venerdì 28 gennaio 2011

Le motivazioni dell'illegittimo impedimento

Ugo De Siervo, Presidente della Corte Costituzionale

Il 25 gennaio è stata depositata la Sentenza 23/20111 emessa il 13 del mese dalla Corte Costituzionale, sentenza in cui è stata parzialmente bocciata la Legge 51/2010, intitolata Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza ma nota come "Legittimo Impedimento".

Secondo quanto previsto da questa legge, per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per i Ministri della Repubblica costituiscono legittimo impedimento a comparire in tribunale, oltre alle attività definite nella Legge 400/1988, nel Decreto Legislativo 303/1999 e nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10 novembre 1993, anche le attività preparatorie e consequenziali, nonché ogni attività ritenuta coessenziale, alla funzione di governo.
Che un'attività costituisca o meno legittimo impedimento spetta inoltre alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ed il giudice non ha altra scelta che rinviare l'udienza a data successiva, entro il limite massimo di sei mesi salvo reiterazioni. Tale periodo di sospensione non è conteggiato ai fini della prescrizione.
La legge è considerata applicabile anche ai processi in corso, di ogni grado e tipologia.

Indipendentemente dal grado di aderenza in termini di contenuti e tempistiche della legge con la situazione contingente in cui versa il Presidente del Consiglio, stretto da una sentenza sul caso Mills che, almeno in primo grado, si avvicina inesorabilmente malgrado la prescrizione imminente, salta subito all'occhio nel contenuto della legge il sistema di fattuale autocertificazione messo in mano alla Presidenza del Consiglio.
Il Presidente del Consiglio è colui che certifica se le azioni del Presidente del Consiglio costituiscono legittimo impedimento alla presentazione del Presidente del Consiglio in tribunale.

Questo meccanismo è sostanzialmente ciò che ha spinto le sezioni I e X del Tribunale di Milano, ed il GIP del medesimo tribunale, a sollevare tra il marzo ed il giugno 2010 le eccezioni le eccezioni di costituzionalità alla legge che hanno poi portato alla sentenza della Consulta del 13 gennaio 2011.

Al momento dell'esame della legge, la Corte Costituzionale ha votato a larga maggioranza - ma non all'unanimità - per una bocciatura parziale del testo. Hanno espresso parere discordante i giudici Finocchiaro, Mazzella e Napolitano, che invece propendevano per la bocciatura di tutte le eccezioni di incostituzionalità.
Nel dettaglio, è stato completamente bocciato il comma 4 dell'articolo 1, parzialmente bocciato il comma 3, promossi i commi 2, 5 e 6 e promosso anche il comma 1 in forma reinterpretata dalla Corte.

Se gli effetti della bocciatura sono evidenti a livello politico, con l'imminente ripresa dei processi a carico di Silvio Berlusconi, è altrettanto importante capire le motivazioni che hanno portato alla bocciatura, pur parziale, della legge.
Secondo la Consulta, si legge nella sentenza, le caratteristiche di autocertificazione e continuità che i commi 3 e 4 dell'articolo 1 della legge sul legittimo impedimento costituiscono, come avevano sollevato le sezioni I e X del Tribunale di Milano ed il GIP del medesimo Tribunale, una forma continuativa di immunità paragonabile nel breve termine alla situazione di non giudicabilità fornita dal Lodo Schifani e dal Lodo Alfano.
Le sentenze 24/2004 e 262/2009 relative ai due lodi citati costituiscono infatti un precedente giuridico determinante nella valutazione della legge sul legittimo impedimento, precedente che ha veicolato la sentenza in maniera determinante verso la rimozione delle cause di continuatività e automatismo - sia pur fattuale e non formale - dello stato di impedimento.
Allo stesso modo, le sentenze 225/2001, 263/2003, 284/2004 e 451/2005 limitano e regolano il rapporto tra i poteri nel caso in cui l'imputato ricopra ruolo parlamentare: la Corte afferma che la posizione dell’imputato parlamentare «non è assistita da speciali garanzie costituzionali» e nei suoi confronti trovano piena applicazione «le generali regole del processo», pur tenendo conto delle necessità dovute alla carica facendo in modo che sia programmato il calendario delle udienze in modo da evitare coincidenze con i giorni di riunione degli organi parlamentari. Non servono quindi ulteriori tutele legislative che regolino le regole di comparizione in tribunale degli eletti dal popolo, in quanto la legge vigente già ricopre pienamente la casistica.
La Corte ha quindi stabilito che la legge sul legittimo impedimento così come formulata stabilisce una deroga rispetto al normale regime di un processo, nei punti in cui l'imputato può permettersi di addurre generiche e non specificate motivazioni come impedimento e nell'impossibilità del giudice di valutare ed eventualmente respingere l'impedimento.

Entrando nel dettaglio dei singoli punti della legge, la Consulta ha ritenuto che il comma 1, che elenca genericamente i punti costituenti legittimo impedimento, non sia dichiarabile come incostituzionale in quanto esiste almeno un'interpretazione della legge che è in linea con i dettami della Costituzione. Dovrà essere il giudice a dichiarare di volta in volta lo spirito con cui è stato richiesto l'impedimento. Si legge quindi il tentativo di reinterpretazione della legge: solo in uno spirito di leale collaborazione tra i poteri dello Stato il testo di questo comma non va contro la Costituzione, e spetta al giudice valutare ogni volta che se ne fa uso se si è o meno in tale solco.
Il comma 3 di fatto limita la possibilità del giudice di rifiutare l'impedimento a due sole casistiche: che la motivazione addotta non sia in essere, oppure che non sia riconducibile ad una funzione coessenziale all'opera di governo. La Corte ha dichiarato incostituzionale il comma nella misura in cui esso limita le funzioni del giudice rispetto a quanto previsto dall'Articolo 420-ter del Codice di Procedura Penale2. Secondo la Consulta, infatti, la legge in esame priverebbe il giudice della possibilità di entrare nel merito delle motivazioni addotte e di giudicarne il livello di inderogabilità rispetto all'urgenza della convocazione in giudizio: il comma 3 della legge consente infatti una mera valutazione binaria sulla possibilità che l'impegno addotto sia o meno causa di legittimo impedimento, e, in caso di risposta affermativa, consente al giudice solo lo spostamento dell'udienza. La sentenza della Consulta invece restituisce al potere giudiziario l'ultima parola sulla valutazione dell'impedimento, permettendogli una valutazione non solo qualitativa ma anche quantitativa.
Il comma 4, infine, con la procedura dell'autocertificazione sostituisce la legge vigente con una deroga valida unicamente per le figure del Presidente del Consiglio e dei Ministri. Oltre a costituire violazione dell'articolo 3 della Costituzione, la procedura prevista dal comma 4 impedisce al giudice la valutazione dei singoli impegni addotti ad impedimento, dal momento che l'autocertificazione ha validità temporale, continuativa nell'intervallo di tempo e potenzialmente reiterabile all'infinito senza che sia necessario specificare i precisi impegni giornalieri che costituiscono impedimento.

A larga maggioranza, quindi, la Consulta ha bocciato lo spirito di una legge che avrebbe alterato in maniera pesante l'equilibrio dei poteri dal giudiziario all'esecutivo, creando uno scudo permanente alla processabilità dei potenti di turno.
I forti richiami alla Costituzione, al Codice di Procedura Penale e alle precedenti sentenze della Corte in materia dimostrano come vi sia un saldo impianto strutturale a difesa del diritto fondamentale di eguaglianza davanti alla legge e del diritto/dovere di affrontare la giustizia in un giusto processo, diritti che, malgrado i continui tentativi a cui stiamo assistendo negli ultimi anni, non è così facile piegare a norme ritagliate su misura per gestire situazioni molto - troppo - personalistiche.




1: la pagina di ricerca delle sentenze della Corte Costituzionale entra a far parte delle fonti del blog
2: il Codice di Procedura Penale entra a far parte delle fonti del blog

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