martedì 26 febbraio 2013

The day after

Incendie à Rome, di Robert Hubert

Un brusco risveglio. Ecco forse il termine più adatto per definire l'esito delle elezioni politiche 2013.
Un risveglio amaro per chi credeva di aver archiviato per sempre l'esperienza del berlusconismo, un risveglio gioioso per il M5S che si ritrova ad essere determinante al Senato, un risveglio da incubo per il centrosinistra che si ritrova proiettato in un incubo peggiore di quello del 2006, un risveglio di incertezza per il centrodestra, la cui rimonta ai limiti dell'incredibile può nascondere ma non di certo cancellare il violento arretramento elettorale, un risveglio di disperazione per tutti coloro - Fini, Storace, Ingroia, Pannella - non sono riusciti a entrare in Parlamento.
Più di ogni altra cosa, però, diventa critico il risveglio dell'Italia, proiettata verso un periodo di incertezza che non può che danneggiarla sui mercati internazionali, renderla più vulnerabile agli attacchi della speculazioni e marginalizzarla rispetto al resto d'Europa.

Si assiste all'ennesimo fallimento dei sondaggisti, che tra gli instant-poll e le proiezioni hanno completamente ribaltato lo scenario elettorale, passando da una maggioranza solida per il centrosinistra ad un vantaggio minimo ma solito per il centrodestra fino a riportare avanti di un soffio la coalizione di Bersani, il tutto condito da una notevole sottostima del MoVimento 5 Stelle.
Si assiste ad una redistribuzione della geografia del voto di livello assolutamente storico: regioni storicamente feudi del centrodestra o del centrosinistra vengono rimesse in gioco, con il MoVimento 5 Stelle prima forza in zone rosse come Marche o Liguria, o ad un soffio dall'esserlo in zone azzurre come la Sicilia.
Si assiste al miglior risultato nella storia delle elezioni politiche italiane per una forza esordiente: il MoVimento 5 Stelle, con il suo 25% circa, polverizza il record di Forza Italia. Se non fosse per il voto degli Italiani all'estero, sarebbe anche primo partito del Paese. Un'affermazione senza precedenti.

Sicuramente nei prossimi giorni analisi, controanalisi e dietrologie cercheranno di spiegare domani, per citare un noto aneddoto, come mai quello che avevano predetto ieri non si è verificato oggi, ma è tuttavia possibile fare alcune dichiarazioni a caldo sull'immediato futuro del Paese.
Alla Camera c'è una maggioranza solida. Il centrosinistra, grazie a un centinaio di migliaia di voti di vantaggio, porta a casa il 55% dei seggi e ottiene 340 deputati, a cui si sommeranno queli vinti all'estero dove il PD è nettamente in vantaggio.
Discorso completamente diverso al Senato. Se Prodi, in uno scenario prettamente bipolare, era riuscito ad ottenere una pur minima maggioranza, oggi invece l'Aula risulta completamente ingovernabile. Quando deve ancora concludersi lo spoglio delle schede degli italiani all'estero, si profila il seguente scenario, che ormai non potrà variare che di poche unità.
  • Pierluigi Bersani: 123 senatori
  • Silvio Berlusconi: 117 senatori
  • Giuseppe Piero Grillo: 54 senatori
  • Mario Monti: 19 senatori
  • Altri: 2 senatori
A questi numeri vanno poi ad aggiungersi i senatori a vita.

Da un punto di vista meramente algebrico, e limitando il conteggio ai senatori effettivamente eletti. possono quindi ora aprirsi tre possibilità: una Große Koalition tra centrodestra e centrosinistra potrebbe contare su 240 senatori, una maggioranza tra centrosinistra e MoVimento 5 Stelle che potrebbe contare su 177 senatori, e infine una tra centrodestra e MoVimento 5 Stelle che avrebbe 171 senatori.
Tutte e tre queste soluzioni avrebbero una certa solidità numerica, ma da subito la terza appare improponibile in virtù del fatto che alla Camera dei Deputati il centrosinistra ha un'ampia maggioranza parlamentare.

Il pallino del gioco, quindi, è proprio in mano al centrosinistra, al PD e al suo segretario Pierluigi Bersani. Le valutazioni sono molteplici e delicatissime, tanto dal punto di vista politico quanto da quello istituzionale.
Rispetto al 2008 il centrosinistra ha perso circa tre milioni di voti, il centrodestra sette. Grillo ha saputo mietere abbondantemente le proprie messi in entrambi gli schieramenti, con una prevalenza - anche se non marcata - in quello conservatore. Le tradizionali geografie del voto, che saranno esplorate in successive analisi, dovranno essere ridisegnate. Il MoVimento 5 Stelle costituisce ad oggi una forza esplosiva, in grado di competere degnamente con i poli classici, a cui manca solo l'esperienza di governo per consolidare la propria credibilità.
Al tempo stesso l'Italia è oggi altamente esposta sui mercati internazionali, l'assenza di una maggioranza chiara e l'indecisione sugli scenari politici futuri è una pistola puntata alla tempia del Paese, per cui lo stesso richiamo alla responsabilità che ha quasi ucciso la vittoria del centrosinistra alle elezioni politiche è oggi più vivo che mai.

Che scelte si aprono dunque per Bersani?
In primo luogo, la posizione di Bersani è una posizione di forza solo apparente. La maggioranza relativa di cui gode attualmente è frutto dell'attuale risultato alle urne, ma si tratta di un risultato che ha creato un mood negativo per il centrosinistra e positivo per centrodestra e M5S: se si tornasse a votare, replicare questa pur striminzita vittoria sarebbe impossibile per i progressisti.
Questo, naturalmente, lo sanno benissimo sia Berlusconi sia Grillo.

La prima opzione, un governo Bersani-Berlusconi, sarebbe per il centrosinistra un suicidio politico. Berlusconi farebbe pesare il proprio appoggio in maniera salatissima, in primis chiedendo un salvacondotto sui temi giudiziari e secondariamente imponendo il proprio programma elettorale, un programma diametralmente opposto a quello del centrosinistra. Una simile maggioranza non avrebbe la statura né il profilo per tranquillizzare i mercati, e servirebbe - e verrebbe percepita - unicamente per una spartizione di ruoli e poltrone. Dal punto di vista politico, invece, i sostenitori di Berlusconi vedrebbero questa partecipazione al governo come una vittoria elettorale, galvanizzandosi, mentre quelli di centrosinistra la considererebbero una sonora manifestazione di sconfitta, oltre che uno snaturamento dei cardini della propria coalizione: non ci sarebbero appelli alla responsabilità in grado di fermare la completa e totale dissoluzione del centrosinistra verso il M5S in un simile scenario.

La seconda opzione potrebbe essere un governo di minoranza, o governo a geometria variabile, in cui Bersani di volta in volta, pur dettando l'agenda del Paese, si troverebbe a dover racimolare una maggioranza su ciascun provvedimento. Una soluzione assolutamente non tranquillizzante per i mercati e per i nostri partner europei, e alla lunga logorante per il PD, che si ritroverebbe invischiato in una sequenza senza fine di ricatti, smarrendo in brevissimo tempo la propria spinta propulsiva e riducendosi a diventare una sorta di "utile idiota" delle forze di minoranza.

Difficile invece che Bersani possa voler far saltare il banco immediatamente: i rischi legati ad un ritorno immediato alle urne sono evidenti tanto per il Paese quanto per i democratici. Da un lato, l'instabilità legata all'assenza di un governo creerebbe una tensione forse insopportabile per il Paese e le sue disastrate finanze, dall'altro la rinuncia di Bersani rischierebbe di distruggere la residua fiducia degli elettori di centrosinistra, mentre ricompatterebbe gli entusiasmi un centrodestra ora più galvanizzato che mai.

Resta un'ultima ipotesi: un accordo formale tra centrosinistra e MoVimento 5 Stelle per un governo di scopo, che realizzi una sequenza minimale di leggi in virtù dei punti in comune tra i programmi delle due coalizioni e traghetti il Paese al voto dopo un lasso limitato di tempo, fornendo tuttavia nel contempo una guida stabile all'Italia. Si tratta di una soluzione tuttavia difficilmente percorribile, malgrado segnali di buona volontà che stanno giungendo da entrambe le parti. In primo luogo perché un governo che include al proprio interno una componente fortemente euroscettica come il M5S sarebbe indubbiamente malvisto in sede UE; ma il reale motivo risiede tutto nella reale disponibilità di Grillo ad un simile accordo.
Il M5S si trova ad un bivio cruciale, e la sua crescita tumultuosa lo ha portato a tale diramazione molto presto nella sua storia politica. Accettare o no le eventuali offerte di Bersani? Accettare una collaborazione su alcuni punti condivisi oppure giocare allo sfacio e riportare il Paese alle urne puntando ad un ulteriore incremento del consenso? La scelta è dura.
L'elettorato grillino, raccogliendo trasversalmente consenso sotto forma di voto di protesta, è quanto oggi di più variegato presenti il panorama politico italiano. Diventa persino difficile tracciarne un identikit. Si va dal deluso di sinistra all'intransigente per cui destra e sinistra sono la stessa cosa, dall'ecologista all'ex-berlusconiano, e via dicendo. Una scelta non potrà che provocare mal di pancia interni e probabilmente le prime divisioni dell'elettorato. Il M5S è chiamato a prendere un'identità politica chiara per la prima volta, e questo processo è sempre doloroso. Potrà scegliere se restare un movimento di lotta e rischiare di perdere quelle componenti più responsabili che realmente credono che l'Italia non possa permettersi altri mesi di ingovernabilità (oltre a tutti coloro che hanno scelto Grillo "perché tanto Bersani ha vinto alla Camera, quindi meglio portare in Parlamento gente nuova e pulita"), oppure può sfidare la propria ala più intransigente e tentare di accreditarsi come forza di governo, tentando di acquisire credibilità politica agli occhi dell'elettorato più moderato e affrontando per la prima volta l'anima della vita politica: il compromesso.
Su questa scelta si gioca l'immediato futuro del Paese, e si preannuncia una scelta dura: se da un lato infatti molti eletti del M5S non escludono al momento possibilità di un governo di scopo, tra i militanti i toni sono ben diversi, ed il ritorno alle urne ed il "nessuna pietà" sembrano essere i mantra più ripetuti. A Grillo e Casaleggio l'ardua sentenza.

1 commento:

  1. Secondo me anche la scelta Grillina nasconde non poche insidie,però.
    Se Bersani accetta di alleanza deve sapere che non solo i diktat di Grillo saranno salatissimi e tassativi quanto e più di quelli di Berlusconi (legge elettorale e conflitto di interessi i primi che mi vengono in mente), ma che da qui ad un anno potrebbero rappresentare un tremendo autogol: Grillo si presenterà come colui che dopo vent'anni di lotte infruttuose da parte della sinistra, ha finalmente sconfitto il Leviatano berlusconiano, e drenerà al PD una porzione ampissima dei suoi voti.

    C'è poco da fare....allo stato attuale i grillini li tengono tutti per le pa**e: personalmente faccio fatica ad immaginare un qualsiasi scenario che non preveda il M5S come attore principale,e ancor più fatica a non pronosticare una loro vittoria (con percentuali ampissime) alla prossima tornata elettorale.

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