martedì 30 novembre 2010

Psicologia cognitiva e controllo dei media

Esempi di differente messaggio non verbale
del medesimo soggetto

Nel lontano 1987 il professore di scienze politiche Shawn W. Rosenberg, dell'Università di Irvine, California, condusse un interessante esperimento di psicologia cognifica, dall'esplicativo titolo The Image and the Vote Manipulating Voters' Preferences, pubblicato sul volume primaverile del 1987 di The Public Opinion Quarterly.

Concern is often expressed regarding the ability of campaign consultants to shape candidates' images and, thereby, influence electoral outcomes. Despite this concern, little attempt has been made to investigate whether candidates' images can be shaped in a way that affects the vote. Here, we examine the role of nonverbal aspects of candidate presentation on image making and voters' preferences. In a series of three related studies conducted at the time of the 1984 national election, the impact of different photographs of the same candidate is assessed. The results suggest that a candidate's image can be shaped in such a way as to manipulate voters' preferences.

Come si evince dall'abstract della ricerca, lo studio ha tentato di quantificare l'effetto della comunicazione non verbale - nel caso specifico, le fotografie - in termini di spostamento di voti.

Per il primo esperimento sono stati presi venti ipotetici candidati, a cui sono state scattate delle foto il più simili possibili: tipo e colori delle foto, abbigliamento dei candidati, posizioni. Per enfatizzare i risultati dell'esperimento, sono stati selezionati i due personaggi più votati ed i due meno votati da una platea di ottanta studenti.
Per i quattro candidati rimasti sono state poi scattate ulteriori foto, questa volta in sette pose differenti.
Le foto sono state poi allegate ad un questionario contenente domande di apprezzamento politico, allo scopo di valutare e ordinare per ciascun personaggio la fiducia ispirata dalle sue differenti fotografie.
Da questo esperimento è emerso che differenti fotografie del medesimo personaggio possono offrire impressioni completamente diverse: in una scala da 0 a 7 la differenza tra le reazioni suscitate dalla foto migliore e quelle evocate dalla foto peggiore era di oltre cinque punti.

Le foto utilizzate nella seconda fase
dell'esperimento di Rosenberg

Il secondo esperimento si innestava direttamente sul primo: sono state prese per ciascun candidato la foto migliore e quella peggiore, sono state allegate a dei programmi elettorali e sono state create delle coppie (best A - worst B; best B - worst A; best C - worst D; best D - worst C) per simulare delle vere votazioni.
Il tutto è stato sottoposto ad una platea di centoquattro studenti universitari e, successivamente, a cento cittadini non studenti.

I risultati sono indicati nella tabella che segue. I candidati (A - B - C - D) sono stati elencati con caratteri maiuscoli nel caso sia stata usata per essi la foto migliore, con caratteri minuscoli nel caso di utilizzo della foto peggiore. La dicitura (s.u.) indica che il campione era composto dagli studenti universitari, mentre (n.s.u.) simboleggia l'esperimento condotto sui non studenti.


ElezioneVotiVoti
A - b (s.u.)3121
A - b (n.s.u.)2822
a - B (s.u.)1834
a - B (n.s.u.)1832
C - d (s.u.)2527
C - d (n.s.u.)2327
c - D (s.u.)1636
c - D (n.s.u.)1634

La portata di questo risultato è di assoluto rilievo: malgrado la presenza di un programma elettorale, la differenza a livello di foto ha mosso mediamente circa il 19% dei voti, con un massimo del 25% ed un minimo del 14%, spesso determinando l'esito finale della votazione.
L'immagine, la percezione, è quindi un elemento fondamentale nelle competizioni elettorali. Lo era nel 1987 con le fotografie, lo è mille volte di più nel 2010 con la capillarità raggiunta dalla televisione e con l'avvento di Internet.

Lo è soprattutto in Italia: il controllo pubblico e privato che il centrodestra berlusconiano ha su diverse reti televisive, svariati quotidiani e periodici, unito ad una disponibilità di spesa pressoché illimitata, sono fattori fondamentali nel forgiare e guidare l'umore di quelle centinaia di migliaia di persone che alla fine costituiscono l'ago della bilancia di ogni competizione elettorale.

Chi, a sinistra, si posiziona tra i duri e puri, quelli che vogliono le elezioni subito, quelli che il governo tecnico con Fini lo vedrebbero come un l'estremo inciucio, forse dovrebbe soppesare con maggiore attenzione la propria posizione, perché andare alle urne con questo mix di legge elettorale e squilibrio mediatico - fermo restando che le responsabilità politiche della potenza televisiva del Cavaliere, dal 1985 in poi, sono evidenti - rischia di essere per la sinistra una Caporetto senza alcuna Vittorio Veneto all'orizzonte.

sabato 27 novembre 2010

Che legge elettorale vogliono i partiti?

Stefano Ceccanti (PD)

Da parte di molti schieramenti politici si parla - in maniera più o meno disinteressata - della riforma della Legge 270/2005 in materia elettorale, il cosiddetto "Porcellum".

Di una di queste, l'Atto 3 del Senato della Repubblica, Città Democratica offre aggiornamenti mensili (Puntata I - II - III); tuttavia, al 25 novembre 2010, sono presenti ventotto atti in materia elettorale, che possono fornire diversi spunti sulle opinioni e sulle strategie dei partiti e dei singoli parlamentari in questo ambito.

Ad un primo, grezzo, esame, risultano due macrocategorie di interventi: una sulla composizione delle liste, ed una sugli effettivi meccanismi elettorali. A sua volta, in questa seconda macrocategoria si può tracciare una linea di divisione tra le proposte volte a fornire correttivi alla legge elettorale vigente e quelle che invece costituiscono leggi elettorali alternative vere e proprie.
Naturalmente alcuni ddl, i più complessi ed articolati, sono del tutto trasversali a questa suddivisione, avendo articoli che possono ricadere in più rami della scarna classificazione qui effettuata.

Sono espressamente mirati a gestire la composizione delle liste l'Atto 2, di iniziativa popolare, l'Atto 17, di Laura Bianconi (PdL), l'Atto 93, di Vittoria Franco (PD), l'Atto 104, di Helga Thaler Ausserhofer (UDC-SVP-Aut), l'Atto 257, di Silvana Amati (PD), e l'Atto 708, di Stefano Ceccanti (PD).
Tutti questi atti sostanzialmente gestiscono la composizione delle liste proporzionali imponendo un ordine alternato uomo-donna ed i collegi uninominali imponendo un totale equamente ripartito per sesso allo scopo di garantire l'eguaglianza di accesso dei due sessi alla carica elettiva ed evitando che, almeno nel proporzionale, le donne siano inserite al fondo delle liste.
L'Atto 708 in realtà si colloca in un più ampio disegno volto a contrastare le discriminazioni di genere, che esula, salvo la conformazione delle liste, dall'ambito prettamente elettorale.

Si propongono come modifiche al sistema elettorale vigente invece l'Atto 28, di Oskar Peterlini (UDC-SVP-Aut), che di fatto omologa il trattamento elettorale del Trentino Alto-Adige a quello della Valle d'Aosta, o l'Atto 29, ancora di Oskar Peterlini (UDC-SVP-Aut), che prevede la reintroduzione delle preferenze e l'abolizione delle candidature multicollegio.
Incentrati sulla reintroduzione delle preferenze sono anche l'Atto 111 di Mauro Cutrufo (PdL) e l'Atto 871 di Salvatore Cuffaro (UDC-SVP-Aut), mentre l'Atto 748, di Claudio Molinari (PD), è sostanzialmente una copia del 29.
La questione del premio di maggioranza e delle soglie di eleggibilità vengono invece affrontate nell'Atto 1566 di Vannino Chiti (PD), che chiede di fatto l'innalzamento delle soglie per l'accesso al Parlamento e l'abolizione del premio di maggioranza sia alla Camera che al Senato.
Estremamente legato alle vicende attuali della politica è invece l'Atto 2356 di Gaetano Quagliariello (PdL): esso prevede infatti l'introduzione di un premio di maggioranza al Senato su base nazionale in aggiunta a quelli regionali tale che alla coalizione vincente vengono assegnati dei senatori supplementari fino al raggiungimento di quota 170 senatori o della quota di 45 senatori di premio.

Le proposte di completo rinnovo della legge elettorale sono poi estremamente variegate: si passa dal ritorno al "Mattarellum" (Legge 276/1993 e Legge 277/1993) o sistemi analoghi con gli atti 1549 e 2327 di Stefano Ceccanti (PD) e 1550 di Antonello Cabras (PD), a sistemi misti con quota proporzionale al 50% con gli atti 110 di Mauro Cutrufo (PdL), 696 di Giuseppe Saro (PdL) e 2293 e 2294 di Francesco Rutelli (Misto, Alleanza per l'Italia), che prevedono inoltre l'aggiunta di una soglia di sbarramento. Vi sono poi proposte per un sistema maggioritario a turno unico, con l'Atto 27 di Oskar Peterlini (UDC-SVP-Aut), o a doppio turno, con l'Atto 1105 di Marco Perduca (PD) e l'Atto 2098 di Stefano Ceccanti (PD); infine, alcune proposte di legge contemplano un sistema maggioritario con voto trasferibile, come l'Atto 2315 di ancora di Stefano Ceccanti (PD).

Sono degni di nota poi gli atti Atto 1807 di Giuseppe Esposito (PdL), che prevede il limite massimo di dimensioni delle coalizioni a due liste, l'Atto 3 di iniziativa popolare ("Parlamento Pulito"), che prevede il lmite massimo di due mandati, l'ineleggibilità e la decadenza dei condannati anche in primo grado e l'introduzione del voto di preferenza, l'Atto 2357 di Enrico Musso (PdL), che definisce i criteri di presentazione delle candidature allo scopo di combattere i doppi incarichi, e infine l'Atto 2387 di Stefano Ceccanti (PD) che prevede l'indizione di un nuovo referendum elettorale ed il contestuale ritorno al "Mattarellum".

Come si può osservare da questa lunga carrellata, sono soprattutto le forze di opposizione a richiedere modifiche radicali alla legge elettorale, ed in particolar modo il Partito Democratico grazie al prolifico Ceccanti. D'altra parte non è possibile cogliere alcuna strategia nel cumulo di atti depositati dai parlamentari del PD, se non la volontà di tenersi il maggior numero possibile di porte aperte nel momento in cui la situazione politica fosse favorevole ad una piuttosto che ad un'altra proposta.
Colpisce inoltre l'assenza di proposte da parte di esponenti dell'Italia dei Valori, da sempre strenua oppositrice del "Porcellum": probabilmente anche questa formazione politica ha deciso per una strategia attendista, che le consenta di non impegnarsi direttamente in proposte concrete e le lasci le mani libere per appoggiare quella che si rivelerà più opportuna.
Di ben altro tenore le proposte giunte dai banchi della maggioranza parlamentare, generalmente riguardanti modifiche limitate alla legge vigente: in particolar modo sono due gli atti potenzialmente devastanti a livello politico.
La riduzione a due del numero massimo di liste presenti in una coalizione penalizza infatti fortemente il centrosinistra, che storicamente trova la sua forza nelle piccole liste che circondano, a destra e a sinistra, i partiti principali; inoltre una simile proposta, se approvata, spezzerebbe le reni sul nascere a quella che pare essere la formazione più probabile dell'alleanza di centrosinistra in caso di elezioni anticipate a tre poli, ovvero PD-IdV-SEL.
Il premio di maggioranza su base nazionale al Senato è, se possibile, ancora più insidioso: in una situazione in cui la presenza di tre poli mette seriamente a rischio la possibilità di una maggioranza stabile al Senato, questa legge distorce ulteriormente la corrispondenza tra voti e seggi allo scopo di blindare la vittoria per la coalizione in grado di portare più voti, che, in caso di voto nella primavera 2011, probabilmente sarà ancora una volta quella guidata da Silvio Berlusconi.

La variegata galassia delle proposte di legge in materia elettorale altro non è, in fondo, che lo specchio generale della politica: un PD che tiene il piede in più scarpe, che sacrifica la chiarezza nel nome del mero calcolo politico, un'IdV che non propone per avere la libertà di bacchettare le proposte altrui, ed un PdL che tenta di sfruttare la possibilità di legiferare per agire a proprio vantaggio anziché pensare al buon funzionamento della macchina statale.

mercoledì 24 novembre 2010

AGCom ottobre 2010: Berlusconi torna in TV

Enrico Mentana, direttore del TGLa7

Da alcuni giorni sono disponibili sul sito dell'AGCom i dati relativi al pluralismo politico in TV.
La loro analisi, anche comparata con il mese precedente, consente di avere una panoramica dell'eventuale partigianeria dei telegiornali e dell'evoluzione del quadro politico italiano.
L'analisi, come già evidenziato per il caso del mese precedente, è puramente quantitativa: i dati presentati dall'AGCom vengono ascritti alle varie formazioni politiche indipendentemente dalla qualità e dal tono degli interventi. I dati sono a disposizione a questo link.

Rispetto al mese di settembre, il comportamento della formazione finiana Futuro e Libertà per l'Italia si è maggiormente definito come quello di una forza di opposizione. Al contrario, il progressivo riavvicinamento tra il PdL e La Destra di Storace e della Santanché hanno reso ascrivibile il tempo dedicato a queste formazioni alla maggioranza. Tali spostamenti di forze sono stati rappresentati nel grafico che segue, che mostra la distribuzione dei tempi politici dei telegiornali tra maggioranza, opposizione ed istituzioni.

Dati AGCom ottobre 2010 aggregati per
Istituzioni - Maggioranza - Opposizione

Rispetto al mese precedente le differenze sono notevoli.
Cala su pressoché tutti i canali lo spazio dedicato alle forze politiche di maggioranza, e sale contestualmente quello dedicato alle istituzioni, che si attesta in media al 49% (contro un 33% di valore corretto secondo i requisiti della par condicio) con picchi del 71% sul TGCom.
È importante osservare inoltre che l'opposizione raggiunge circa il 31% del tempo complessivo, un valore quindi abbastanza in linea con i dettami della legge, mentre la maggioranza parlamentare è sacrificata ad un modesto 20%.
Se settembre era stato caratterizzato da telegiornali "di parte", ottobre ha visto invece telegiornali "di stato", dominati dalle figure dell'esecutivo e delle istituzioni.

Un simile capovolgimento di situazione è pienamente comprensibile con le mutate condizioni politiche dovute alla degenerazione dei rapporti tra il PdL e FLI: a causa della necessità di contenere il disfacimento del proprio partito a livello parlamentare ma soprattutto territoriale, a causa della necessità di mettere in campo il proprio carisma nell'eventualità di elezioni anticipate, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è riapparso in maniera prepotente sulla scena mediatica, come mostra il grafico che segue, in cui, all'interno del tempo dedicato alle istituzioni, viene evidenziato quello appartenente al premier.

Dati AGCom ottobre 2010 aggregati per
Istituzioni - Maggioranza - Opposizione
(dettaglio del tempo dedicato al premier)

Silvio Berlusconi, tra l'altro nel suo ruolo di Presidente del Consiglio - sono quindi escluse le occasioni in cui viene considerato leader del Popolo della Libertà - occupa il 15% del tempo politico dei telegiornali, oscillando tra il 12% del TG2 ed il 32% del TGCom.
Una presenza ingombrante, che da sola occupa circa metà di un tempo nel quale dovrebbero trovare posto anche il Presidente della Repubblica, i Presidenti delle Camere, tutti i membri del Governo e l'UE.

Il ritorno di Berlusconi sul piccolo schermo significa una cosa sola: campagna elettorale. Le spire della crisi tra cui si dibatte la maggioranza parlamentare disegnano un quadro a tinte fosche per la tenuta dell'esecutivo. Nel duplice tentativo di salvarlo e di prepararsi alle eventuali elezioni anticipate il Cavaliere scende in campo personalmente, dominando la scena mediatica come solo lui sa fare.

Il deterioramento della qualità del rapporto tra istituzioni, maggioranza e opposizione tra il mese di settembre ed il mese di ottobre (passato da uno scarto quadratico medio dell'1,81% ad uno del 4,15%) fa da contraltare al miglioramento della qualità del rapporto tra le forze politiche, il cui scarto quadratico medio passa dal 3,31% all'1,71%.
Il fenomeno si inserisce perfettamente nel tempo travasato dalla maggioranza alle istituzioni, ed in particolar modo nel Presidente del Consiglio (il cui tempo televisivo è quasi raddoppiato da settembre ad ottobre): nel cambio chi ci rimette è l'opposizione, che, se valutata con i parametri di settembre, scende dal già modesto 23% di settembre ad un ancora più risicato 21%. Solo il passaggio di FLI a forza stabile di opposizione consente di raggiungere il 31% indicato poco sopra.

Dati AGCom ottobre 2010 aggregati per
area socio-culturale

Escludendo dall'analisi il tempo istituzionale, si nota poi una netta preponderanza del centrodestra sul centrosinistra, e di queste due aree sul resto del panorama politico: il PdL ha avuto a disposizione quasi 20 ore complessive e FLI poco meno di 12, mentre il PD, sul fronte opposto, si è limitato a 15 ore e mezza.
Le altre macroaree politiche risultano di conseguenza a loro volta fortemente penalizzate, potendo spartirsi meno del 20% del tempo. Come nel mese di settembre, a fare le spese maggiori della ripartizione è la sinistra radicale.
Come per il mese precedente, la ripartizione è stata strutturata secondo il seguente elenco:
  • Destra (La Destra, Lega Nord)
  • Centrodestra (PdL, FLI, UDEUR)
  • Centro (MPA, API, UDC)
  • Centrosinistra (PD, IDV, SEL, Radicali)
  • Sinistra (PS, FES, Verdi)
  • Altro

Confrontando i telegiornali si evince infine come i maggiormente rispettosi dell'equilibrio tra maggioranza, opposizione ed istituzioni siano stati quelli del gruppo Telecom, ovvero il TGLa7 ed MTV Flash, seguiti da RaiNews24.
Quelli che invece sono stati maggiormente attenti alla disposizione delle forze politiche rispettando i rapporti di forza delle elezioni politiche sono stati il TG2, il TG3 e SkyTG24.
Nuovamente, sono i TG generalmente sentiti come schierati a sinistra (TG3, SkyTG24, RaiNews24, TGLa7) a fornire i migliori esempi di aderenza ai parametri di legge, e a fornire quindi un prodotto - limitatamente all'analisi quantitativa che consentono i dati a disposizione - a tutti gli effetti migliore.
L'assenza dei telegiornali Mediaset dalla lista delle testate "virtuose", ed anzi il loro concentrarsi nelle posizioni di coda secondo entrambi i metodi di analisi, è un grave vulnus della qualità dell'informazione in Italia, uno strascico - e non dei minori - dell'assenza di una valida norma sul conflitto di interessi.

lunedì 22 novembre 2010

Legge elettorale: sessanta giorni dopo

Francesco Pardi (IdV)

Riassunto delle puntate precedenti.
22 settembre 2010: viene divulgata la notizia che la proposta di legge elettorale di iniziativa popolare nota come "Parlamento Pulito", che prevede tra le altre cose l'ineleggibilità per i condannati di qualsiasi grado, il limite di mandati per i parlamentari e la reintroduzione delle preferenze, avrebbe iniziato il suo iter legislativo in Parlamento.
21 ottobre 2010: dopo un mese, l'unico passo avanti fatto è stata la raccolta di tutte le proposte di legge in materia elettorale allo scopo di approntare una discussione comune.

Cosa è cambiato in questo ultimo mese?

27 ottobre 2010

Nel corso della seduta 237 viene semplicemente aggiunto un nuovo ddl alla lista delle proposte di legge in materia elettorale.

2 novembre 2010

Anche la seduta 238 vede unicamente l'inserimento di un nuovo ddl alla lista.

17 novembre 2010

La seduta 244 non vede particolari avanzamenti, ma solo una diatriba tra il Senatore Pardi (IdV) ed il presidente della Commissione Vizzini (PdL) sulla lentezza più o meno giustificata con cui procedono i lavori in materia di legge elettorale.

Un altro mese a vuoto. Un altro mese in cui si delinea la strategia della maggioranza, che, oltre a controllare il calendario dei lavori, con uno stillicidio di proposte di legge da aggiungere alla lista impedisce l'inizio della discussione vera e propria in materia.
Appuntamento al 22 dicembre.

giovedì 18 novembre 2010

Ma cos'è la destra, cos'è la sinistra...

Logo del programma "Vieni via con me"

La seconda puntata di "Vieni via con me", il programma condotto da Fabio Fazio e Roberto Saviano in onda su Rai 3, ha visto la presenza di Gianfranco Fini e Pierluigi Bersani, chiamati a leggere un elenco di valori rispettivamente di destra e di sinistra, quasi a rispondere idealmente all'indimenticato Giorgio Gaber e alla sua canzone DESTRA-SINISTRA.



La trascrizione dei due interventi è disponibile sui siti rispettivamente di Futuro e Libertà per l'Italia e del Partito Democratico.

Un primo, importante raffronto può essere dato dai tag cloud di Wordle.

Tag cloud di Bersani (a sinistra) e Fini (a destra)

Mentre nel tag cloud di Fini la parola "destra" domina l'immagine, in quello di Bersani non avviene lo stesso con la parola "sinistra" (anche se a volte il segretario del Partito Democratico parla di "progressisti"). Se, probabilmente, questa situazione deriva dall'impostazione data dai leader ai due elenchi, nella scelta di Gianfranco Fini si legge la volontà, oltre che di elencare temi e valori, di legarli esplicitamente alla parola "destra". Il ruolo di Fini di traghettatore dalla concezione berlusconiana della destra ad un'accezione più europea e moderata ben si sposa con la necessità di costruire l'identità tra lo schieramento ed i valori che esso intende rappresentare.

Il secondo elemento di spicco che emerge dai tag cloud è la differente complessità delle due immagini: Fini usa in maniera quasi martellante - e più adatta forse alle caratteristiche di "Vieni via con me" - alcuni concetti, lasciando ai margini le altre parole; Bersani si mostra più articolato, non si hanno stacchi così netti tra parole ricorrenti e parole rare, ma una discesa più graduale che fa assomigliare maggiormente il suo elenco ad un discorso articolato.

I sostantivi più utilizzati da Fini, esclusa "destra", sono riferimenti identitari come "Italia", "Italiani", "Stato" o "cittadini", mentre in termini di tematiche politiche spiccano "uguaglianza", "lavoro", "merito" e "fiducia". Per Bersani i temi identitari sono invece "vita", "uomo" e "mondo", mentre i temi più trattati risultano essere il "lavoro" ed il "precariato", gli "immigrati" e in generale i "deboli", l'"economia" ed il "mercato", la "donna".
Molto interessante inoltre è il confronto tra i verbi utilizzati. Tra gli ausiliari, in Fini domina il verbo "essere", mentre Bersani equilibra quasi perfettamente "essere" ed "avere". A destra predominano poi "dovere" e "volere", mentre a sinistra spicca "potere" seguito da "dovere", "volere" e "fare".
Molte conferme, quindi, ed alcune sorprese: se non stupisce che l'Italia ed il patriottismo siano di casa a destra, in qualche modo colpisce che l'"uguaglianza" sia una parola di spicco tra quelle usate da Fini. Lo slancio verso il futuro, il sogno, l'ideale, il "volere" insomma, smette di essere retaggio della sinistra per diventare il secondo verbo più utilizzato da Fini, mentre Bersani lo soppianta dal "potere".
Le attuali condizioni italiane più che la naturale evoluzione delle ideologie giustificano in parte questi rovesciamenti: Fini, più che descrivere la destra presente, narra la destra del futuro, con toni quasi idealistici; una destra in costruzione, dove il desiderio e l'ideale contano tantissimo. La sinistra invece si configura in Italia come la formazione della laicità e della libertà di scelta, e questo è il motivo della predominanza del verbo "potere".

Entrando nel dettaglio dei discorsi pronunciati, è evidente che entrambi i politici hanno utilizzato la passerella offerta da "Vieni via con me" più come piattaforma per lanciare appelli relativi al contesto attuale italiano che per offrire una reale definizione di destra e sinistra.
Questo è particolarmente evidente per Fini ed il suo desiderio di definire le prerogative ed i confini della destra non berlusconiana: orgoglio per il Paese e per i militari che lo rappresentano, senso delle istituzioni e rispetto delle istituzioni. Stato leggero e garante dei diritti dell'eguaglianza dei cittadini e custode del criterio meritocratico. Il voltafaccia rispetto al ventennio berlusconiano è evidente in molti passaggi, dall'esortazione al rispetto delle istituzioni alla definizione di eroi per i magistrati Falcone e Borsellino. La fiducia nel futuro, più che un valore della destra in quanto tale, sembra essere una richiesta di fiducia al progetto finiano.
Da Bersani invece poche sorprese: difesa dei più deboli, solidarietà, lavoro, sanità e scuola pubblica, immigrazione, energia, testamento biologico. Di fatto un elenco ben radicato nella tradizione del comunismo e del cattolicesimo popolare; come Fini, però, anche Bersani usa la sua lista per un fine specifico, nel suo caso quello di definire con chiarezza le posizioni del PD su temi per i quali la voce del partito ha stentato per troppo tempo a sentirsi, soprattutto a causa delle differenti posizioni dei suoi esponenti.

Duole dire che il disegno di Fini e Bersani risulta poco convincente: da un lato il sogno di una destra che non c'è e che forse ci sarà in futuro, condito con un po' di patriottismo forse troppo retorico; dall'altro una sinistra che potrebbe esserci e di fatto non si vede, schiacciata da mille problemi interni ed incapace per questa ragione di trovare una sintesi da offrire al Paese.

lunedì 15 novembre 2010

Le primarie e l'endorsement partitico

L'avvocato Giuliano Pisapia

Domenica 14 novembre 2010 si sono svolte a Milano le primarie del centrosinistra in vista delle elezioni comunali del 2011.
Gli sfidanti per la corsa a Palazzo Marino erano quattro: l'architetto Stefano Boeri (sostenuto dal PD), il costituzionalista Valerio Onida (sostenuto da parte del PD e dall'IdV), l'avvocato Giuliano Pisapia (sostenuto da parte del PD, SEL, FdS) ed il fisico Michele Sacerdoti (senza appoggi partitici ufficiali). Ad imporsi è stato Pisapia con 30.533 preferenze, seguito da Boeri con 27.055, Onida con 9.036 e Sacerdoti con 719.
I votanti totali sono stati 67.499, in calo rispetto all'analoga competizione del 2006.

Il tema principale che emerge dall'esito delle primarie, è naturalmente la sconfitta di Boeri, candidato sostenuto dal PD locale.
Il Partito Democratico, espressione della maggioranza del centrosinistra, non è riuscito, dopo i precedenti di Firenze e della Regione Puglia, a convincere il proprio elettorato della bontà della candidatura da esso sostenuta.

La vittoria di Pisapia su Boeri è stata quindi salutata, in una guerra tutta interna al centrosinistra, come una vittoria della cosiddetta sinistra radicale sull'establishment del Partito Democratico, provocando le dimissioni di alcuni esponenti locali di tale partito (fonte La Repubblica).

Ha tuttavia senso parlare di vincitori e vinti in questa situazione? Ha senso che dei dirigenti propongano le proprie dimissioni a causa di un'elezione primaria?
A differenza delle elezioni reali, nelle quali chi perde ha il diritto ed il dovere di fare opposizione al vincitore, le primarie servono a stabilire chi, all'interno della stessa parte politica, dovrà avere il compito di sfidare gli avversari. Per fare un paragone sportivo, le primarie sono assimilabili ai temibili trials statunitensi, le selezioni che determinano la composizione della squadra olimpica a stelle e strisce.
L'interesse comune di tutti gli organizzatori dovrebbe pertanto essere ottenere la squadra migliore, la squadra più competitiva per gareggiare e vincere contro il centrodestra.

In quest'ottica, risultano prive di senso le dimissioni della dirigenza milanese del Partito Democratico, allo stesso modo in cui sono fuori luogo e ingenerosi gli attacchi della sinistra radicale al PD, attacchi che, ben lungi dal limitarsi alla felicità per la vittoria del proprio esponente, auspicano ulteriori rovesci all'area democratica secondo una logica non già di alleati in concorrenza, ma di veri e propri nemici (è noto lo slogan che vede nel PD null'altro che una copia sbiadita del PdL, per l'appunto il "PDmenoL").

I cittadini chiamati a votare alle primarie, tuttavia, hanno espresso una preferenza tra nomi e programmi accettati indistintamente, pur ciascuno con le proprie preferenze, da tutto il centrosinistra. La disposizione dei partiti intorno ai candidati non è e non dovrebbe essere veicolante per il voto. Prova ne sia il fatto che, mentre partiti che si fanno bandiera della politica dal basso erano incentrati su un unico candidato, il partito notoriamente più d'apparato forniva sostenitori a tre candidati su quattro, pur avendo fornito l'endorsement ufficiale ad uno solo di questi.

In cosa consiste la sconfitta per il PD, quindi? Nel fatto che è stato preferito un altro candidato? No di certo: meglio eventualmente vincere con Pisapia che perdere con Boeri, visto che Pisapia ha dimostrato alle primarie di avere più chance.
La sconfitta del PD è allora programmatica? I cittadini, in fondo, hanno scelto un programma ed un candidato sui cui SEL, e non il PD, aveva messo il proprio marchio. Eppure la regola di base delle primarie è che chi perde sostiene chi vince: logica conseguenza della cosa è che le varie opzioni debbano essere sufficientemente ben viste da tutte le parti in causa da evitare sfilamenti post-sconfitta. Il programma di Pisapia, pur non essendo il programma del PD, è comunque un programma che il PD riteneva sufficientemente positivo da poter essere preso a programma ufficiale della coalizione.
La sconfitta del PD sta quindi nel voler vedere la situazione come una sconfitta, ovvero nell'immagine del Davide SEL che atterra il Golia PD per la seconda volta dopo le primarie pugliesi, e ponendo così le basi per altri colpi a Bologna, Torino e Napoli nei prossimi mesi. Dimenticando che le primarie servono a trovare il candidato migliore, non quello promosso da questo o quel partito. Ignorando la differenza tra le primarie e le vere elezioni.

A questo punto, perché non evitare del tutto le candidature ufficiali di partito? Perché non lasciare liberi dirigenti, militanti e simpatizzanti di mettere a disposizione strutture, tempo e mezzi ciascuno per il candidato che ritiene più degno? Perché, nell'ottica di realizzare una vera politica dal basso, i partiti non restano alla porta ad ascoltare, limitandosi a fornire i mezzi affinché la società possa esprimere al meglio le proprie indicazioni?

sabato 13 novembre 2010

La vita è questione di scelte...

Vita, morte o libertà?

Dopo un'attesa di mesi è stato possibile vedere in lingua italiana lo spot realizzato dallo studio "The Works" per Exit International, un'organizzazione no-profit nata in Australia volta a sostenere riforme legislative a favore dell'eutanasia e del diritto di scelta sul tema del fine vita.
Censurato in diversi Paesi, tra cui Australia e Canada, in Italia è stata l'Associazione Luca Coscioni, in concerto con i Radicali Italiani, ad occuparsi della promozione e della diffusione del video, grazie alla rete e alla collaborazione di alcune emittenti locali del gruppo TeleLombardia.
Attualmente il video è in attesa dell'approvazione del Garante per le comunicazioni, affinché possa essere mezzo in onda a livello nazionale a partire da gennaio 2011.




Il video è certamente molto forte, seppure renda poco l'idea di "malato terminale", e la profonda voce di Toni Garrani avvince lo spettatore, conducendolo al tremendo passaggio finale:

Ho fatto la mia scelta finale. Ho solo bisogno che il Governo mi ascolti.

Il video chiude sfumando citando il rapporto Eurispes 2010, in cui si afferma che oltre il 67% degli Italiani (erano il 68% l'anno precedente) è favorevole alla pratica dell'eutanasia.

Come era lecito aspettarsi su un tema definito "eticamente sensibile" di simile portata, non sono mancati gli interventi sia da parte del mondo politico sia da parte della Chiesa.

Le reazioni più dure si sono avute dagli esponenti del PdL Gasparri e Bartolini. Il primo infatti afferma che si adopererà personalmente presso l'AGCom affinché lo spot non venga messo in onda poiché in Italia l'eutanasia è reato, mentre la seconda dice: In nome di una presunta e mal concepita libertà di scelta non si può a propagandare quello che in Italia è vietato dalla legge.

Dello stesso tenore dei confronti dello spot è un articolo del 10 novembre 2010, a firma Francesco Ognibene, apparso su Avvenire ed intitolato "Pubblicità mortale".
L'attacco di Avvenire relega ad una sola frase, degna comunque di nota, il tema ideologico (Chi soffre (e, con loro, le famiglie) non chiede di morire ma di essere aiutato a vivere.), e si concentra su un argomento ascrivibile al mondo del diritto: come è possibile che possa essere considerato accettabile, scrive Ognibene, uno spot che pubblicizza un reato?

Ognibene non si espone direttamente come Gasparri e la Bertolini, ma il termine aleggia nell'aria: apologia di reato. È tuttavia una lettura corretta? In realtà il video chiarisce molto bene il proprio posizionamento nella frase citata in precedenza: lo spot non è un invito alla gente a praticare o chiedere l'eutanasia, ma un appello ai governi del mondo affinché intervengano per permettere alla gente di avere voce in capitolo sul modo in cui desiderano - o non desiderano - terminare la propria esistenza.
In nome della libertà di scelta si può invitare un governo a modificare una legge? Queste parole, e non quelle di Isabella Bertolini, descrivono la questione nei termini più appropriati.

Il Catechismo1 della Chiesa Cattolica tratta l'eutanasia (capp. 2276 - 2279) alla stregua di un omicidio, e sullo stesso tono si pone Ognibene: chi soffre chiede di essere aiutato a vivere, secondo l'articolista di Avvenire.
Ma è così? Se fosse veramente così non ci sarebbe alcun bisogno di vietare l'eutanasia: la gente non la userebbe e basta.
Si può opporre a questo ragionamento il fatto che in certe, terribili situazioni la mente obnubilata dal dolore porta a dire o fare atti inconsulti, e che la legge, citando Zagrebelsky, è quella cosa che gli uomini si danno quando sono sobri affinché essa li guidi quando sono ubriachi.
Eppure questa libertà, la libertà di decidere quando porre fine alla propria vita, è di ostacolo alla civile convivenza? Mina la struttura della società? Quali sono le fondamenta affinché debba essere considerata reato, se non la volontà di far coincidere reato e peccato?

Sulla libertà di scelta interviene invece l'associazione Scienza e Vita in un comunicato del 10 novembre 2010: secondo Lucio Romano (copresidente dell'associazione) la vera libertà è la libertà di scegliere la vita.

In realtà, se ci affranchiamo dalle posizioni più ideologiche, le due opzioni non sono in contrasto: essere messi nella facoltà di scegliere è un diritto dell'uomo, ma la scelta, una volta consci delle possibilità in gioco, deve essere libera.



1: il Catechismo della Chiesa Cattolica entra a far parte delle fonti del blog

mercoledì 10 novembre 2010

Quello che i finiani non dicono

Logo di Futuro e Libertà per l'Italia

Bastia Umbra, 7 novembre 2010, convention di Futuro e Libertà per l'Italia, la nuova formazione politica di stampo conservatore-liberale - almeno nelle intenzioni - recentemente formata da Gianfranco Fini.
Chiunque abbia udito o letto il discorso ha colto nelle parole del Presidente della Camera la volontà e la determinazione di farla finita con la II Repubblica, con il berlusconismo e con tutto ciò che esso rappresenta. Per chi non fosse riuscito a seguire le parole di Fini, trasmesse in TV da RaiNews con una diretta-fiume, qui si trovano i video di Sky TG24 mentre qui ho eseguito una copia locale del testo del discorso, tratta da Farefuturo.

Tag cloud del discorso di Fini a Bastia Umbra

I commentatori politici si sono sprecati nel valutare, nel bene e nel male, il discorso di Fini, la promessa costituita da FLI per il futuro del centrodestra italiano, il tradimento di Berlusconi e del berlusconismo, il confronto con la sinistra.

Invece che provare ad analizzare un discorso tutto sommato molto lineare nella sua stesura, mi sono permesso tuttavia di estrapolare alcuni passaggi del discorso di Fini sui quali il leader di FLI avrebbe potuto e dovuto essere più chiaro, e concentrarmi su ciò che avrebbe dovuto dire e ha invece taciuto.

Mi rifiuto di pensare che questo centrodestra risolva tutto con la propaganda del "gli immigrati clandestini se ne vadano". Non contestiamo la necessità di allontanare i clandestini, contestiamo la dabbenaggine di chi non capisce che sempre più in futuro la nostra società sarà molto diversa da quella attuale, che avrà sempre di più la necessità di integrare coloro che rispettano la nostra storia, cultura, tradizione.

La legge attualmente in vigore sull'immigrazione è la Legge 189/2002, meglio nota come "Legge Bossi-Fini". Fini sta facendo autocritica?

La centralità del lavoro intesa anche come garanzia di un riscatto sociale, di possibilità per ogni persona di esprimere tutte le capacità che ha. Il lavoro consente a ogni uomo di crescere non solo da un punto di vista economico, ma anche da un punto di vista morale.

Eppure la Legge Delega 30/2003 (poi applicata nei Decreti Legislativi 276/2003, 124/2004 e 251/2004), conosciuta come "Legge Biagi", che ha significato molto in termini di precarizzazione e perdita della dignità e dei diritti dei lavoratori a causa dell'assenza dei capitoli relativi agli ammortizzatori sociali, è stata votata dall'allora AN. Fini contraddice il proprio passato?

A me non piace un paese dove non c'è una levata di scudi corale rispetto a certi luoghi comuni che vengono diffusi, luoghi comuni tipo quello per cui chi fa tutto il suo dovere e paga tutte le tasse è fesso e chi invece trova il modo di fare il furbo va apprezzato.

Legge Delega 366/2001 - Decreto Legislativo 61/2002: derubricazione del falso in bilancio a reato amministrativo al di sotto di una certa soglia.
Legge 289/2002: il maggior condono fiscale di tutti i governi Berlusconi.
Decreto Legge 40/2010 - Legge 73/2010: legge salvamondadori.
E questi sono solo tre esempi. Fini non è forse corresponsabile della creazione di quel Paese che ora dice non apprezzare?

So che ciò che sto per dire non sarà considerato con grande soddisfazione, ma se si vuole dar corso al principio di rispettare il popolo, che nelle sue mani ha lo scettro, allora non ci può essere un patto di legislatura se non si cancella una legge elettorale che è una vergogna. Avete diritto di scegliere i vostri parlamentari, non ci si può affidare solo alla leadership.

Ma come, Fini non ha votato la Legge 270/2005, passata alla storia con il poco lusinghiero nome di "Porcellum"?

E che dire degli appalti pubblici? Che dire della RAI?
Fini nel suo discorso di Bastia Umbra parlava di fare chiarezza, ma per essere veramente credibile non può eludere alcune, fondamentali, domande.

Presidente Fini, lei ha votato in passato delle leggi contro cui ora si scaglia. Ha cambiato idea sulla bontà di queste leggi? Se sì, che cosa le ha fatto cambiare opinione?
Se no, perché in passato le ha votate? Davvero ritiene che un eventuale governo di centrosinistra insediatosi qualora lei avesse abbandonato Berlusconi avrebbe fatto di peggio di queste leggi che lei ora critica?

L'avventura politica di Fini non inizia oggi: prima di lanciarsi alla conquista del futuro, il leader di FLI dovrebbe regolare i conti una volta per tutte con il proprio passato.

domenica 7 novembre 2010

Bersani e Vendola: forme e contenuti a confronto

Pierluigi Bersani (PD) e Nichi Vendola (SEL)

Il mattino del 2 novembre 2010 il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ospite al Salone del Ciclo e Motociclo di Rho-Pero, si è lasciato scappare, in un tentativo di calmare le acque dopo lo scandalo Ruby, la contestata battuta meglio essere appassionati di belle ragazze che gay.


Nel corso della stessa giornata quelli che sono attualmente visti come i principali competitori a capo della coalizione di centrosinistra, il segretario del Partito Democratico Pierluigi Bersani ed il Presidente della Puglia Nichi Vendola, hanno indirettamente risposto all'uscita del premier, ciascuno con metodi e contenuti legati alla propria personalità, alla propria posizione e alla propria visione della politica.
Anche in vista delle - eventuali - primarie che decreteranno il candidato premier per il centrosinistra alle prossime - eventuali - elezioni anticipate, può essere quindi opportuno confrontare lo stile e le parole dei due interventi.



In primo luogo è differente il contesto scelto: Vendola sceglie il proprio canale YouTube per una videolettera di pochi minuti, Bersani dedica mezz'ora ad una conferenza stampa, il cui inserimento in rete su YouDem diventa un semplice spin-off. Più attento alle nuove tecnologie e legato a doppio filo con il suo popolo Vendola, più classico e legato a logiche d'apparato Bersani, che però utilizza una forma che lo mette a confronto diretto con le domande degli intervistatori.

Molto diverso è anche l'ambito affrontato dai due leader: l'intera videolettera di Vendola è incentrata sul comportamento e sull'immagine di Berlusconi, e invoca le dimissioni del Presidente del Consiglio come atto di rinascita morale del Paese. Bersani affronta invece un'analisi generale sulla situazione italiana, e la sfortunata battuta del premier è solo il punto di ingresso dell'analisi del segretario PD, quasi la scusa per parlare di occupazione ed economia.

Anche a causa del mezzo scelto, è poi diametralmente opposto l'impatto provocato dai due video.
Lo studio da cui parla Vendola è curato nei minimi dettagli: la provenienza della luce, la bandiera iridata della pace, il mobilio, la pianta, ogni cosa è studiata e si abbina all'immagine stessa del leader di Sinistra, Ecologia e Libertà: Vendola appare sicuro di sé, indubbiamente fotogenico e padrone dello schermo, elaborato ma non lezioso nell'esposizione di un testo altrettanto elegante. L'immagine che rimane al termine della visione è al tempo stesso quella di un importante esponente delle istituzioni che si erge a modello alternativo rispetto a quello di potere, e dall'altro quella di un comune cittadino indignato per la deriva morale del proprio Paese.
La differenza con Bersani è immensa. Tanto curata è la videolettera del Presidente della Puglia tanto è forte l'idea di approssimazione che traspare dalla conferenza del segretario PD. Bersani parla a braccio, si ripete, gesticola, si mangia le parole, non guarda la telecamera, e pur scagliando verso il governo accuse ben più gravi di quelle lanciate da Vendola, traspare quasi un'idea di scoramento, di smarrimento.
Eppure il centrosinistra ha tutto da guadagnare dalla perdita di consensi che, anche a causa della condotta morale di Berlusconi, attanaglia il centrodestra; come mai, quindi, atteggiamenti così diversi tra Vendola e Bersani?

Questa differenza deve essere valutata a fronte della differenza del messaggio: Vendola si scaglia contro l'immoralità di Berlusconi, il suo è un attacco puro e semplice e lui è - e sa di essere, in quanto omosessuale e quindi oggetto della battuta - la persona più indicata a portarlo. L'orizzonte della videolettera non supera le dimissioni di Berlusconi.
Di tutt'altro significato la conferenza stampa di Bersani. La battuta del Presidente del Consiglio - pur grave nella sua sintomaticità della mentalità italiana - viene riportata alla sua reale dimensione di granello di sabbia nel mare dei problemi dell'Italia, problemi di una mole e di una complessità tali da essere di difficile risoluzione per qualsiasi compagine di governo sia chiamata a farlo.

Non una semplice contrapposizione forma-contenuto, quindi, ma approcci diversi per messaggi diversi realizzati per scopi diversi, ma degni di confronto in quanto costituiscono entrambi la reazione ufficiale al medesimo evento.
Vendola sicuro di sé, all'attacco contro la bassa moralità di Berlusconi; Bersani impacciato dinanzi alla complessa situazione in cui versa l'Italia.
Vendola che sceglie di non guardare oltre le dimissioni del premier, Bersani che già si interroga su come gestire il dopo-Berlusconi ed il ritorno ad una qualità più alta di democrazia nel Paese.
Il confronto impietoso tra i due principali leader del centrosinistra in termini di immagine trova quindi il suo riequilibrio se vengono opportunamente valutati i contenuti, confermando le percezioni del popolo di centrosinistra raccolte nel sondaggio del 26 luglio 2010 condotto da IPR e pubblicato su La Repubblica, un sondaggio che sostanzialmente decretava Vendola come l'uomo migliore per la campagna elettorale e Bersani quello più affidabile per un ruolo di governo.

giovedì 4 novembre 2010

L'ecosostenibilità del nucleare

La centrale di Trino Vercellese (VC)

Dopo aver parlato del grado di indipendenza che apporterebbe all'Italia un ritorno al nucleare credo sia doveroso affrontare il tema del costo ambientale di questa fonte di energia.
I sostenitori dell'energia nucleare sostengono si tratti di una fonte pulita, a causa del fatto che i processi di fissione non rilasciano gas serra o in generale gas inquinanti. L'apporto di inquinanti derivante dall'energia atomica sarebbe, quindi, solo quello legato alla costruzione e alla gestione della centrale.

Tabella delle emissioni di CO2 per diverse fonti energetiche

Sulla base di questo ragionamento diventerebbe semplice ottenere valori di ecosostenibilità dell'energia atomica - misurabili genericamente in grammi di CO2 per KWh elettrico - dell'ordine dell'intervallo 9 - 21 stimato dalla IAEA nell'ormai lontano 2000.
In realtà il ciclo dell'energia atomica è estremamente più articolato, come mostra lo schema riportato.

Ciclo vitale delle filiera energetica nucleare

Estrazione del minerale

L'impatto ambientale dell'attività estrattiva dell'uranio dipende dalla tipologia di miniera: ad esempio, lo sbriciolamento (crushing) e la macinatura del minerale (milling) sono attività importanti in una miniera rocciosa, ma poco rilevanti in una sabbiosa. La concentrazione di minerale e lo yeld determinano la quantità di matrice da estrarre per ottenere la medesima quantità di uranio.

Conversione del minerale in yellow cake

Per separare l'uranio dalla matrice è la procedura più comune prevede l'utilizzo di solventi acidi (acido solforico H2SO4 o acido nitrico HNO3) estremamente inquinanti.

Gasificazione in esafluoruro di uranio

Gli ossidi di uranio costituenti la yellow cake devono essere trasformati in esafluoruro di uranio UF6; per ottenere questo risultato occorre lavorare in ambiente artificialmente riscaldato, dal momento che l'esafluoruro di uranio deve essere poi lavorato allo stato gassoso e la temperatura di sublimazione di tale composto è 56° C. La yellow cake deve essere trattata con acido nitrico, idrogeno e fluorina, i cui rilasci in atmosfera sono estremamente inquinanti. Secondo le stime dello studio condotto da Storm van Leeuwen e Smith nel 2006 in questa fase si hanno rilasci di fluoro in atmosfera per oltre 30.000 tonnellate annue.

Arricchimento

Le tecniche industriali per l'arricchimento dell'uranio sono due: la diffusione gassosa e la centrifugazione.
La prima, che è anche la prima ad essere stata messa a punto, è utilizzata ad oggi da circa il 40% delle centrali ed è estremamente inquinante: l'esafluoro di uranio viene fatto passare attraverso una serie di setti di dimensione variabile allo scopo di bloccare parte dell'U238 onde ottenere, alla fine del percorso, uranio arricchito. A causa delle alte temperature sviluppate dal processo nutre grande importanza il processo di refrigerazione, effettuato tramite freon (un gas CFC, estremamente inquinante). Uno studio dell'EIA del 2005 rivelò che gli impianti degli USA nel solo anno 2001 riversarono in atmosfera oltre 400 tonnellate di freon, traducibili, in termini di effetto serra, in quasi quattro milioni di tonnellate di anidride carbonica secondo la tabella di conversione dei gas serra del DEFRA.
La centrifugazione è una tecnica più moderna e meno dispendiosa, e consiste nel far passare l'esafluoruro di uranio attraverso una cascata di centrifughe rotanti di modo che gli isotopi più leggeri siano separati dal resto attraverso la forza centrifuga.
Il costo energetico del processo dipende dal grado di arricchimento dell'uranio e dalla metodologia scelta. In generale, la centrifugazione è dieci volte meno dispendiosa in termini energetici rispetto alla diffusione gassosa, mentre rispetto all'arricchimento standard del 3,6% un aumento dello 0,1% costa empiricamente il 26% di energia in più.

Trasporto

Il minerale arricchito viene inviato alla centrale generalmente tramite ferrovia o nave.

Costruzione della centrale

Costruire una centrale nucleare viene genericamente paragonato, in termini di costo ambientale, all'edificazione di una centrale idroelettrica o di una a gas. In realtà vi sono alcune differenze sostanziali che rendono il caso nucleare unico in tutto il panorama energetico.
Ad una prima occhiata una centrale atomica è composta da 600.000 t di calcestruzzo, torri di raffreddamento comprese, e circa 100.000 t di altri materiali, soprattutto ferrosi.
In realtà, tutto il materiale che entrerà a far parte di una centrale nucleare deve essere realizzato secondo criteri qualitativi particolari ed elevatissimi, per assumere la qualifica di nuclear grade.
Mentre quindi una fabbrica di cemento normale trova la sua giustificazione al di fuori del comparto energetico, gli stabilimenti, i macchinari ed i processi per i materiali nuclear grade trovano la loro ragione di esistenza unicamente nella realizzazione delle centrali nucleari, pertanto sarebbe corretto ascrivere al nucleare gli impatti ambientali dell'intera filiera produttiva.
Rispetto ad una centrale di diverso tipo è inoltre da sottolineare la ridondanza dei macchinari prevista dagli stringenti criteri di sicurezza, che incrementa ovviamente l'impatto ambientale della fase costruttiva.

Produzione di energia

La fase di produzione energetica è l'unica fase a costo ambientale nullo del processo nucleare.
Fa eccezione l'operazione di raffreddamento del nocciolo, che provoca inquinamento termico e contaminazione del materiale refrigerante, che dovrà poi essere adeguatamente trattato in fase di decommissioning.

Decommissioning della centrale

Con il termine decommissioning si intende l'operazione di restituzione all'ambiente naturale del sito della centrale, come se non fosse mai stata costruita.
Questa fase è valida naturalmente per tutte le fonti energetiche, ma al momento assume particolare rilevanza solo per l'eolico ed il nucleare. Una centrale a gas o a carbone, infatti, può essere agevolmente rimodernata per iniziare un nuovo ciclo vitale - spalmando quindi l'impatto del decommissioning su più fasi di vita - oppure riconvertita ad altro uso. Una centrale nucleare viene costruita su misura per la tecnologia su cui si basa la fissione, quindi non può essere oggetto di ammodernamenti; al tempo stesso i lunghissimi tempi di decontaminazione rendono impossibile una riconversione ad uso civile.
Non esistono nel mondo esempi di decommissioning portati a termine per le centrali in funzione, e al tempo stesso è impossibile fare previsioni oggi per le centrali che diventeranno operative nel prossimo decennio e verranno smantellate alla fine del XXI secolo. Sicuramente il corpo edile della centrale e tutti i macchinari dovranno essere sottoposti a smantellamento e decontaminazione, ma con quali tecnologie è impossibile saperlo.

Decommissioning della miniera

Le opere per la chiusura delle miniere esaurite hanno un impatto analogo a quello delle miniere di altro genere.
La fase è comunque non trascurabile: la francese Areva è in contenzioso per i disastri ambientali dei siti minerari in Niger e Gabon, dove la mancanza di adeguati trattamenti in fase di chiusura delle miniere ha provocato aumenti dei casi di leucemia e l'inquinamento delle falde acquifere. Nel corso del 2009 Greenpeace ha pubblicato un rapporto dove evidenzia lo scarso operato di Areva nelle bonifiche delle miniere nigerine condotto con la collaborazione dell'ONG Rotab e dal laboratorio franco-nigerino CRIIRAD. Qui le misurazioni (1 - 2 - 3).


Trattamento del combustibile esausto

Il combustibile esausto è un prodotto pericolosissimo a causa della sua elevata attività radiologica. I reattori di quarta generazione saranno in grado di riutilizzare tale combustibile, eliminandone la pericolosità. Per tutte le centrali in funzione, così come per quelle costruite presumibilmente fino a metà del XXI secolo occorre invece prevedere delle piscine di contenimento dove lasciar decantare il materiale fino a che non potrà essere maneggiato con maggiore sicurezza come fosse una scoria.
L'impatto ambientale di questa fase è ben descritto dal caso di Saluggia, località piemontese sede delle piscine di decantazione della centrale di Trino Vercellese. Malgrado la centrale sia chiusa dal 1990, solo negli ultimissimi anni il materiale ivi contenuto è stato inviato, almeno in parte, in Francia per il riprocessamento. Durante l'alluvione del 16 ottobre 2000 l'esondazione del fiume Dora Baltea, che non ha fortunatamente provocato danni significativi (rapporto parti I e II), ha rischiato di scatenare il più grande disastro ambientale italiano, come ampiamente documentato da due puntate di Report (19/11/2000 e 01/03/2001).

Trattamento scorie

Le scorie possono essere solide o liquide. Esse devono quindi prima essere portate tutte allo stato solido, attraverso un processo definito vetrificazione, e stoccate in funzione della loro attività radiologica a breve termine in attesa di sistemazioni definitive in funzione della loro attività a lungo termine. Ad oggi non esiste nel mondo un solo posto ambientalmente sicuro per lo stoccaggio definitivo delle scorie. L'inquinamento del nucleare in questa fase è costituito, oltre che dalla costruzione delle pareti in cemento del deposito, dai potenziali rischi in caso di incidenti, che spaziano dall'emissione di radiazioni nell'aria alla contaminazione delle acque e degli esseri viventi.


La breve descrizione delle fasi elencate non pretende di essere, a causa dei pochi numeri riportati, uno studio di valore scientifico sul costo ambientale del nucleare. Tuttavia, considerare il nucleare una fonte pulita solo perché la fissione non produce anidride carbonica è una menzogna.
Le attività a monte e a valle della pura e semplice produzione di energia sono estremamente inquinanti, ed il fatto che tali attività siano in genere endemiche del mondo nucleare aggrava il bilancio ambientale di questa fonte energetica. Secondo lo studio di Storm van Leeuwen e Smith solo nel caso delle miniere più ricche, e quindi di intenso sfruttamento e prossimo esaurimento, il bilancio ambientale è migliore rispetto alle centrali a combustibili fossili: il lunghissimo ciclo di vita delle centrali di prossima costruzione dovrebbe quindi far riflettere sulla sostenibilità di questa fonte energetica; in Italia, poi, dove siti come Caorso o Trino ricordano le esperienze passate, la riflessione dovrebbe essere ancora più profonda.

martedì 2 novembre 2010

E se si tagliasse qualche provincia?

Logo dell'Unione Province d'Italia

Puntualmente nei programmi elettorali di qualsiasi coalizione italiana appare alla voce "riduzione sprechi" l'abolizione, o quantomeno la riduzione, delle province, viste come enti sostanzialmente inutili, un grado burocratico e di potere utilizzato per assegnare poltrone agli sconfitti delle competizioni elettorali più importanti.
Da queste premesse sono fioriti nel tempo alcuni luoghi comuni, che vedono il sud più sprecone del nord e la sinistra, in genere più forte nelle competizioni locali rispetto a quelle nazionali, più restia a procedere con l'abolizione delle province rispetto alla destra in quanto maggiormente colpita dalla conseguente perdita di poltrone.

Ma quanto costano le province? Sarebbe auspicabile eliminarle, magarit tutte in una volta? In alternativa, possibile indicizzare le province in modo da capire quali sono quelle eliminabili con minor impatto?
Non esistono calcoli precisi per il l'impatto delle province sui conti pubblici, perché diventa complesso separare i costi endemici degli enti provinciali da quelli che invece si ripercuoterebbero semplicementi sugli altri livelli dell'organizzazione dello Stato. L'unica stima certa, come riporta anche l'Istituto Bruno Leoni, è quella dei costi politici, ovvero i costi per le giunte e per i presidenti, stimabili in circa 135 milioni di euro l'anno (tradotto, circa gli stipendi di 5.500 precari della scuola). L'istituto arriva poi a formulare una stima di risparmio complessiva una tantum, formata cioè anche dagli introiti per l'alienazione degli immobili divenuti inutili, di circa 2 miliardi di euro, e questo senza perdite di posti di lavoro e di servizi.
La dimensione provinciale, inoltre, si rivela spesso inadeguata per affrontare le sfide di un mondo sempre più globalizzato: la sola provincia di Milano potrebbe gestire l'Expo 2015, per esempio? La megalopoli lombarda formata da Milano, Monza, Brescia, Bergamo e Varese, può essere gestita da più enti provinciali in termini di ambiente o viabilità? Le medesime funzioni devono essere svolte ad un livello inferiore, cioè quello dei singoli Comuni, oppure a livello regionale. Oggi le province di fatto espletano in delega alcune delle funzioni di competenza regionale: ebbene, serve una giunta per farlo?

Meglio quindi un'abolizione totale in un colpo solo, oppure una progressiva?
Un'abolizione totale sicuramente apporterebbe vantaggi economici immediati maggiori, e sarebbe forse più praticabile in quanto colpirebbe tutta l'Italia: le forti tradizioni campanilistiche del nostro Paese renderebbero ostico accettare, per esempio, la cancellazione di una provincia ed il mantenimento di quella vicina.
La seconda strada è tuttavia quella più semplice dal punto di vista legislativo, dal momento che abolire l'istituto stesso delle province comporterebbe una revisione costituzionale. Inoltre un processo graduale permetterebbe anche alle forze politiche, spesso ostaggio delle lobby locali, di metabolizzare meglio la progressiva perdita di poltrone.

Resta il nodo della scelta delle province: è infatti chiaro che una simile procedura possa essere effettuata solo sulla base di un criterio numerico ed oggettivo, onde evitare le accuse di parzialità e arbitrarietà che inevitabilmente cadrebbero sulla forza politica che si assumesse l'onere di una simile decisione.
I parametri forse più signigicativi per la misurazione sono la popolazione e la dimensione delle province: tanto maggiori saranno questi valori tanto più l'esistenza della provincia acquista infatti senso. Per arrivare poi ad un coefficiente univoco i due parametri possono essere moltiplicati tra di loro: per entrambi infatti deve valere un rapporto di proporzionalità diretta, ovvero all'aumento del parametro deve aumentare il coefficiente finale; il prodotto è inoltre preferibile alla somma per evitare predominanze di un parametro rispetto all'altro nonché dipendenze dall'unità di misura scelta. I coefficienti ottenuti possono quindi essere messi in relazione percentuale tra di loro, assegnando il 100% al valore più elevato e determinando per gli altri la percentuale di copertura di tale valore.

Cartogramma del coefficiente provinciale

Tabella del
coefficiente provinciale
Le province italiane, classificate secondo il metodo sopra descritto, mostrano un'ampia variabilità in termini di coefficiente calcolato, con Roma che ottiene un valore oltre 430 volte quello di Trieste.
Ben 29 province ottengono un coefficiente percentuale inferiore al 2%, ovvero una differenza con la provincia di Roma superiore a 50 volte: il 2% è un parametro arbitrario, ma costituisce una soglia comunque significativa per la definizione di ente "inutile".
Ben quattordici province appartenenti a questa categoria si trovano al nord, sette sono al centro ed otto al sud.


Le regioni più ricche di province "inutili" risultano essere la Toscana ed il Piemonte.
In termini amministrativi, infine, si evidenzia la seguente ripartizione: 2 province sono governate dalla Lega Nord; 15 province sono governate dal Partito Democratico; 10 province sono governate dal Popolo della Libertà (di cui una, Vercelli, commissariata); 1 provincia è governata da Sinistra Ecologia e Libertà; 1 provincia è governata dall'Union Valdôtaine.
In generale, quindi, 16 province (55%) sono amministrate dal centrosinistra, 12 (41%) dal centrodestra e una (4%) da una forza locale.

Se dal punto di vista geografico quindi si può dire che il nord del Paese si presenta più frammentato dal punto di vista amministrativo rispetto al centro ed il sud, smentendo almeno in parte il luogo comune che associa al Mezzogiorno le poltrone a ufo, risulta invece confermata almeno in parte la preponderanza del centrosinistra in poltrone che potrebbero essere eliminate.

Ecco quindi, a titolo di esempio, una proposta mirata per la soppressione e l'accorpamento delle provincie a coefficiente minore, in ordine di priorità:
  • accorpamento di Gorizia e Trieste (Friuli Venezia Giulia)
  • accorpamento di Carbonia-Iglesias e Medio Campidano (Sardegna)
  • accorpamento di Pistoia e Prato (Toscana)
  • accorpamento di Ascoli Piceno e Fermo (Marche)
  • accorpamento di Biella e Vercelli (Piemonte)
  • accorpamento di Nuoro e Ogliastra (Sardegna)
  • accorpamento di Imperia e Savona (Liguria)
  • accorpamento di Campobasso e Isernia (Molise)
  • accorpamento di Lecco e Monza e della Brianza (Lombardia)
  • accorpamento di Cremona e Lodi (Lombardia)
  • accorpamento di Lucca e Massa-Carrara (Toscana)
  • accorpamento di Pescara e Teramo (Abruzzo)
  • accorpamento di Caltanissetta ed Enna (Sicilia)
  • accorpamento di Forlì-Cesena e Rimini (Emilia Romagna)
  • accorpamento di Novara e Verbano-Cusio-Ossola (Piemonte)
  • accorpamento di Livorno e Pisa (Toscana)
  • accorpamento di Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia (Calabria)
  • accorpamento di Genova e La Spezia (Liguria)
  • accorpamento di Rieti e Viterbo (Lazio)
  • accorpamento di Alessandria e Asti (Piemonte)
  • accorpamento di Padova e Rovigo (Veneto)

Tabella del coefficiente
provinciale nell'ipotesi
di accorpamento

Il risultato? Le province passerebbero a da 110 a 88; la dimensione media delle province passerebbe da circa 2.700 km2 a poco meno di 3.400 km2, la popolazione media passerebbe da circa 550.000 a quasi 700.000 abitanti, il rapporto di coefficienti tra la provincia maggiore e quella minore passerebbe da oltre 430 a meno di 100. Nessuna provincia raggiungerebbe coefficienti superiori a quello di Roma, quindi non si creerebbero enti di dimensioni spropositate né in termini di dimensioni né in termini di abitanti.

I vantaggi sarebbero evidenti, soprattutto in termini di risparmio per l'erario... ma quale politico si prenderebbe mai una simile responsabilità? E quale cittadino livornese accetterebbe Pisa come capoluogo di provincia, o viceversa? E quale astigiano vorrebbe mai essere nella stessa provincia con un alessandrino?
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