è: una scelta da parte di Berlusconi. E trattandosi di una scelta, è lecito pensare che vi possano essere motivazioni alle spalle che ne giustifichino la bontà e l'avvedutezza politica.

Il primo punto da tenere in considerazione sono proprio i paletti messi dal premier, ovvero le dimissioni a valle della legge di bilancio. Dal dibattito politico sulle dimissioni sono spariti i riferimenti alla situazioni giudiziaria del Presidente del Consiglio, ma non bisogna dimenticare quella bomba ad orologieria che è il Processo Mills, che si sta avvicinando alla sentena di primo grado, mentre è in attesa di partire anche il processo Ruby. Che cosa ci si dovrà aspettare, quindi, nel maxi-emendamento che sarà presentato nella serata del 9 novembre al Senato?
Se si scorrono le bozze dei lavori preparatori al Consiglio dei Ministri del 24 ottobre (quello che avrebbe dovuto licenziare il decreto sviluppo, se le votazioni alla Camera avessero avuto esito differente) si scopre la legge ad personam post mortem per l'abolizione della legittima successione e si scoprono i condoni. E poiché già più volte in passato il PdL ha cercato di inserire in norme di politica economica provvedimenti sulle intercettazioni e sulla prescrizione, è lecito attendersi colpi di coda di questo genere nel nuovo provvedimento. Uniti a provvedimenti di macelleria sociale come una nuova riforma delle pensioni e la norma sui licenziamenti facili.
Berlusconi, sostanzialmente, potrebbe far pagare un prezzo salatissimo per il suo farsi da parte, salvacondotti giudiziari che lo mettano una volta per tutte al di fuori della portata della magistratura, riuscendo da dimissionario a fare quello che non gli era mai riuscito da Presidente del Consiglio.

Ma la vera beffa è che il destino politico di Berlusconi non è, in realtà, ancora segnato. Berlusconi e Bossi, si sa, vogliono andare subito alle urne; eppure è preciso dovere del Presidente della Repubblica individuare l'esistenza di maggioranze alternative prima di sciogliere le Camere e ridare la parola ai cittadini, e in realtà non tutti gli scenari possibili sono sfavorevoli al Cavaliere.
Le elezioni immediate, in effetti, paiono proprio essere lo scenario meno favorevole per Berlusconi, malgrado la sua dichiarata preferenza per questa strada: i sondaggi danno PdL e Lega su valori molto bassi, con un Nuovo Ulivo oltre otto punti avanti. Malgrado l'abilità del premier nel condurre le campagne elettorali l'unico appiglio che Berlusconi, le argomentazioni del Cavaliere in questo frangente suonerebbero assai fiacche e poco convincenti. Puntare il dito - come sempre - su alleati infedeli che impediscono l'attuazione del programma di Governo, oppure evocare la paura del partito delle tasse e della spesa pubblica suonano infatti argomentazioni trite e ritrite, in particolar modo dopo le mancate promesse di risparmi fiscali dell'Esecutivo. Sicuramente Berlusconi deve essere consapevole della sua oggettiva debolezza in una competizione elettorale immediata o a breve termine (gennaio 2012), e la sua invocazione alle urne suona piuttosto come uno slogan pubblicitario nel caso in cui si verifichi lo scenario opposto, ovvero il cosiddetto governo tecnico.
Proprio il governo tecnico, infatti, sarebbe un'opzione davvero vantaggiosa per il Cavaliere. Un esecutivo guidato, ad esempio, da Mario Monti con il sostegno delle forze oggi di opposizione più i malpancisti della maggioranza sarebbe un facile bersaglio per la campagna elettorale di Berlusconi. Le condizioni del nostro bilancio sono tali da richiedere misure durissime, misure contro cui - abbandonando il fair play istituzionale che la situazione richiederebbe e che infatti oggi il PdL richiede all'opposizione - Berlusconi potrebbe scagliarsi con tutta la forza del suo impero mediatico. Avrebbe vita facile Berlusconi a infierire su un esecutivo costretto a imporre nuove tasse, o a far digerire all'Italia la stessa amara medicina toccata alla Grecia. Per non parlare, inoltre, del fatto che un nuovo esecutivo tecnico soffrirebbe della medesima debolezza di quello attuale: sarebbe tremendamente fragile, in balia degli Scilipoti di turno, costretto a negoziare con posti e prebende la fedeltà dei singoli cani sciolti. E infine, naturalmente, c'è la scommessa della possibilità di reali convergenze tra partiti eterogenei come FLI, UdC, PD e IdV su temi di ampia rilevanza sociale. Comodamente all'opposizione, Berlusconi potrebbe assistere tranquillo al disfacimento di un qualsiasi esecutivo tecnico e preparare il proprio ritorno in grande stile, una volta cambiata ancora una volta la marea a colpi di riforme lacrime e sangue.

Un salvacondotto subito ed un rientro da vincitore domani. Ecco la grandiosa scommessa del Cavaliere, una scommessa azzardata, forse fatale, ma che Berlusconi sta giocando con la consueta maestria, facendo danzare alla sua musica amici e avversari. Mentre l'Italia va alla deriva.
Allora, se esecutivo di transizione deve essere, che faccia la riforma elettorale, che avvi almeno in prima lettura le riforme costituzionali promesse da Berlusconi sull'abolizione delle province ed il dimezzamento dei parlamentari, e che si ritorni poi subito alle urne. Il destino del Paese deve poter essere separato da quello dei suoi cittadini, persino di un simile cittadino; l'Italia ha bisogno di una maggioranza forte e coesa - di destra, di centro o di sinistra - in grado di poterla guidare al di fuori della tempesta, dotata di credibilità e soprattutto di senso dello Stato.
E neutralizzare il Caimano e suoi colpi di coda è condizione imprescindibile affinché questo possa realizzarsi.

lunedì 7 novembre 2011

Voto di fiducia, ecco la situazione di partenza

Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (PdL)

Siamo alla resa dei conti?

La votazione sulla fiducia al Governo calendarizzata alla Camera dei Deputati per il giorno 8 novembre riporta al clima del dicembre 2010, quando fino all'ultimo momento sembrava che Berlusconi potesse cadere sotto i colpi delle defezioni dei finiani e finì invece rocambolescamente al di sopra della linea di galleggiamento per appena tre voti.
Questa volta però da più fonti vicine al premier si parla di vero epilogo, ultimo Giuliano Ferrara dalle colonne virtuali dell'edizione on-line de Il Foglio; malgrado le smentite di Berlusconi, è difficile non cogliere nel terremoto che ha colpito i gruppi parlamentari di maggioranza l'inizio della fine per il Governo Berlusconi IV.

Proprio gli ultimi passaggi da un gruppo all'altro possono essere determinanti per comprendere le reali speranze della tenuta di Berlusconi nell'imminente votazione alla Camera.
Lo schema che segue mostra l'evoluzione dei gruppi parlamentari non appena insediato il Governo, nel corso della votazione del 14 dicembre 2010 e allo stato attuale.

Evoluzione della composizione dei gruppi
della Camera dei Deputati

Il primo dato che emerge con prepotenza dai numeri della tabella è una mezza doccia fredda per chi spera nella caduta del Governo: il 14 dicembre 2010 i gruppi che sostenevano apertamente la maggioranza parlamentare contavano nelle proprie fila 294 elementi, e Berlusconi si salvò con 314 voti. Oggi, malgrado la continua emorragia nel PdL (a cui è da aggiungere l'ulteriore defezione di Gabriella Carlucci non ancora registrata dal sito della Camera dei Deputati), i tre gruppi che compongono la maggioranza parlamentare riescono ad arrivare a 300 deputati.
Rispetto a dicembre 2010, quindi, la soluzione sembra apparentemente migliore - almeno dal punto di vista numerico - per Silvio Berlusconi.

Vi sono tuttavia alcune considerazioni che portano a modificare questo primo impatto puramente visivo.
In primo luogo non si può tralasciare il fatto che nella votazione del 14 ottobre 2010 quattro deputati di FLI votarono in disarmonia le indicazioni del proprio gruppo, in tre casi votando a favore della fiducia a Berlusconi e in uno assentandosi direttamente dalla votazione. I quattro deputati coinvolti (Catone, Polidori, Siliquini da un lato, e Moffa dall'altro) hanno in effetti poi cambiato tutti gruppo, passando a PT e quindi nella maggioranza.
Rispetto alla votazione del 14 dicembre 2010 le acquisizioni de facto da parte della maggioranza sono quindi state solo due, e non sei.

Supponendo, in una disquisizione puramente ipotetica, che in questa votazione non vi saranno voti ribelli rispetto alle indicazioni dei gruppi parlamentari, e che non vi siano assenti o astensioni, i voti dichiarati sarebbero 300 per la maggioranza e 290 per l'opposizione (già non conteggiando il Presidente della Camera Gianfranco Fini). Dalla maggioranza è poi necessario togliere il PdL Papa, ai domiciliari. Quindi 299 a 290.
Nessuna delle due forze è in grado di raggiungere la quota 316 necessaria per il raggiungimento della maggioranza assoluta, e diventa pertanto necessario studiare la composizione del foltissimo gruppo misto, ben trentanove elementi così ripartiti:
  • 5 - Alleanza per l'Italia (Lanzillotta, Mosella, Pisicchio, Tabacci, Vernetti)
  • 3 - Liberaldemocratici - MAIE (La Malfa, Melchiorre, Tanoni)
  • 3 - Minoranze linguistiche (Brugger, Nicco, Zeller)
  • 4 - Movimento per le Autonomie - Alleati per il Sud (Commercio, Lo Monte, Lombardo, Oliveri
  • 3 - Repubblicani - Azionisti (Misiti, Nucara, Pepe)
  • 21 - Non iscritti ad alcun gruppo (Barbareschi, Belcastro, Buonfiglio, Fallica, Gaglione, Giulietti, Grimaldi, Iannacone, Iapicca, Mannino, Micciché, Pittelli, Porfidia, Pugliese, Ronchi, Sardelli, Scalia, Stagno D'Alcontres, Terranova, Urso, Versace)
A dicembre 2010 hanno votato contro la fiducia a Berlusconi l'ApI, i liberaldemocratici e l'MpA, mentre il gruppo delle minoranze linguistiche si è spaccato in due astensioni e un voto contro la fiducia. In quanto ai Repubblicani, Misiti aveva votato contro la fiducia, mentre Nucara e Pepe, all'epoca nel PdL, a favore.
Considerato il posto di viceministro recentemente offerto da Berlusconi a Misiti, si può ipotizzare un voto analogo a quanto visto nel 2010 con l'incognita dei deputati del Trentino - che potrebbero votare per disarcionare Berlusconi - ed il voto favorevole di Misiti.
Le quote di maggioranza e opposizione passerebbero quindi rispettivamente a 302 e 305 (oppure 302 a 303 pari supponendo l'astensione dei deputati trentini).

Ancora nessuna forza riesce a raggiungere la maggioranza assoluta, e pertanto occorre indagare una volta per tutte nel mare magnum dei deputati senza gruppo, quei cani sciolti che possono scrivere la parola fine all'esperienza del governo Berlusconi oppure mantenerlo ancora in vita.
Di questi 21, solo 5 votarono contro la fiducia contro i 15 che votarono a favore del Governo e l'unico assente, ma ben più importante di questo fattore è la provenienza di questi deputati.
In assenza di dichiarazioni che - si sa - puntano al gioco al rilancio e alla sensazionalità, può essere un buon modello assegnare un voto contrario alla fiducia per i parlamentarei fuoriusciti da forze di maggioranza, favorevole alla fiducia per coloro che provengono da forze di opposizione, ed il mantenimento del voto dell'anno scorso per i parlamentari già appartenenti al Misto.
In questo scenario avremmo quindi:
  • 1 astenuto/assente (Gaglione)
  • 10 contrari alla fiducia (Fallica, Giulietti, Grimaldi, Iapicca, Micciché, Pittelli, Pugliese, Stagno D'Alcontres, Terranova, Versace)
  • 10 favorevoli alla fiducia (Barbareschi, Belcastro, Buonfiglio, Iannacone, Mannino, Porfidia, Ronchi, Sardelli, Scalia, Urso)
In realtà questo scenario pare essere troppo conservativo in favore di Berlusconi, dal momento che prevedere il rientro di così tanti voti da FLI sembra esagerato, mentre in casa PdL e PT vi sono diversi mal di pancia che potrebbero compromettere l'unità di questi gruppi parlamentari.
Uno scenario comunque cautelativo, di equilibrio estremo, che provocherebbe la caduta del Governo per un solo voto (o per tre voti in caso di partecipazione attiva dei deputati trentini).
In tutto questo, dove il risultato si gioca sul filo del singolo voto, la goccia che potrebbe far traboccare il vaso è proprio il passaggio di Gabriella Carlucci dal PdL all'UdC, che sposterebbe un ulteriore voto, forse quello risolutivo, dalla maggioranza all'opposizione.
D'altro canto, non sono un mistero le trattative di Berlusconi con la delegazione radicale in Parlamento, un pacchetto di ben sei voti che potrebbe ribaltare le sorti della votazione: pur eletti nelle fila del PD, i militanti del partito di Marco Pannella non hanno mai fatto mistero di flirtare politicamente con il Presidente del Consiglio, ed il loro atteggiamento nelle ultime votazioni lascia pensare che Berlusconi possa avere proprio in loro la sua arma segreta.

Quel che è certo è che la maggioranza assomiglia sempre di più a quella che Prodi aveva in Senato nella scorsa legislatura: un Governo numerico con poche possibilità di governare davvero, appeso ai ricatti dei cani sciolti e alle prebende distribuite dal Presidente del Consiglio in forma di rimpasti e incarichi ministeriali, un Governo sonoramente bocciato per il proprio immobilismo dai mercati e dalle istituzioni internazionali.
Il contrappasso rispetto alle promesse del "governo del fare" suona quantomai doloroso.

sabato 5 novembre 2011

Greenpeace attacca i test sulle centrali nucleari

Logo dell'ENSREG

Dopo l'incidente alla centrale nucleare di Fukushima che ha sconvolto il Giappone l'Unione Europea aveva chiesto ai Paesi membri di avviare una serie di stress test sui 143 reattori in quel momento attivi all'interno dei propri confini (ridotti a 134 secondo i dati aggiornati al 21 ottobre 2011 della World Nuclear Association).
La ripartizione dei reattori, sempre dai dati della WNA, mostra:
  • 58 - Francia
  • 18 - Regno Unito
  • 10 - Svezia
  • 9 - Germania
  • 8 - Spagna
  • 7 - Belgio
  • 6 - Repubblica Ceca
  • 4 - Finlandia, Slovacchia, Ungheria
  • 2 - Bulgaria, Romania
  • 1 - Paesi Bassi, Slovenia
Il compito di approntare le test rules è stato affidato all'ENSREG (European Nuclear Safety Regulation Group), che ha stilato un documento di specifiche estremamente dettagliato, in cui venivano prese in considerazione evenienze che spaziavano dai terremoti alle alluvioni agli attacchi terroristici fino a interruzioni prolungate di energia elettrica.
Nel documento sono anche contenute le scadenze previste per la presentazione dei risultati degli stress test:
  • 15 agosto 2011 - Bozza del rapporto a livello di singola centrale
  • 15 settembre 2011 - Bozza del rapporto a livello nazionale
  • 31 ottobre 2011 - Versione definitiva del rapporto a livello di singola centrale
  • 31 dicembre 2011 - Versione definitiva del rapporto a livello nazionale
  • 30 aprile 2012 - Peer review
Al momento, quindi, sono pienamente disponibili sul sito dell'ENSREG i draft dei report nazionali, mentre iniziano ad affluire i report definitivi a livello delle singole centrali.

L'evoluzione ed il monitoraggio degli stress test sono stati seguiti con attenzione dalla ONG ambientalista Greenpeace che, non appena raccolti i draft dei report nazionali non ha mancato di sollevare le proprie critiche sulla conduzione dei test e sulla compilazione del report, corredata da una mappa interattiva costruita tramite l'applicativo Google Maps.

Le carenze evidenziate da Greenpeace si pongono su due livelli.
In primo luogo, denuncia l'organizzazione, quanto finora consegnato dai quindici Paesi nuclearizzati (i quattordici della lista del WNA più la Lituania) della UE tralascia alcune situazioni che proprio il disastro di Fukushima impedisce di bollare come casistiche puramente teoriche: in molti report mancano, per alcune o per tutte le centrali, le simulazioni relative a malfunzionamenti contemporanei in più reattori - esattamente quanto avvenuto in Giappone - nonché quelle relative a casi di impatti aerei analoghi agli attentati al World Trade Center dell'11 settembre 2001.
Inoltre, riporta sempre Greenpeace, i report non sono corredati dalle necessarie informazioni relative all'evacuazione dei centri abitati circostanti le centrali e non è stato tenuto in debito conto l'invecchiamento dei reattori, ovvero le simulazioni sono state effettuate utilizando i parametri "di listino" senza tenere conto del deterioramento e dell'usura a cui sono sottoposti i componenti della centrale nucleare.

La seconda critica è tuttavia ancora più significativa: Greenpeace punta infatti il dito contro le profonde diversità che sistematicamente si riscontrano da uno Stato all'altro. Vengono evidenziati, a mo' di esempio, due casi particolarmente significativi: il reporto della Repubblica Ceca impiega infatti appena 7 pagine - meno delle specifiche stesse fornite dall'ENSREG! - per sei reattori, laddove la Slovenia è stata in grado di produrre un documento di 167 pagine per le simulazioni sull'unico reattore costruito sul suo territorio nazionale. Una discrepanza enorme, che tuttavia - puntualizza Greenpeace - serpeggia in tutta la UE secondo precise dinamiche: sarebbero infatti i Paesi in cui lo Stato non è direttamente il controllore delle centrali nucleari quelli ad aver condotto fino a questo momento i test più rigorosi. Oltre al caso della Slovenia, viene infatti citato come report di alta qualità quello francese, per inciso lo Stato con il maggior numero di reattori sul proprio territorio e potenzialmente quindi quello con il compito più complesso in fase di compilazione.
Al contrario vengono indicati come estremamente lacunosi i documenti prodotti da Regno Unito e Svezia.

Malgrado le rassicurazioni della UE nelle parole di Marlene Holzner, portavoce del Commissario all’Energia Günther Oettinger, che fanno notare come i dati siano ancora ampiamente parziali, le differenze emerse tra i vari Paesi possono sollevare alcuni legittimi dubbi non già sulla bontà delle test rules proposte, quanto su quella delle simulazioni realmente effettuate, e sugli eventuali interessi che si possono celare nei silenzi e nelle omissioni.
I differenti risultati ottenuti tra un Paese e l'altro, infatti, permettono non solo di evidenziare quanto dovrebbe essere ovvio, ovvero che quando un controllore controlla sé stesso è difficile che lo possa fare con il giusto approfondimento e la necessaria imparzialità, ma anche che, come hanno dimostrato la Slovenia e soprattutto la Francia, la compilazione di report di qualità era tecnicamente possibile nei tempi previsti dalla UE anche in questa fase di avanzamento.

Diventa quindi legittimo iniziare a sospettare delle lacune, pur concedendo il beneficio del dubbio e tenendo conto che il controllo finale dovrà essere fatto sui dati che saranno pubblicati a dicembre, proprio tenendo conto della fattibilità tecnica delle operazioni e della correlazione tra l'incompletezza delle relazioni ed il rapporto tra ente controllante e gestore delle centrali.
Il sospetto che emerge è che molti particolari siano stati volontariamente taciuti ed omessi proprio per non dover mettere nero su bianco le gravi lacune in termini di sicurezza di molte centrali europee.

Greenpeace sfrutta questo ragionamento per portare argomentazioni alla sua campagna contro l'energia nucleare nel suo complesso, facendone risaltare le pecche in materia di protezione della popolazione in caso di eventi catastrofici naturali o artificiali; ben più importante, tuttavia, è valutare l'atteggiamento della UE e delle successive peer review: è infatti evidente ad esempio che le relazioni della Repubblica Ceca, se non dovessero modificarsi nella versione dicembrina, sarebbero del tutto insufficienti comparate con quelle della Slovenia, e la UE non può e non dovrebbe in quel caso ritenere gli stress test superati.
Prima ancora che costituire una valutazione sulla sicurezza dell'energia nucleare in Europa, questi test permetteranno di comprendere l'atteggiamento delle autorità europee verso il business dell'atomo e capire se questa procedura di stress test avrà un reale valore conoscitivo e operativo sul futuro energetico del continente oppure sarà stata solo un proforma per calmare gli animi della popolazione dopo Fukushima e l'ennesima prova di inconsistenza politica dell'Europa unita.
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