martedì 26 marzo 2013

M5S, da watchdog a partito

Vito Crimi (M5S) e Roberta Lombardi (M5S)

Una delle mutazioni genetiche più interessanti della storia politica italiana contemporanea riguarda l'evoluzione del MoVimento 5 Stelle, la formazione sorpresa delle ultime elezioni politiche che ha messo in crisi il bipolarismo della Seconda Repubblica mostrandosi come forza politica in grado di competere ad armi pari con il centrodestra ed il centrosinistra.

In particolare tiene banco in questi giorni l'atteggiamento dei parlamentari del MoVimento nei confronti della possibilità di formare un governo in coalizione - o dando un appoggio esterno anche limitato al primo voto di fiducia - con il centrosinistra. Atteggiamento che, salvo alcune sbavature, pare per ora molto compatto su un rifiuto totale di qualsiasi trattativa con gli altri partiti.

Si tratta di un modo di porsi che, per quanto più volte rimarcato dallo stesso leader del partito nel corso della campagna elettorale, costituisce una mutazione dai più inaspettata del ruolo del M5S, un vero e proprio rovesciamento valoriale rispetto a quanto è stato avviato e sta procedendo in modo molto fruttuoso ad esempio in Sicilia: sostanzialmente, nella classifica valoriale del MoVimento 5 Stelle, il tema della distruzione del sistema partitico - o quantomeno dell'attuale classe dirigente del Paese - ha in qualche modo superato come priorità il tema dell'attività politica a favore del Paese e dei cittadini italiani.

L'assunto è forte, e naturalmente si espone a critiche ed obiezioni.

La prima osservazione riguarda il paragone con la Sicilia: in regione il Presidente non deve sottoporsi al voto di fiducia in quanto eletto direttamente dal popolo; in tal modo, il MoVimento 5 Stelle ha potuto iniziare un percorso di collaborazione con il centrosinistra unicamente dal punto di vista programmatico, basato su un confronto tra programmi paritario in cui entrambe le parti si sono trovate ad avanzare proposte e arrivare ad una cernita basata sul vaglio reciproco. Tale confronto, sostengono i puristi del MoVimento 5 Stelle, in Parlamento non è possibile perché occorre un voto di fiducia, ovvero un appoggio formale all'esecutivo; le motivazioni addotte da chi rifiuta la fiducia ad un esecutivo a targa PD si possono trovare in un articolo scritto in data 13 marzo da Claudio Messora, già volto noto del M5S e dal 20 marzo responsabile per la comunicazione del Senato per il MoVimento. La sua opinione può quindi essere considerata una posizione ufficiale nella galassia di voci che compongono il M5S.
Secondo Messora, sostanzialmente, un appoggio che si limitasse alla prima fiducia sarebbe un travisamento del significato originale del voto di fiducia, che di fatto dovrebbe implicitamente essere la certificazione di una reale maggioranza politica in grado di garantire stabiità al potere esecutivo e non un atto formale che permette ad un Governo di entrare in carica. Si tratta tuttavia di una distinzione accademica e formale che necessita di un contesto: un Governo insediato che tradisce il mandato della maggioranza politica che lo sostiene non merita forse un voltafaccia sul tema della fiducia? Se Bersani convincesse dei propri punti programmatici i parlamentari del M5S, e successivamente tradisse il mandato, non sarebbero giustificate tanto la fiducia quanto la successiva sfiducia?
Proprio in tema di sfiducia, Messora tira in ballo una serie di difficoltà nel sfiduciare un governo in carica: per presentare una mozione di sfiducia occorrono le firme di almeno un decimo dei membri delle Aule, la mozione deve essere messa all'ordine del giorno e devono in ogni caso passare almeno tre giorni dalla sua presentazione affinché venga discussa. E occorre una maggioranza che la voti, con le stesse regole con cui si vota normalmente qualsiasi altra proposta parlamentare. Ma sono ostacoli così insormontabili? Impedirebbero al MoVimento 5 Stelle di ritirare il proprio appoggio ad un Governo? In realtà la pattuglia grillina in Parlamento supera il 10% in ciascuna aula ed in particolar modo al Senato dove il M5S è determinante, quindi i grillini potrebbero presentare autonomamente una mozione di sfiducia. Serve poi la calendarizzazione; ma a tale proposito è bene ricordare che Bersani aveva a suo tempo offerto al M5S una presidenza dell'Aula, quindi proprio il potere di dettare gli ordini del giorno. Infine, il voto. Il centrosinistra non è autosufficiente al Senato, quindi con una mozione di sfiducia in tale aula il M5S avrebbe tutto il potere di far cadere il Governo o quantomeno, in caso di soccorso del centrodestra, tirarsene fuori e certificare l'"inciucio". Le difficoltà esposte da Messora, a ben vedere, non sembrano poi così determinanti. L'unico punto dolente, che tra l'altro non si sente quasi mai nelle argomentazioni a cinque stelle, riguarda l'uso dei decreti legge: un governo PD, una volta insediato con i voti del MoVimento, avrebbe il potere di emanare decreti legge e farli convertire in aula con i voti del PdL. In realtà il PD potrebbe fare la stessa cosa passando dal Parlamento e non dal Governo, lo strumento del decreto serve solo a garantire maggiore velocità al processo, quindi anche questa obiezione, pur realistica, appare un po' spuntata.
La scelta di non applicare il modello Sicilia, modello di cui giustamente i grillini si vantano, a livello nazionale, non dipende quindi né da motivazioni tecniche sull'impossibilità di tornare indietro sul tema della fiducia, né da vincoli di tipo politico che costringano il M5S a sostenere l'esecutivo Bersani a qualsiasi costo.
Motivazioni ben più probabili sono la scelta consapevole di non accollarsi responsabilità di governo, e la volontà di non stringere accordi con altre forze politiche - sicuramente partendo da una sfiducia di fondo per certi aspetti decisamente giustificata - in maniera indipendente dalla bontà del programma proposto e dalle proprie possibilità di terminare l'esperienza governativa.

Il secondo filone critico sul dibattito relativo alla priorità tra l'abbattimento della classe politica e l'operato per l'Italia, che abbandona il campo prettamente tecnico per addentrarsi in quello più filosofico, riguarda l'identificazione di questi due obiettivi.
Secondo questo pensiero, sostanzialmente, il bene del Paese e la distruzione del sistema partitico, della democrazia rappresentativa e all'interno di questo processo dell'attuale ceto politico, sono in realtà un unico tema.
È fuor di dubbio che la politica italiana sia - e lo sia da tempo - un ostacolo alla crescita e allo sviluppo del Paese anziché esserne il volano. Burocrazia, clientelarismo, corruzione, politiche economiche dissennate, sono tutti macigni che pesano su imprese e lavoratori italiani, e tutte le forze politiche "classiche", vuoi per ignavia vuoi per effettiva complicità a mantenere e diffondere un sistema fondato sul malaffare, hanno la loro parte di responsabilità.
Ritenere tuttavia che qualsiasi attività di governo - o quantomeno legislativa in un contesto di reale partecipazione al cambiamento del Paese - debba essere subordinata all'eliminazione della classe politica o addirittura ad un radicale mutamento del sistema politico, è un'affermazione molto più forte. Calata in un contesto reale, significa subordinare al pensionamento di Berlusconi e Bersani una legge che tuteli chi ha perso o sta perdendo il lavoro, chi desidera aprire un'impresa, chi voglia avere giustizia in un processo in tempi ragionevoli, chi desideri difendere un luogo di pregio naturalistico o artistico dal cemento, chi lotta quotidianamente contro la criminalità organizzata.
Secondo il MoVimento 5 Stelle è impossibile in sostanza realizzare in collaborazione con il PD - si parla del PD perché nell'attuale parlamento sono i democratici ad avere la golden share - leggi che consentano in sostanza ai cittadini di sopportare meglio la crisi e consentano al Paese di uscirne, e anzi la realizzazione di simili leggi deve essere subordinata al raggiungimento della maaggioranza assoluta da parte del M5S.
L'affermazione è vera? A rigor di logica, no. Anche non aprendo nessuna linea di credito al PD e ragionando in termini di pura forza numerica del MoVimento 5 Stelle, emerge come i grillini abbiano una massa critica tale da poter imporre i propri desideri in piena tranquillità, soprattutto se il PD - secondo la linea tenuta finora - rifiuta l'appoggio del PdL.
La rottamazione dei partiti, in sostanza, non è una condizione strettamente necessaria all'impostazione di una linea politica volta alla realizzazione di quelle manovre che i cittadini chiedono a gran voce.
Subordinare quindi l'attuazione delle proprie politiche - considerando aprioristicamente impossibile una collaborazione con gli altri partiti - alla cancellazione dell'attuale sistema istituzionale non è un passaggio obbligato della storia politica del M5S, ma una precisa scelta di campo, del tutto legittima ma che deve essere esplicitata: il M5S è in Parlamento per scardinare il sistema politico, e non - o almeno solo in subordine - per rispondere alle esigenze immediate dei cittadini.

L'evoluzione del M5S è in questo evidente: non più watchdog della politica, non più moralizzatore della politica, ma una sorta di angelo della morte per i partiti. Fino a non molto tempo fa, Grillo non si sarebbe sottratto all'opportunità di avere la golden share su un governo e sulla grande possibilità di mettere in pratica le proprie politiche. Oggi, dietro al velo del voto di fiducia, si nasconde un mutamento molto più sottile, che vede il M5S rifiutare qualsiasi corresponsabilità nel cercare di sistemare la situazione attuale nel nome della propria purezza.
Una purezza che potrebbe però costare cara: se si dovesse assistere ad un ritorno alle urne in tempi brevi, un partito considerato indisponibile a sporcarsi le mani per governare il Paese a meno di non raggiungere da solo la maggioranza assoluta dei seggi rischia di essere percepito come inaffidabile. Se si dovesse entrare in campagna elettorale con lo schema mentale dei tre blocchi nessuno dei quali in grado di raggiungere la maggioranza assoluta dei seggi, l'attuale indisponibilità a qualsiasi forma di dialogo da parte di Grillo potrebbe portare a considerare il voto al M5S, paradossalmente, come un sostegno al più rigido immobilismo anziché al cambiamento.

venerdì 22 marzo 2013

Pietro Grasso, il discorso di insediamento

Pietro Grasso (PD)

L'elezione dell'ex-Procuratore di Palermo ed ex-capo della Direzione Nazionale Antimafia Pietro Grasso a Presidente del Senato è stato uno dei passaggi fino a questo momento più convulsi di questa neonata XVII Legislatura. Grasso è stato eletto alla quarta votazione al ballottaggio contro il Presidente in carica Renato Schifani, ed è stato sostenuto dai voti del centrosinistra e da circa un terzo della pattuglia del MoVimento 5 Stelle, laddove il centrodestra si è schierato compattamente per Schifani mentre i montiani ed il resto dei grillini hanno votato scheda bianca.

Classe 1945, siciliano di Agrigento, candidato ed eletto come capolista del PD alla circoscrizione Lazio del Senato, Pietro Grasso era già un nome molto noto nel panorama politico italiano a causa del suo ruolo rilevante nella magistratura, lavoro che non gli ha risparmiato anche alcune critiche da parte del noto editorialista Marco Travaglio a causa di alcuni suoi commenti lusinghieri nei confronti dell'atteggiamento tenuto dal Governo Berlusconi nella lotta alla mafia e soprattutto della sua elezione a capo della DNA al posto di Caselli. Critiche in ogni caso minoritarie rispetto ai successi conseguiti in una incessante battaglia alla criminalità organizzata.

Particolarmente significativo anche solo sul piano simbolico, il primo giorno di legislatura, è stato l'atto di deposito dell'Atto n°19 dal titolo Disposizioni in materia di corruzione, voto di scambio, falso in bilancio e riciclaggio, che altro non sarebbe se non la traduzione in articoli di legge di quella parte degli otto punti di Bersani dedicata alla lotta alla corruzione.

La figura di Grasso è oggi l'occhio del ciclone politico, con il suo nome che sempre più spesso tende ad essere nominato in relazione ad un governo di alto profilo qualora Bersani non riesca ad avere la fiducia in Parlamento.

Proprio per questo insieme di ragioni il suo discorso di insediamento costituisce un valido punto di partenza per tentare di comprendere quale sia il profilo politico e soprattutto istituzionale dell'ex-capo della DNA.

Tag cloud del discorso di insediamento di Pietro Grasso

Osservando il tag cloud discorso di Grasso, si nota immediatamente uno stile più pacato e riflessivo rispetto a quello della sua omologa della Camera dei Deputati Laura Boldrini.
La parola chiave, in modo quasi scontato, è "Paese": si tratta di un capovolgimento di fronte rispetto alla Boldrini, un cambiamento di paradigma che sposta il baricentro del discorso dall'interno dell'Aula all'Italia. Se per il Presidente della Camera l'imperativo era il dovere morale di azione da parte dei deputati, secondo il Presidente del Senato il fulcro del discorso è invece il Paese.
Una differenza sottile, ma in un ambiente politico dove il rinnovamento delle istituzioni è divenuto un tema di vitale importanza, si tratta di una differenza fondamentale.

Osservando le parole che circondano "Paese", emergono con prepotenza "bisogno", "dovere", "oggi" e "giustizia".
La scelta, soprattutto per quanto concerne l'ultima parola, tradisce il personaggio: Grasso identifica nella giustizia la prima e vera priorità per il Paese, declinandola per la maggior parte come lotta alla criminalità organizzata, ovvero proprio il suo campo di competenza.
Colpisce poi la presenza del verbo "dovere", tratto che accomuna Grasso alla Boldrini, qui inteso però in un duplice senso: da un lato, come già per la sua omologa alla Camera, uno sprone per i parlamentari, dall'altro un'espressione di quello spirito di servizio e sacrificio proprio dei servitori dello Stato, spirito di cui Grasso punteggia il discorso con esempi concreti tratti dalla sua esperienza.
"Bisogno" e "oggi" si pongono in diretta relazione con il "Paese", ed esprimono l'urgenza e l'impellenza che ha l'Italia di un profondo rinnovamento politico e sociale, a partire proprio, sostiene Grasso, dal tema della giustizia.

Scendendo ulteriormente nel dettaglio, spiccano parole come "vita", "cittadino", "potere", "pensare" e "ricordare".
In un discorso a tutto tondo come quello di Grasso, che con abilità passa dalla più stretta attualità ai ricordi della sua esperienza in magistratura, diventa difficile cogliere il riferimento preciso di ogni parola, che quindi deve essere considerata per la sua valenza generale. Ecco che quindi diventa evidente il richiamo all'attività parlamentare che deve esercitare il proprio "potere" in virtù del "pensare" e del "ricordare", ovvero, nella logica degli eventi narrati dal Presidente, rifarsi al ragionamento e all'esempio dei servitori del Paese.
"Cittadino" e "vita" riportano il focus del discorso sul Paese, il primo termine con un richiamo che - naturalmente - punta più all'Illuminismo e alla Rivoluzione Francese che al M5S, il secondo a simboleggiare i diritti fondamentali dell'uomo - primo tra tutti quello a vivere - così spesso brutalmente violati.

Il discorso, estremamente alto in termini di valori, pecca invece sulla spinta programmatica: gli unici highlights in tal senso si trovano infatti nei riferimenti ai "giovani" e al "lavoro", per altro senza precise declinazioni.
Il Presidente Grasso, complice anche la delicatissima situazione del Senato rispetto a quella della Camera, ha quindi optato per un discorso più istituzionale e meno politico di quello della Boldrini, un discorso estremamente denso in termini di richiamo al dovere e in una certa misura al sacrificio, ma più povero in termini di spinta politica.

Volendo peccare di retroscenismo, un simile discorso così super partes potrebbe facilmente essere considerato un buon viatico per un rapido trasloco verso Palazzo Chigi o addirittura il Quirinale, o quantomeno per una disponibilità di Grasso - sarebbe eccessivo parlare di desiderio - in tal senso. In realtà, forse era il solo tenore possibile per un discorso in un'aula così frammentata e politicamente incandescente. Una prova di misura e prudenza che indubbiamente svela buone doti politiche da parte dell'ex-procuratore.

martedì 19 marzo 2013

Laura Boldrini, il discorso di insediamento

Laura Boldrini (SEL)

Maceratese, classe 1961, eletta nella circoscrizione Sicilia 2 come indipendente nelle file di SEL, Laura Boldrini è il nuovo Presidente della Camera dei Deputati, la terza donna a ricoprire questa importante carica dopo Leonilde Iotti e Irene Pivetti.
È stata eletta al quarto scrutinio con 327 voti, undici in più della maggioranza assoluta, con il solo sostegno della coalizione di centrosinistra di cui fa parte.

Laura Boldrini ha un curriculum di tutto rispetto, che parte dalla laurea in giurisprudenza e si dipana nel solco di una collaborazione con le Nazioni Unite che dura dal 1989 e che culmina con il lunghissimo incarico (1998 - 2012) come Portavoce dell'Alto Commissariato per i Rifugiati.
È stata scelta dal settimanale Famiglia Cristiana come donna dell'anno 2009, e tra i suoi riconoscimenti spiccano la Medaglia Ufficiale della Commissione Nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna (1999), il titolo di Cavaliere dell'Ordine al merito della Repubblica italiana (2004), il Premio Consorte del Presidente della Repubblica (2006) e il Premio giornalistico alla carriera Addetto Stampa dell'Anno del Consiglio Nazionale Ordine Giornalisti (2009).

Il suo discorso di insediamento, reperibile in formato testuale sul sito della Camera dei Deputati a questo link e in formato video a questo link, diventa quindi particolarmente interessante proprio in virtù della figura della sua autrice, un'esponente di una sinistra umanitaria, lontana dalla vita dei partiti e della politica, scelta sull'onda di un vero e proprio rinnovamento - generazionale e non solo - da parte di un centrosinistra che ha scelto di andare a sfidare Grillo e il suo MoVimento proprio sul suo stesso terreno.
Si tratta, naturalmente, di un discorso di insediamento, quindi più ricco di saluti e intenti che di reali punti programmatici, ma è tuttavia già possibile, proprio sondando lo spirito che lo anima, coglierne l'essenza e valutarne l'orientamento.

Tag cloud del discorso di insediamento
di Laura Boldrini

Un discorso profondamente ancorato alla realtà.
Forse è questa la migliore definizione per le parole di insediamento di Laura Boldrini, come evidenzia appieno il tag cloud. Non è infatti un caso che la parola più utilizzata, nelle sue varie declinazioni, sia "dovere". L'attività parlamentare si riscopre spirito di servizio e, nell'imperativo categorico di una crisi economica e sociale che non accenna ad allentarsi, assume tutte le colorazioni dell'urgenza e dell'impellenza. Il Parlamento deve agire, perché tale è il suo compito, tale è la sua missione e soprattutto tale è la necessità del Paese.

A coronamento di questo verbo dal significato così potente, vi sono alcune parole che vi si pongono immediatamente al di sotto nella gerarchia del cloud, e che servono a direzionarlo e contestualizzarlo: "Italia", "istituzione", "responsabilità". Potrebbero essere termini scontati e banali, ma nell'attuale periodo di incertezza persino un richiamo a quello che potrebbe apparire ovvio - e spesso non lo è - ha un efficace significato chiarificatore.
Il riferimento al Paese, naturalmente, serve a richiamare l'origine e la destinazione del lavoro parlamentare, a fornire le coordinate da cui trarre ispirazione nello svolgimento dell'attività politica e a ricordare il fine ultimo di ogni atto dell'assemblea. Un doveroso e opportuno richiamo alla serietà in un Parlamento dove ogni forza politica pare più che altro interessata ad un rapido riposizionamento in vista di elezioni a breve.
L'accento calcato sul termine "istituzione", invece, ha il non trascurabile compito di ricordare il reale significato, ruolo e valore del Parlamento. Lungi dall'essere un mercato, un parcheggio per politici in carriera o peggio ancora uno strumento per inseguire il proprio tornaconto, il Parlamento è un'istituzione del Paese, rappresenta il popolo italiano e in questa veste deve essere vissuto dai suoi - temporanei - occupanti.
In tale ottica, naturalmente, deve essere inteso anche il richiamo alla responsabilità. La scelta del termine è piuttosto chiara, e costituisce una rottura con il progressivo vilipendio cui è stata sottoposta questa parola, dai cambi di casacca di scilipotiana memoria ai più recenti appelli alla responsabilità usati per mascherare inciuci della peggior specie. Il richiamo è qui - ed il termine trova forza e si completa con gli altri usati - alla responsabilità verso il Paese e verso l'istituzione che si rappresenta, ed è proprio questo il senso di responsabilità che dovrebbe guidare i deputati nel loro lavoro quotidiano.

A partire da questo scheletro primario, si dipanano poi una serie di altri termini che indirizzano e caratterizzano in maniera più concreta il discorso di insediamento della Boldrini, tradendone senza dubbio le origini e le preferenze politiche e indicandone le priorità e le attenzioni. Ecco che quindi compaiono nel tag cloud termini come "diritti", "mondo", "europa", "sacrificio", "lavoro" e "lavorare", che hanno lo scopo di dirigere l'azione politica dell'Aula e focalizzare quelli che secondo la Boldrini sono i temi più rilevanti da affrontare: temi dichiaratamente di sinistra, in difesa dei diritti, dei più deboli, del lavoro e di chi lavora, il tutto spinto da una vocazione addirittura più mondiale che europeista.

Di particolare interesse poi i verbi usati: oltre al già citato "dovere", spiccano poi infatti "impegnare", "lavorare", "rappresentare", "fare", "volere", "permettere", "ricordare". Tutte parole destinate a spronare la Camera, ad aiutarla a ritrovare quello spirito di sede del potere legislativo da troppo tempo sopito e annegato nella tracotanza e nella preponderanza degli ultimi esecutivi, quasi che il Parlamento fosse null'altro che un ente di ratifica delle decisioni del Governo.
La centralità del Parlamento, più ancora dei temi politici affrontati, è forse il punto più rilevante del discorso di Laura Boldrini, un discorso di orgoglio, rivendicazione ma anche e soprattutto sprone politico per i suoi colleghi per realizzare il bene del Paese, nell'ottica di un'altra parola, appena accennata e sussurrata nel suo discorso ma non per questo meno significativa: "speranza"...

mercoledì 13 marzo 2013

Grillo e il Costa Rica, qualcosa non torna

La baia di Papayago (Costa Rica)

Soffocata tra le manifestazioni del PdL davanti al Tribunale di Milano e il Conclave, forse messa in sordina anche per via dei contatti in corso tra i parlamentari del centrosinistra e quelle del MoVimento 5 Stelle che lasciano aperti spiragli per un possibile accordo alle Camere, l'inchiesta targata L'Espresso che vede come protagonista l'autista e angelo custode [cit.] di Beppe Grillo, Walter Vezzoli, e le sue società costaricane è sicuramente una delle indagini più calde del momento.

Sostanzialmente, ricostruiscono gli autori dell'inchiesta intitolata Grillo, l'autista e la cognata, Vezzoli, insieme alla cognata di Grillo Nadereh Tadjik, ha aperto tredici società in Costa Rica, di cui quattro in forma di sociedad anonima, ciascuna con capitale di 10.000 $, tra il 2004 ed il 2007. Dall'inchiesta non sono emersi elementi che lascino pensare a eventi di natura illegale: le società sono dormienti ma ancora attive, compresa la società Armonia Parvin (nome della moglie Grillo), e soprattutto la società Ecofeudo (di cui L'Espresso riporta l'atto costitutivo), ovvero il progetto di un resort extralusso ecosostenibile sulle colline della baia di Papagayo che tanto scalpore ha suscitato proprio per l'accostamento di un nome fortemente legato al mondo ambientalista come quello di Grillo con l'idea di un villaggio vacanze - per quanto ecosostenibile - in un ambiente incontaminato, che tanto assomiglia a quelle speculazioni edilizie contro cui il M5S si batte. Il dettaglio dei bunker antiatomici, in un momento in cui tra microchip e scie chimiche alcuni degli eletti del M5S hanno inopportunamente legato il proprio nome ad alcune tra le più note teorie complottiste e sono anche stati ripresi i pensieri di Casaleggio circa una nuova guerra mondiale entro la fine del decennio, ha poi letteralmente mandato in un brodo di giuggiole i detrattori del MoVimento.

Nessuna implicazione legale, solo una macchia sull'immagine del comico genovese, ma in una società mediatizzata il danno può essere lo stesso.
Gli sviluppi futuri dell'inchiesta sveleranno se si tratta di una bolla di sapone oppure se vi sono retroscena più oscuri, ma è particolarmente interessante osservare il modo in cui Grillo e suoi alleati nel mondo dell'informazione hanno deciso di ribattere alle accuse mosse loro.

Ad oggi si contano tre documenti ufficiali in cui viene affrontato l'argomento:
Quali sono, in ultima analisi, le argomentazioni utilizzate da Grillo?
La prima precisazione, che giunge dall'intervista di Vezzoli, è che il villaggio Ecofeudo non è mai stato costruito; inoltre Vezzoli ci tiene a precisare che nel 2007, anno in cui è stata aperta la società, non conosceva Casaleggio.
Il secondo punto portato avanti da Vezzoli riguarda poi la scelta geografica: le società sono state aperte in Costa Rica perché era quello il luogo di residenza di Vezzoli in quegli anni.
Un altro punto importante, che emerge sempre durante l'intervista, riguarda il fatto che Vezzoli non avesse bisogno di scudare alcun capitale attraverso l'apertura di società estere in quanto "non aveva un centesimo".
Passando invece agli interventi sul blog di Grillo, oltre a ribadire quanto emerso dall'intervista il comico genovese evidenzia, con tanto di link a Wikipedia, il fatto che sociedad anonima identifichi, nei Paesi di lingua spagnola, la nostra semplice Società per Azioni, e sottolinea soprattutto il fatto che il Costa Rica non sia più considerato dall'OCSE un paradiso fiscale ormai dal 2011, anche in questo caso corredando di link la sua affermazione.

Messa così, un trionfo dell'informazione libera e della rete contro un giornalismo prezzolato, mosso da interessi prettamente politici.
Eppure, qualcosa non convince.

In primo luogo, gli autori dell'inchiesta. Tra i nomi degli autori spicca infatti Vittorio Malagutti, giornalista di chiara fama, spesso additato come esempio di meticolosità e indipendenza di pensiero. Malagutti, tra l'altro, collaborò proprio con Il Fatto Quotidiano, dove teneva un blog che risulta attivo fino a settembre 2012. Anche per questa ragione stupisce l'atteggiamento del quotidiano di Padellaro e Travaglio, che dinanzi ad una simile notizia si limitano a pubblicare un memorandum difensivo da parte di Vezzoli. Non è difficile intuire quale sarebbe stato il loro atteggiamento se si fosse trattato dell'autista di Berlusconi o di Bersani, e questa disparità di trattamento - non comprovata dai fatti nel caso specifico, ma decisamente sperimentata in altri casi analoghi - è un primo segnale di anomalia.

In secondo luogo, emergono prepotentemente alcune cose non dette da parte di Vezzoli. L'autista di Grillo afferma testualmente nella sua intervista di essere stato sostanzialmente uno squattrinato. Tredici società ciascuna con capitale 10.000 $ implica però un capitale di 130.000 $, una somma tutto sommato piuttosto rilevante. Se era oltre le disponibilità di Vezzoli, da chi vengono quei soldi?

La questione successiva è altrettanto disarmante nella sua semplicità: come mai tredici società? Come mai non una, o due, ma addirittura tredici? Come mai lo stesso identico capitale sociale per una società di alimenti bio e per una società finalizzata alla costruzione di un resort?

Il tema successivo riguarda il punto sociedad anonima: Grillo nel suo blog si limita a citare la voce su Wikipedia in lingua spagnola, e già dalla barra laterale del multilingua si nota come la corrispettiva voce italiana sia "Società per azioni". Né nella pagina linkata si fa riferimento a caratteristiche non appaiono nelle nostre società per azioni. Spostando tuttavia lo sguardo su siti specializzati, ad esempio quello della società di consulenza legale costaricense CV Firm, si trovano alcuni dettagli supplementari di sicuro interesse, riportati nel seguente articolo.
Algunas personas utilizan esta corporación también porque puede hacer más fácil de ocultar los nombres de los socios verdaderos. Significo, para el público, es casi imposible saber quién es los socios.
Habrá un registro privado que muestra que es los socios. Si un Juez requiere información, puede ser posible saber en el proceso que es el socio según tal registro. Sin embargo, porque las acciones pueden ser negociadas sin registrar la transferencia en tal libro, al fin no está seguro que lo que tal exposición de registros es la verdad. (Esto es no supone suceder con el S. R. L. en que las acciones son una clase diferente de acciones). (Un Juez sólo puede requerir tal información en algunos casos especiales, no en cualquier momento).

Sostanzialmente, questo tipo di società non ha un registro dei proprietari delle azioni accessibile al pubblico, mentre può essere richiesto da un giudice in un eventuale procedimento; inoltre non vi è l'obbligo di registrare i trasferimenti azionari in tale registro, non sempre le informazioni ivi possedute possono essere considerate veritiere.
Sostanzialmente, se è possibile conoscere chi sono gli intestatari delle tredici società oggetto della diatriba, diventa improvvisamente tutto molto più nebuloso quando si tratta di scoprire chi sono e chi sono stati in passato i relativi azionisti. Una scelta sicuramente poco felice per chi lotta quotidianamnete per la trasparenza nelle imprese: o Grillo non conosceva la formula della sociedad anonima e si è informato solo su Wikipedia, oppure - molto peggio - ha trasmesso ai lettori del suo blog un'informazione volutamente incompleta e fuorviante fidando nel proprio immenso capitale di fiducia.

Un'operazione analoga è stata fatta, in maniera ancora più sottile, sul tema delle tasse. L'Espresso attacca dicendo che il Costa Rica è considerato un paese poco affidabile dal Ministero del Tesoro, Grillo replica dicendo che l'OCSE dal 2011 ha rimosso il Costa Rica dalla black list dei Paesi che non collaborano per la trasparenza fiscale. Seguendo evidentemente i precetti di Schopenhauer nel suo Eristische Dialektik - Die Kunst, Recht zu Behalten, Grillo sposta l'argomento della discussione, lo circostanzia nel tempo e nello spazio in modo da pronunciare un'affermazione vera, ma di fatto non risponde alle accuse mosse.
Le parole di Grillo, riprese poi dall'ambasciatore costaricense, sono vere e inconfutabili. In realtà, già nel 2010 il Costa Rica non era più nella black list dell'OCSE.
Andando a recuperare il rapporto OCSE 2010, tuttavia, si notano immediatamente due cose. La prima è che la black list è vuota, non vi fa parte nessuno stato. Sostanzialmente, tutti gli Stati monitorati dall'OCSE hanno iniziato un percorso verso la trasparenza fiscale. La seconda cosa che si nota è che il Costa Rica comunque fa parte di quegli stati che hanno ratificato ma non ancora implementato gli standard richiesti dall'OCSE. In particolare, il Costa Rica, con appena un accordo, risultava nel 2010 tra gli Stati messi peggio in assoluto, addirittura dietro a quella Saint Lucia che richiama alla mente altri scandali della recente storia italiana.
Però le società di cui parla L'Espresso sono state fondate tra il 2004 ed il 2007, e dai report OCSE emerge che il Costa Rica è uscito dalla black list proprio nel 2010: andando ad esempio a osservare il report 2009, infatti, si nota come il Costa Rica, assieme a Filippine, Uruguay e Malesia, non avesse ancora nemmeno ratificato gli standard OCSE. All'epoca della fondazione delle società di Vezzoli, il Costa Rica era a tutti gli effetti un paradiso fiscale, e lo è rimasto per un periodo che va da due a cinque anni a seconda dalla data di fondazione.
Ma c'è un'ulteriore insidia nella risposta apparsa sul blog di Grillo: il comico genovese cita l'OCSE, ma nell'inchiesta si legge Tesoro. Infatti le liste dell'OCSE e quelle dei singoli Paesi possono benissimo differire. L'organizzazione internazionale valuta infatti la trasparenza di un Paese in funzione del numero di accordi da questo fatti, senza indagare con precisione con chi; ogni singolo Stato, invece, si bassa nella propria classificazione in funzione degli accordi specifici fatti da e verso di lui. Dalla pagina dedicata sul sito dell'Agenzia delle Entrate (ultimo aggiornamento 4 agosto 2010) emerge quindi come il Costa Rica sia un Paese considerato privilegiato ai fini IRPEF, per il quale addirittura l'Italia pretende l'inversione dell'onere della prova per la residenza. Inoltre, limitatamente alle società ad alta tecnologia oppure con proventi da fonti estere, l'Italia applica le regole sull'indeducibilità dei costi e sulle Controlled Foreign Company. In sostanza, per l'Italia il Costa Rica resta un vero e proprio paradiso fiscale.
Anche in questo caso resta il dubbio se le parole di Grillo siano dettate dall'ignoranza della reale situazione legale o da un consapevole tentativo di svicolare da una situazione scomoda.

Allo stato attuale, risulta difficile ipotizzare conseguenze su Grillo o sul MoVimento 5 Stelle: i principali media non hanno particolarmente calcato la mano sulla notizia, gruppo L'Espresso compreso; anche in internet la notizia è passata come una meteora senza strascichi, soffocata da altre notizie di più stringente attualità o dalla convenienza - per motivazioni squisitamente politiche - a tenerla sopita.
Nei pochi giorni in cui è stata di attualità, tuttavia, l'inchiesta è servita però se non altro a svelare il volto - nella migliore delle ipotesi - garantista de Il Fatto Quotidiano e quello - sempre nella migliore delle ipotesi - disinformato di Beppe Grillo; nella peggiore delle ipotesi una gestione delle informazioni palesemente alterata e mistificatoria, un utilizzo del proprio capitale di credito e fiducia a scopi di disinformazione, in sostanza la negazione di tutto ciò per cui il M5S si batte.

venerdì 8 marzo 2013

Incertezza di lotta e di governo

Hamlet with the skull of Yorick, di Henry Courtney Selous

Via via che ci si avvicina all'insediamento del nuovo Parlamento, e complice di questo la situazione di ingovernabilità creata dal risultato elettorale, fioriscono le più disparate ipotesi sul futuro della legislatura, ed in particola sul tipo e sul colore dell'eventuale Governo che si riuscirà a insediare, alcune frutto di un'analisi seria e circostanziata dell'attuale situazione di stallo politico, altre frutto più che altro di semplici desideri e speranze, altre ancora proposte e sponsorizzate con l'intento di trasformarsi in profezie autoavveranti.

Diventa quindi piuttosto opportuno riepilogare quali sono le ipotesi più significative dal punto di vista politico, offrendone al contempo una valutazione politica, istituzionale, ed elettorale, e sulla base di questi parametri cercare di capirne le probabilità di realizzazione.

Ipotesi 1: Governo CSX-M5S

Bersani si presenta alle Camere, con il suo ormai arcinoto piano di otto punti, e ottiene la fiducia del CSX e del M5S.
Questa ipotesi darebbe vita ad un governo di scopo, incentrato sulla realizzazione di questi punti, al termine del quale, nel caso in cui non vi fossero altre convergenze tra le due forze in gioco, il governo cadrebbe.
Dal punto di vista prettamente politico il governo sarebbe numericamente forte, potendo contare su una maggioranza paragonabile a quella uscita dalle urne nel 2008, ma politicamente sottoposto ai veti incrociati dei due componenti, cosa che ne limiterebbe il raggio di azione. Lungi dall'essere un difetto, si tratta della semplice definizione di "governo di scopo".
Dal punto di vista politico le proposte di Bersani (leggi contro la corruzione e contro la mafia; leggi sul conflitto d'interessi; costi e sobrietà della politica; interventi immediati sull'urgenza sociale; interventi positivi sull'economia; riabilitare il già costruito e non consumare più territorio; diritti sulla cittadinanza e sulle coppie omosessuali; scuola e diritto allo studio), che in questa fase non possono ancora essere strutturate in - proposte di - articoli di legge ma si mantengono più che altro a livello di indirizzi generali, paiono rispondere a reali bisogni del Paese: una loro applicazione, se nell'eventuale stesura definitiva non ne verrà tradito lo spirito, appare un'eventualità auspicabile.
Dal punto di vista più prettamente elettorale, invece, sicuramente sarebbe la mossa più azzeccata per il Partito Democratico, che troverebbe ossigeno nella realizzazione di alcune riforme estremamente popolari, o in caso di rifiuto di Grillo potrebbe attaccarlo sulla loro mancata realizzazione. Un simile scenario avrebbe inoltre il potere di marginalizzare la figura di Berlusconi ed il ruolo del PdL.
Probabilità di realizzazione: 10%, a causa delle reticenze de M5S a votare un esecutivo composto da personalità dei partiti esistenti.
Outlook: positivo per il CSX, negativo per il CDX, moderatamente positivo per il M5S.

Ipotesi 2: Governo "non politico" appoggiato da CSX-M5S

Questa ipotesi è una variante della precedente, e presuppone unch'essa una convergenza politica tra CSX e M5S incentrata sui punti presentati da Bersani alla direzione nazionale. Ciò che differenzia questa ipotesi dalla precedente è la compagine di governo, che non sarebbe più espressione del centrosinistra ma diverrebbe un esecutivo composto da personalità non politiche (di fatto un "governo tecnico"). L'esecutivo non perderebbe comunque la propria connotazione di governo di scopo, in quanto la sua esistenza sarebbe unicamente incentrata sulla realizzazione dei punti in comune tra i programmi del centrosinistra e del MoVimento 5 Stelle.
L'ipotesi potrebbe aggirare le remore del M5S relative all'ipotesi precedente, ma sicuramente sarebbe più difficile da digerire per il centrosinistra, costretto a rinunciare ai ruoli di governo. Di fatto, questo strumento potrebbe essere utilizzato dal punto di vista elettorale dal M5S per stanare il centrosinistra, e capire se il cuore della proposta di Bersani è la realizzazione dei punti proposti oppure l'occupazione delle cariche di governo.
Probabilità di realizzazione: 20%, a causa da un lato dalla difficoltà da parte del M5S di accettare anche questa forma attenuata di alleanza politica, e dall'altro dalle remore del centrosinistra di accettare un accordo che veda esponenti di partito fuori dal governo.
Outlook: moderatamente positivo per il CSX, negativo per il CDX, moderatamente positivo per il M5S.

Ipotesi 3: Governo CSX-CDX

Il Grande Inciucio. PD e PdL si mettono assieme lasciando all'opposizione il M5S, in un governo a guida centrosinistra.
Politicamente, questa ipotesi, considerate le fondamentali differenze tra le due coalizioni, una soluzione di questo genere costituirebbe l'immobilismo politito più totale.
Dal punto di vista del consenso, significherebbe semplicemente uno spostamento in massa della base di sinistra dal PD a Grillo, o al massimo a Vendola qualora questi avesse l'accortezza di tenersi fuori.
Probabilità di realizzazione: 10%, una quota molto bassa in quanto l'apparato PD per una volta pare essere ben consapevole del pericolo insito in una simile scelta.
Outlook: fortemente negativo per il CSX, positivo per il CDX, fortemente positivo per il M5S.

Ipotesi 4: Governo "non politico" appoggiato da CSX-CDX

La riedizione di un governo stile Monti è l'ipotesi probabilmente più quotata, anche a causa dei continui moniti del Presidente della Repubblica a costituire un esecutivo in grado di guidare il Paese in questo periodo di crisi così acuta. Al tempo stesso, è difficile che il M5S possa scendere a compromessi persino su questo punto, e probabilmente preferirebbe giocare di rendita stando all'opposizione e gridando all'inciucio esattamente come nell'ipotesi 3.
Al tempo stesso, il centrodestra ed in maggior misura il centrosinistra, potendo affidarsi ad una figura terza, potrebbero avere maggiori possibilità di portare avanti una parte del proprio programma, e almeno per quanto riguarda il centrosinistra vi sarebbe quantomeno la "foglia di fico" formale della terzietà del governo e delll'input del Presidente della Repubblica.
Gli effetti elettorali di un simile scenario sarebbero da pesarsi sui risultati ottenuti da questo governo, ma non è difficile ipotizzare una rapida decrescita del PD, una decrescita più lenta per il PdL e un netto rafforzamento del M5S.
Probabilità di realizzazione: 30%, legato alla moral suasion di Napolitano e all'inflessibilità di Grillo.
Outlook: negativo per il CSX, positivo per il CDX, positivo per il M5S.

Ipotesi 5: Governo "non politico" appoggiato da CSX-CDX-M5S

Questa ipotesi è una variante dello scenario precedente in cui Grillo accetta di votare la fiducia ad una personalità esterna condivisa da tutto l'arco politico, con la probabile eccezione della Lega Nord, la piena realizzazione della definizione di governo di unità nazionale.
L'esecutivo che nascerebbe sarebbe relativamente forte, in quanto gli sarebbe sufficiente di volta in volta accontentare due parti su tre per ottenere il passaggio delle leggi. Ciò che sarebbe difficile mantenere sarebbe uno status di esecutivo super partes, in quanto ciascuna componente della maggioranza - con l'eccezione del centrosinistra - avrebbe possibilità di sfilarsi dal sostegno al governo senza comprometterne la sopravvivenza. Ciò limiterebbe di molto l'attività dell'esecutivo.
Probabillità di realizzazione: 15%, una percentuale dimezzata rispetto all'ipotesi precedente proprio a causa delle scarse probabilità di trovare un compromesso sul tema con il M5S.
Outlook: stabile per il CSX, moderatamente positivo per il CDX, moderatamente negativo per il M5S.

Ipotesi 6: Nuove elezioni

Il sistema dei veti incrociati conduce all'impossibilità di generare un esecutivo, Napolitano o il suo successore scioglie le Camere e si ritorna alle urne con il Porcellum. Si tratta della linea auspicata da alcune parti del PD (i Giovani Turchi) e del PdL, mentre è l'eventualità su cui il M5S pare contare di meno.
Diventa difficile capire quali possano essere gli scenari elettorali in questo caso, molto dipenderà dall'atteggiamento con cui le varie formazioni politiche affronteranno l'elettorato. Si può tuttavia ipotizzare un centrodestra galvanizzato dall'idea del completamento della rimonta mancata di un soffio a febbraio, ed al tempo stesso un centrosinistra più compattato, con una nuova guida - Renzi? - uscita dalle primarie, in grado di scaricare su Grillo la mancata realizzazione delle riforme promesse da Bersani e l'eventualità di un ritorno al potere di Berlusconi.
Probabillità di realizzazione: 10%.
Outlook: moderatamente positivo per il CSX, moderatamente positivo per il CDX, moderatamente negativo per il M5S.

Ipotesi 7: Il non-governo

Un Governo che non ottiene la fiducia resta in carica per gli affari correnti nell'attesa di capire se le consultazioni condurranno alla formazione di un nuovo esecutivo o alle urne; se questa situazione si protraesse a lungo, l'Italia si ritroverebbe con un Governo azzoppato ma con un Parlamento perfettamente in grado di legiferare. Gli otto punti di Bersani - o per lo meno la legge elettorale - potrebbero quindi essere oggetto di legge di iniziativa parlamentare mentre il Paese viene traghettato verso nuovo elezioni guidato da un governo fantasma. Sarebbero quindi le leggi approvate dal Parlamento a decidere in che modo le forze politiche si presenteranno all'elettorato.
Si tratta di un'ipotesi estremamente improbabile, osteggiata in primis dal Capo dello Stato, quindi con una probabilità di realizzazione puramente simbolica al 5%.
Outlook: moderatamente positivo per il CSX, moderatamente negativo per il CDX, moderatamente positivo per il M5S.

venerdì 1 marzo 2013

Sindrome tripolare

Bersani (PD), Grillo (M5S) e Berlusconi (PdL)

L'unica grande certezza delle elezioni politiche 2013 è la fine del bipolarismo.
Lo strepitoso successo del MoVimento 5 Stelle ha sostanzialmente e radicalmente trasformato uno scenario politico italiano cristallizzato da decenni, spezzando lo status quo in una maniera persino superiore allo scandalo di Tangentopoli, alla fine della Prima Repubblica e alla creazione di Forza Italia.

Il primo effetto di questo fenomeno è il mutamento della geografia politica del voto.

Prima, seconda e terza coalizione più votata al Senato

La cartina sopra riportata riporta, basandosi sui voti ottenuti al Senato e su base regionale, rispettivamente la prima, la seconda e la terza coalizione del Paese. Come si vede, il MoVimento 5 Stelle risulta essere una formazione competitiva che, anche se non riesce a prevalere in nessuna regione, spesso si posiziona al secondo posto in varie aree del Paese.
Ad oggi infatti:
  • il centrosinistra ha prevalso in 12 regioni, è secondo in altre 6, ed è terzo in 2
  • il centrodestra è primo in 7 regioni, è secondo in 6, ed è terzo in altre 6
  • il MoVimento 5 Stelle è secondo in 8 regioni ed è terzo in 12
  • gli autonomisti valdostani sono risultati vincenti in Valle d'Aosta
Il MoVimento 5 Stelle è stato in grado, pertanto, di sopravanzare il centrosinistra in Sicilia e Abruzzo, e di superare il centrodestra in Liguria, Emilia, Toscana, Umbria, Marche e Sardegna.

Questa pur superficiale analisi conssente di individuare alcuni temi fondanti per comprendere la nuova geografia politica del Paese.
Il centrosinistra è terzo in due regioni: di queste, l'Abruzzo può essere considerato un caso particolare con centrodestra, centrosinistra e M5S contenuti nello spazio di 10.000 voti, circa l'1,5%. Una vicinanza che di fatto assegna le posizioni solo a livello statistico senza poter offrire indicazioni politiche chiare. La vera sconfitta del centrosinistra, pertanto, è in Sicilia, dove il partito che pure esprime il Presidente di Regione non riesce ad essere visto come una forza politica credibile.
Il centrodestra, dal canto suo, smette quasi di esistere nelle regioni rosse, dove si posiziona poco al di sopra della soglia di sbarramento per poter ottenere seggi in formato di coalizione. È nettamente terza forza nelle Marche e in Liguria, mentre cede pur di poco al M5S nelle altre regioni elencate.
Proprio nelle Marche e in Liguria il MoVimento 5 Stelle ottiene i suoi risultati più prestigiosi, arrivando relativamente vicino ad ottenere il premio di maggioranza al Senato. Si sarebbe trattato di un fatto dall'elevatissimo sapore simbolico, ma la conquista di queste due regioni storicamente rosse avrebbe alimentato il falso mito del voto grillino proveniente solo da sinistra. Una credenza che i fatti tendono oggi a smentire o quantomeno a ridimensionare.

In Sicilia e in Veneto il M5S ottiene risultati altamente prestigiosi. Ma a discapito di chi? In Sicilia Bersani perde 100.000 voti rispetto al risultato di Veltroni nel 2008; Berlusconi rispetto alla medesima tornata elettorale ne perde 750.000. In Veneto Bersani perde 200.000 voti; Berlusconi ne perde 650.000. Persino nelle stesse regioni dove Grillo ha rischiato il colpaggio il calo di Berlusconi è superiore a quello di Bersani, anche se non in termini così elevati (-130.000 contro -150.000 nelle Marche, -120.000 contro -200.000 in Liguria).

Proprio questa considerazione sul confronto tra Berlusconi e Bersani apre un secondo tema molto importante. Con l'eccezione del Molise, Berlusconi perde sempre più di Bersani, e perde tanto di più quanto era forte in regione. In Sicilia il centrodestra perde quasi sei volte i voti persi dal centrosinistra, in Lombardia quasi cinque volte, in Veneto "appena" il triplo, in Campania "solo" il doppio.
Nelle regioni rosse, invece, le perdite sono molto più allineate in termini di voti assoluti e si passa dall'Emilia, dove comunque il centrodestra perde quasi il doppio dei voti del centrosinistra, all'Umbria dove le due coalizioni sono quasi perfettamente allineate in termini di calo dei voti.

Mentre nel centrosinistra appare quindi in atto una lenta ma costante erosione dei centri di potere, a destra si è assistito ad un vero e proprio smottamento rispetto al 2008, una frana senza precedenti nella storia della Repubblica (si parla di due milioni e mezzo di voti nelle tre regioni che costituiscono il principale serbatoio di voti del centrodestra, Lombardia, Veneto e Sicilia). La vittoria di Berlusconi in queste regioni deriva semplicemente da un accumulo di capitale elettorale precedente a livelli altissimi, unito in Veneto ad una divisione pressoché paritaria tra centrosinistra e MoVimento 5 Stelle.

Questa situazione di calo moderato del centrosinistra, calo significativo del centrodestra e crescita rapidissima del M5S ha portato ad una situazione instabile e destabilizzante del quadro politico italiano. Al di là della contingenza attuale e delle possibilità di formare un governo con le attuali proporzioni parlamentari, l'Italia si ritrova ora nella condizione politica di avere tre poli politici di forza comparabile, ed una legge elettorale che già fatica ad assegnare una maggioranza chiara in una condizione bipolare... o per prendere il problema da un altro verso, un sistema bicamerale perfetto in cui l'assegnazione dei seggi prevista dalla legge elettorale impedisce il normale funzionamento della macchina amministrativa.

Se da un lato è vero che la situazione politica italiana è talmente instabile che lo scenario attuale potrebbe essere già obsoleto tra pochi mesi o un anno, sembra tuttavia esservi un punto fermo nello scenario politico del Paese. La stagione del bipolarismo è finita, e non vi saranno artifizi alchemici derivanti da qualsiasi legge elettorale che potranno scongiurare il fenomeno.
In Italia troppo spesso la legge elettorale è stata pensata più per favorire il verificarsi di un determinato scenario politico che per cogliere - in termini di rappresentatività e governabilità - il reale stato del Paese. È da lì che oggi bisogna ripartire: un piccolo grande passo per avvicinare la politica al Paese reale.
Certo, per arrivare ad un simile risultato serve un governo, ma questa è un'altra storia, e si dovrà raccontare un'altra volta.
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