venerdì 7 settembre 2012

Draghi, la tecnocrazia e la politica assente

Mario Draghi

La comunicazione di Mario Draghi, presidente in carica della Banca Centrale Europea, del 6 settembre 2012 segnerà senza alcun dubbio uno spartiacque nella storia della crisi economica internazionale che ormai da diversi anni attanaglia il mondo e in particolare il Vecchio Continente.
Per la prima volta, infatti, la BCE è stata in grado di offrire una risposta convincente e soprattutto efficace alle successive ondate speculative che, nel lungo termine, avrebbero rischiato di mettere al tappeto Paesi come Italia e Spagna, usandoli come grimaldello per una progressiva devastazione economica - e dunque sociale - dell'intera costruzione europea.

Mario Draghi, nel corso di una conferenza stampa tenutasi alla sede della BCE a Francoforte sul Meno alle ore 14:30, ha illustrato le mosse intraprese dalla Banca Centrale Europea per contrastare le manovre della speculazione finanziaria, e si tratta finalmente di un piano articolato, sufficientemente equilibrato da guadagnarsi l'approvazione, ma al tempo stesso in grado di dotare la BCE di quegli strumenti che il processo di unificazione dell'Europa era stato rapido nel togliere alle banche centrali nazionali ma non sufficientemente accorto da fornirli alla banca centrale.

La vera e reale novità della nuova linea BCE è l'acquisto diretto di titoli di stato, senza alcun limite quantitativo prefissato, dal mercato secondario; gli acquisti si concentreranno sui titoli a breve scadenza (massimo tre anni).
Non vi saranno meccanismi automatici di acquisto legati a soglie di tassi di interesse, ma dovranno essere i singoli Paesi interessati a presentare richiesta alla BCE.
La contropartita non sarà tuttavia esente da sacrifici: in cambio di un calmiere allo spread dovuto agli acquisti della BCE, il Paese richiedente dovrà impegnarsi a concordare - in termini di tempi e modalità - riforme istituzionali necessarie alla messa in sicurezza dei conti pubblici, pianificando una sorta di memorandum. Tale documento sarà vincolante, e la BCE avrà facoltà di interrompere la procedura di aiuti in casi di infrazioni.
Le decisioni relative all'avvio, alla gestione dell'intervento e al termine dell'azione di aiuto verranno prese dalla BCE in assoluta autonomia, ma l'Eurotower si avvarrà anche della consulenza del FMI, in special modo per la parte più prettamente politica - e quindi esterna al mandato della banca - relativa alla valutazione delle manovre politiche messe in campo dagli Stati per il riassetto dei conti pubblici.
I Paesi nordici hanno poi chiesto e ottenuto la sterilizzazione della liquidità del programma di aiuti; si tratta di una clausola non da poco, che prevede sostanzialmente che gli acquisti di titoli di stato siano fatti utilizzando la moneta esistente senza stamparne di nuova, in modo da preservare la base circolante e quindi evitare deprezzamenti e svalutazioni monetarie; inoltre il programma di aiuti scatterà solo in concomitanza con l'avvio del suo omologo (l'ESM) sul mercato primario.

La linea di Draghi è la linea dell'irreversibilità dell'euro, e soprattutto della preservazione dell'integrità della moneta unica, e tale linea ha prevalso - forse definitivamente - sui fautori della linea di una moneta a due velocità, teorizzata prevalentemente dalla Germania e che prevedeva sostanzialmente di abbandonare al proprio destino i Paesi poco virtuosi.

La vittoria di Mario Draghi non è tuttavia stata esente da polemiche: la votazione all'Eurotower non è infatti stata unanime, ma si è conclusa con il voto contrario - sebbene il Presidente della BCE non abbia fatto nomi - del presidente della Bundesbank Jens Weidmann, lo stesso che era arrivato non molti giorni fa a minacciare le proprie dimissioni se avesse prevalso la linea Draghi alla BCE.
La stampa tedesca si è scatenata, soprattutto a destra: il quotidiano conservatore Frankfurter Allgemeine Zeitung pubblica sull'edizione odierna un duro editoriale a firma del codirettore Holger Steltzner, in cui sostanzialmente si mette in guardia contro una "lirizzazione" dell'euro, si criticano con veemenza le politiche intraprese dalla BCE e si condannano i politici dell'intera Europa, quelli del Sud che potranno proseguire con le loro politiche spendaccione, e quelli del Nord che potranno ripararsi dietro lo scudo della BCE quando i loro elettori verranno a chiedere il conto dei soldi finiti nelle casse di Paesi meno virtuosi. Addirittura, poiché il nuovo programma della BCE avrà come prerequisito l'ESM, l'articolo arriva a sperare che la sentenza della Corte Costituzionale tedesca del 12 settembre affossi il fondo salva-stati, in modo da bloccare sul nascere questa nuova iniziativa.

L'articolo, naturalmente, è impregnato del dogmatismo monetario che ha sempre caratterizzato - talvolta anche in maniera ipocrita - la politica della Bundesbank, ma il punto forse più saliente si trova al momento dell'attacco alla classe politica, in cui sfiora senza però affrontare il nodo cruciale: Steltzner lamenta l'ignavia dei politici che potranno permettersi di giustificare i propri fallimenti dietro l'ombrello della BCE, ma non arriva a cogliere - o forse non considera un punto degno di nota - che tutte le manovre della BCE sono prevalentemente dovute all'assenza di una struttura politica degna di questo nome a livello continentale.
Ha ragione l'editorialista tedesco ad affermare che la BCE entrerà direttamente, con le novità degli ultimi giorni, nella politica fiscale dei singoli Paesi, ma non arriva a cogliere quanto sia anomalo che la detta politica fiscale (ed economica in generale) venga analizzata, valutata ed eventualmente premiata da enti per loro stessa natura non democratici come BCE e FMI.
È vero, e deve far riflettere, che i semi della governance economica europea stanno nascendo da un istituto prettamente tecnico e tecnocratico, ed è vero che l'UE si sta muovendo a rapidi passi verso una forma di governo privata, non democratica e sostanzialmente plutocratica; ma di questo nei giornali tedeschi non c'è traccia. Soprattutto non dice, ma forse non può dire, delle responsabilità di una simile situazione, che sono unicamente da imputare alla politica, a due decenni di immobilità nella costruzione degli Stati Uniti d'Europa dovuta al continuo gioco di veti e ripicche che i Paesi maggiori, che maggiormente ritenevano di avere da perdere dalla cessione delle proprie prerogative nazionali ad un organismo superiore, hanno imposto da ormai un ventennio. La Germania, in questo, è sempre stata in prima linea, e per questa ragione deve essere considerata responsabile della crisi al pari dei PIIGS: se questi infatti hanno prodotto la massa di debito che ora rischia di travolgere l'Europa, la Germania ha fatto sì che l'Europa fosse una capanna costruita sulla sabbia anziché un castello.

L'eccezionalità della situazione ha consentito a Draghi di spezzare questo circolo vizioso, con un magistrale salto del cavallo che, salvo brutte sorprese, consentirà quantomeno di superare l'attuale impasse con la sola valenza verbale di simili dichiarazioni, anche senza l'utilizzo effettivo degli strumenti messi in campo.
Anziché esortare i politici tedeschi a rifiutare le scelte di Draghi per non cadere nella tentazione di nascondersi dietro la BCE, Steltzner dovrebbe esortarli affinché la politica continentale, di cui la Germania giustamente deve essere capofila come maggiore potenza economica e demografica, prenda in mano gli strumenti nati sull'onda dell'emergenza, li normalizzi e li porti al controllo delle istituzioni democratiche.

La lezione di questi giorni evidenzia davvero come ormai l'Europa sia una necessità: solo quando la BCE ha dispiegato il proprio pieno potere i mercati paiono aver rallentato le proprie ondate erosive contro le periferie del continente. Una governance europea appare quindi ormai indispensabile, ed è emerso chiaramente che la politica, e con essa la democrazia, non sono indispensabili.
La chiamata, l'ennesima, alle istituzioni democratiche europee assomiglia questa volta ad un'ultima spiaggia per la salvaguardia della democrazia stessa contro una tecnocrazia nata e sviluppatasi, sull'onda di pur giustificabili necessità, dall'assenza di una volontà comune di integrazione. I nazionalismi, che si è soliti considerare un retaggio del XX secolo, sono ancora oggi i principali responsabili della difficile situazione che ci troviamo a vivere.

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