mercoledì 15 dicembre 2010

The day after

L'esito della votazione di sfiducia alla Camera dei Deputati (14/12/2010)

Berlusconi ha intascato ancora una volta la fiducia in entrambi i rami del Parlamento.
Al Senato della Repubblica è finita con 162 voti favorevoli al Governo, 135 contrari, 11 astenuti e 12 assenti alla votazione. La soglia richiesta per avere la maggioranza era fissata a 155, la maggioranza assoluta dell'Aula è 161. In questo ramo del Parlamento Berlusconi gode quindi di una maggioranza abbastanza stabile, relativamente al sicuro da inconvenienti.
Discorso diverso invece alla Camera dei Deputati, dove si sono registrati 314 voti a favore del Governo, 311 contrari, 2 astensioni e 2 assenze. La maggioranza necessaria per superare la votazione era 313 - in quanto, contrariamente al Senato, gli astenuti non contano a formare il quorum - mentre la maggioranza assoluta dell'Aula è fissata a quota 315. Alla Camera, pertanto, la maggioranza di centrodestra che sostiene il Governo si ritrova ad avere un vantaggio decisamente risicato, al punto da rendere ogni votazione un'incognita.

Gli allarmi sulla tenuta dell'esecutivo si rafforzano se si tiene conto del fatto che i membri del Governo (il cui elenco è reperibile su www.openpolis.it) sono così ripartiti: non risultano essere parlamentari Fazio, Belsito, Galan, Garnero Santanché, Giachino, Letta, Pizza, Scotti e Viale; vi sono però poi 33 deputati (Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Carfagna, Casero, Cossiga, Craxi, Crimi, Crosetto, Fitto, Frattini, Gelmini, Giorgetti, Giro, La Russa, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Micciché, Molgora, Prestigiacomo, Ravetto, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Tremonti, Vegas, Vito) e 14 senatori (Alberti Casellati, Augello, Bondi, Calderoli, Caliendo, Castelli, Davico, Giovanardi, Mantica, Mantovani, Matteoli, Palma, Sacconi, Viceconte).
In entrambi i rami del Parlamento le difficoltà che i membri del Governo spesso riscontrano nel partecipare alle sedute di voto rischia di mandare sistematicamente l'esecutivo in minoranza.

Gli scenari che si aprono per il Governo, quindi, appaiono piuttosto complessi malgrado la vittoria numerica ottenuta da Berlusconi in Parlamento.

La prima opzione a disposizione dell'esecutivo è naturalmente il voto anticipato.
Berlusconi dovrebbe in qualche modo - probabilmente tramite la Lega Nord - autosfiduciarsi, e, forte della vittoria numerica alle camere, ridurre a zero le possibilità della formazione di una maggioranza alternativa.
Berlusconi potrebbe poi contare sul vantaggio che ancora gode nei sondaggi, e magari incrementarlo grazie alle proprie disponibilità mediatiche, per vincere le seguenti elezioni nella primavera del 2011 e avere a disposizione una nuova maggioranza, ancora più fedele dell'attuale, del tutto prima di personalità di spicco e vero appeal politico.
I pro di questa opzione, dal punto di vista di Berlusconi, sono la possibilità di sfruttare per l'ultima volta i dati del 2001 per l'assegnazione dei seggi e quella di poter mettere un'opzione sul successivo governo grazie alla probabile vittoria alla Camera dei Deputati.
A sconsigliare questa opzione sono invece le considerazioni sulla possibilità di formare una maggioranza alternativa e la situazione al Senato. Le dichiarazioni di alcuni tra i cosidetti salvatori del Governo indicavano infatti come dirimente la necessità di non portare il Paese a nuove elezioni. Una scusa per giustificare il cambio di casacca, oppure un segnale al premier per porre un importante paletto al sostegno fornito all'esecutivo? Nel secondo caso questi parlamentari potrebbero essere presi in considerazione nel caso si rendesse necessario trovare maggioranze alternative in Parlamento.
In seconda battuta le elezioni al Senato, con l'attuale legge elettorale, rischiano di non assegnare a nessuna coalizione la maggioranza assoluta dei seggi, con la conseguenza di consegnare il Paese ad uno sterile braccio di ferro tra il vincitore alla Camera - preumibilmente Berlusconi - e le altre forze politiche determinanti al Senato.

L'alternativa più semplice a questo scenario è un allargamento formale della maggioranza, ridisegnando l'azione di governo in modo da venire incontro alle esigenze di FLI e/o dell'UdC. In questo modo Berlusconi potrebbe tranquillamente tornare ad oltre cento parlamentari di vantaggio sull'opposizione di centrosinistra, ma l'opzione risulta in fin dei conti controproducente per la maggior parte delle fazioni in causa.
L'ingresso dell'UdC in coalizione significa rivedere il federalismo, e la Lega mal sopporta interferenze in tal senso. Al tempo stesso, per Fini e Casini sarebbe sicuramente un pessimo segno politico tornare - da sconfitti - sotto l'ombrello del berlusconismo, dopo aver tentato con più o meno forza di smarcarsi da esso.

Proprio per questa ragione non è da scartare l'opzione della cooptazione di singoli parlamentari, ovvero di singoli cambi di casacca dall'opposizione alla maggioranza per "senso di responsabilità" o, come insinuato e velatamente confermato da molte fonti, in cambio di cariche o denaro.
Berlusconi ha già dimostrato più volte, compresa la votazione del 14 dicembre, di avere molte frecce al suo arco, e di essere in grado di perseguire questo obiettivo con abilità e determinazione. Fini, Casini, ma anche Di Pietro e Bersani dovranno essere in grado di esercitare tutta la propria leadership per riuscire a non perdere pezzi per strada.
Resta tuttavia l'incognita sul numero di parlamentari ancora disposti a fare un tale passaggio: con il voto di fiducia del 14 si sono esauriti tutti i possibili salti di coalizione oppure Berlusconi ha ancora qualche riserve a cui attingere?
L'opzione degli ingressi singoli in maggioranza rischia quindi non dare risultati se non quello di chiudere definitivamente alle forze centriste, costringendo il Governo ad una vita traballante molto simile a quella condotta dalla compagine prodiana.
E si ritornerebbe quindi alle elezioni anticipate, con i pro e i contro che queste comportano.

Oggi, metaforicamente parlando, è stato segnato un gol, ma la partita che vede come premio l'assetto democratico e costituzionale del Paese è ben lungi dall'essere decisa.

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